Ogni volta che preparo un post per questa rubrica inizio cercando di fare mente locale sul suo senso, su cosa le mie parole potranno mettere in luce qui dentro per essere d’un qualche aiuto per chi legge e magari anche per me.
Stavolta, mi ha soccorso un bel libro di Bruno Bettleheim, che si intitola “Un genitore quasi perfetto”
Prima, con questa citazione
“Tra genitori e figli esiste sempre in tutte le situazioni, una forte tensione emotiva. E’ inevitabile che sia così, ed è anche giusto, giacché sono i sentimenti positivi che emanano dai nostri gesti a convincere il bambino della sua importanza per noi, un’esperienza di cui ha un bisogno assoluto per riuscire a credere di essere importante anche per altri. Tant’è vero che, per quanto sia doloroso, per il bambino suscitare nel genitore sentimenti negativi è pur meglio che niente. I figli di genitori emotivamente freddi e indifferenti tendono a essere paralizzai sul piano emotivo o in preda a un’aggressitività violenta.”
Se è vero che le emozioni si vivono sempre e caratterizzano e colorano tutta la nostra esistenza, le emozioni che viviamo in relazione con i figli sono non solo importanti ma vitali per loro.
Seconda citazione
“il legame fortemente emotivo tra genitori e figli nasconde anche gravi pericoli. Quando è sconvolto o in collera per qualcosa che non riguarda direttamente il figlio, il genitore tende a sfogarsi alla minima infrazione, e il bambino, che istintivamente se ne rende conto, prova un profondo risentimento: al pari di tutti noi, il bambino vuole essere oggetto soltanto delle emozioni che lo riguardano personalmente.
Un altro grave ostacolo, in cui si imbattono spesso genitori per il resto molto ragionevoli e attenti, si ha quando il genitore è convinto di esprimere un forte coinvolgimento emotivo nei confronti del figlio, mentre la percezione del figlio è che al genitore non importi nulla di lui. E’ la situazione che si verifica quando il geniore attribuisce esplicitamente molta importanza alla buona riuscita scolastica e reagisce in modo esagerato a qualunque insuccesso del figlio negli studi”.
Che cosa mi hanno detto queste parole?
Che occorre intanto grande onestà e consapevolezza nel percepire e vivere le nostre stesse emozioni.
Secondo, che quando comunichiamo con i figli, se le emozioni che viviamo non ci sono chiare, rischiamo di inquinare e rendere ambigua o ambivalente la nostra comunicazione rendendo molto difficile per il figlio, ma anche per noi, prendere le decisioni più giuste (rispetto al nostro sistema di valori e di affetti).
Per continuare il suo ragionamento, solo conoscendo le nostre emozioni (che spesso radicano in scelte e meccanismi con cui abbiamo imparato ad agire, a proteggerci, a ottenere successo durante la nostra storia) siamo in grado di metterle da parte per poter in primo luogo farci carico delle sue emozioni (parte vitale ed essenziale come sa chi è ancora nella fascia d’età dei piccoli ed è consapevole di come la propria ansia o rabbia generino un processo di autocombustione con l’ansia o la rabbia dei figli) e in secondo luogo partire dalle sue motivazioni per comprendere la ragione dei suoi comportamenti.
Conoscere le proprie emozioni, per un genitore, non dev’essere un mero esercizio retorico, ma il trucco per uscire da noi stessi, dall’intenso coinvolgimento emotivo che viviamo con i nostri figli, e andare un po’ oltre il presupposto di conoscere già le sue motivazioni solo perché l’abbiamo cresciuto noi all’interno del nostro sistema di valori, c’è tanto simile o vicino e fa della nostra contentezza una delle sue ragioni di esistere.
Ci consente di farci da parte, per ascoltare. Il suo risentimento, per non avere spazio per dispiegare le sue ali. La sua timidezza, la sua paura o insicurezza di non essere bravo, forte, grande come noi.
D’altra parte, mettere sotto la lente d’ingrandimento una sola emozione non è semplice. Lo vedo ogni volta che tratto un’emozione difficile, tra queste righe, e vedo nei commenti il dubbio che quella particolare emozione sia il mio carattere definitivo e totalizzante, tutto il mio essere. Non è facile avvicinarmi, annusare, perlustrare e scoprire i confini e le ragioni (spesso sane, protettive, di base e in origine) della mia rabbia, o della mia paura di essere madre, del mio essere invidiosa, o invidiata, persino dell’essere felice. Però, proprio perché le emozioni vengono vissute in una storia, da un carattere, durante degli eventi, è ancora più importante imparare a isolarle, a osservarle, per un attimo, cinque minuti, esenti dai vari sensi di colpa, legami, altre emozioni.
Per un attimo, stare seduti solo vicino alla rabbia per un brutto voto o per un parcheggio rubato. Alla tristezza per una telefonata non ricevuta.
Per ascoltarle, anche le emozioni hanno bisogno di essere prese da parte, una per una.
E un’emozione dopo l’altra diventa più semplice distinguerle, viverle e magari fare spazio alle emozioni, motivazioni, scelte, che rendono mio o vostro figlio unico, inimitabile e probabilmente più vicino a noi con le sue scelte e rabbie e opposizioni e paure più di quanto non ci lasciamo immaginare.
Così per questo post così vicino a Natale, in cui vivremo tutti giorni pieni di emozioni, belle e brutte, dolci e confuse, rabbie del passato e piccole gioie odierne, regalatevi di restare nel tema del mese: comunicate con una vostra emozione.
Una sola: concedetevi a lei.
E poi ripartite.
Sono sicura che anche tutte le altre sembreranno meno caotiche.
– di Silvietta –
Ciao Alessia, capisco molto bene ildubbio dietro la tua domanda. Diciamo che lo strumento utile e’ quello che ti consente di isolare le emozioni che senti e distinguerle da te come persona. Parlando per metafore, come se tu fossi ilcielo e le emozioni grossi nuvoloni (o piccoli) che passano. Le emozioni possono essere molto invadenti ma non sono ilcielo.
Questa distanza che prendi ti puo’ consentire di esplorare I contorni delle emozioni e illoro messaggio smettendo di sovrapporgli messaggi che vengono dalla testa, dai sensi di colpa, dalla storia accumulata…
Non so se ti ho risposto. Certo, poi ci sono tecniche piu’ raffinate ma non volevo appunto andare nel tecnico. Credo che ognuno possa trovare liberamente una propria via.
Un caro saluto e un augurio per questi giorni
Come si fa a comunicare con le emozioni? Io purtroppo quando mi sento travolta non riesco ad esserne soggetto ma mi sento ‘oggetto’ delle emozioni..mi piacerebbe vivere lo splendido augurio che ci fai nel post, ma come si inizia per chi come me sente di dover imparare?c’è qualche strumento concreto per procedere lungo questo cammino da cui può dipendere la nostra pienezza come persone? Grazie
@vANS: GRAZIE!
Concordo con Close, nei tuoi post trovo spesso spunti che giro a amiche chili free.
Perché conoscere le proprie emozioni, anche quelle negative , riconoscerle ed accettarle rende la vita più semplice. Non la vita da genitore, ma la vita tout court.
Grazie, Close! Un feedback importante, per me, che mi chiedo sempre come rendere piu’ utile questo spazio!
Silvietta io i tuoi post me li leggo e me li stampo e li metto tutti in un cassetto, da riconsultare al momento opportuno. Questa cosa dell'”alfabetizzazione” delle emozioni è fondamentale per vivere bene, imho, che uno abbia figli o meno, ma serve a sbrogliare anche tante matasse. Così… un feed-back :-*