Ho un cruccio che mi accompagna da un po’: noto la crescente abitudine di trascorrere il tempo libero, soprattutto nei fine settimana, nei centri commerciali.
Per quanto io non sia particolarmente morigerata negli acquisti e tragga grossa soddisfazione dallo shopping, qualcosa non mi torna. Soprattutto perché è un’abitudine che si diffonde tra le famiglie, sia nelle grandi città, assediate nelle zone più periferiche dall’avanzata dei mall di dimensioni spropositate, che nei piccoli centri dove un centro commerciale aggrega più paesi limitrofi.
Il centro commerciale assicura un luogo dove fare la spesa, dove pranzare fuori con poco, dove andare anche al cinema e dove trovare altri svaghi quasi tutti a pagamento, immersi in decine di negozi, tutti più o meno riproducibili un numero infinito di volte.
Il centro commerciale può essere comodo, lo ammetto, ma mi inquieta.
Questo però non è un post pro o contro i centri, bensì una riflessione sul significato del comprare che viviamo e che trasferiamo ai nostri figli.
Questo tipo di luoghi sono incentrati su un concetto dilagante: acquistare è uno svago, un passatempo, una gratificazione personale. E se questa esperienza continua di comprare per rilassarsi, la si fa portando con sé i figli, questo è un concetto che passa con grande facilità.
Perché è terribilmente vero: comprare e poi possedere un oggetto nuovo, dà soddisfazione. Posso capirlo per un acquisto ponderato o magari istintivo di un oggetto che ci ha colpito. Quello che invece non comprendo è l’acquisto frammentario di molti oggetti di scarso significato (non valore economico, ma significato per chi li compra), oggetti di cui si perde la memoria in poco tempo, comprati al solo scopo di riempire il tempo.
Ecco, l’abitudine della passeggiata familiare al centro commerciale come attività privilegiata nel tempo da trascorrere insieme, mi sembra avallare questo concetto distorto dell’acquisto come terapia alla noia.
Negli adolescenti, soprattutto delle zone periferiche cittadine, l’abitudine di ritrovarsi nei centri commerciali è consolidata da tempo e, l’enorme edificio che riproduce un “bello” artificiale, prende il posto della piazza, che invece è sempre più antiestetica, squallida e degradata.
Ritrovarsi nel tempio del facile acquisto, rende ogni cosa un oggetto del desiderio. Si perde il senso di necessario, di utile, di desiderato, di piacevole.
Nella mia vita professionale ho conosciuto casi NON isolati di giovanissimi rapinatori che compivano reati così gravi per acquistare scarpe alla moda, abiti o cellulari. Ragazzi provenienti sicuramente da fasce socio-culturali più basse, ma non da famiglie “patologiche”, anzi, da nuclei uniti e onesti che garantivano ai figli il meglio che potevano. Questo è un esempio estremo, non indicativo, lo so. E’ un’iperbole. Non voglio argomentare che se porterete i figli a passeggio nei centri commerciali la domenica, diventeranno dei rapinatori!
Però è l’aspetto critico e socialmente allarmante di un’idea del consumo diffusa in modo più ampio, sollecitata dal marketing, che dilaga costantemente e che è deleteria soprattutto per i ragazzi. Un’idea del consumo e dell’acquisto come passatempo, che si innesta fin da piccoli.
Demonizzare un luogo è decisamente fuori luogo. A me piace un giro al centro commerciale se cerco effettivamente qualcosa che so di trovare in quel genere di negozi e non mi faccio scrupolo a portare con me il Piccolo Jedi, soprattutto se c’è da comprare qualcosa per lui (anche perché la sua resistenza è così limitata, che posso giusto fargli provare la misura delle scarpe!).
E’ l’abitudine di starci per abitudine che mi lascia perplessa. Mi sembra un luogo inadatto alla frequentazione consueta dei bambini. Anche per la sua estrema artificialità e per le dimensioni spesso spersonalizzanti.
Non credo che l’ambiente del mall sia uguale a quello della strada con negozi. La passeggiata all’aperto, per una via cittadina, ha un altro contenuto. Anche se si guardano le vetrine, anche se si gira per negozi. Perché comunque c’è un contesto intorno fatto dalla propria città o dal proprio paese, c’è un ambiente, ci sono elementi della vita quotidiana che non richiamano necessariamente l’acquisto o il consumo. C’è poi la possibilità di trovare negozi che hanno una propria unicità, che non rappresentano l’ennesima copia di se stessi.
Magari la preferenza per le vie all’aria aperta è dovuta soltanto a una mia latente claustrofobia… Però resta il fatto che comprare non è un passatempo contro la noia, è un’azione dettata dalla necessità, dal piacere, dall’istinto o dalla programmazione a seconda dei casi, dal desiderio, ma comunque un’azione singola, che ha un motivo singolo, diverso ogni volta, non un’abitudine con cui riempire ore vuote. E così vorrei che fosse per mio figlio
Condivido il senso di questo post, noi abbiamo da poco scoperto l’esistenza di una ”ludoteca” comunale aperta anche di domenica. Se no, le alternative sono quelle di quando eravamo bambini noi: a casa, o si invita qualche amico, si va a trovare qualcuno, o si va a fare una passeggiata in centro o al parco, o si va a fare un po’ di sport. La comodità dei centri commerciali è anche dovuta agli orari dei genitori che magari finiscono tardi la sera e usano il we per fare la spesa,ma è il cane che si morde la coda, perché sapendo che tanto c’è la domenica ci saranno sempre meno freni a orari idioti sul lavoro.
Quando ero io adolescente (mica tanti anni fa) si andava al cc perchè dove vivo io fa un freddo pazzesco per gran parte dell’anno e stare fuori era deprimente (oltre che freddo) non avevamo manco mezzo euro ma si andava li per stare al caldo, ci si metteva su una panchina o si girava guardando le vetrine…Ora ho una figlia, concordo totalmente sul fatto che sia bellissimo organizzare pomeriggi in casa con gli amichetti a guardare un cartone o a fare disegni ma non sempre è possibile (vuoi per questioni di spazio, di voglia, di “iperattività” dei bimbi, vuoi che sti pomeriggi li organizzi sempre tu e le altre mamme si limitano a mollarti i loro figli senza mai invitarli a casa loro…)In quei casi il cc può essere un’alternativa (una volta ogni tanto) mica serve comprare tutto sommato…
scusate ma voi cosa fate nel we quando fa freddo e/o piove?
prima di diventare genitori quando ci capitava di andare in un centro commerciale e vedevamo le famiglie ci chiedevamo come si potesse portare i bimbi in un posto cosi.
ora abbiamo una bambina di due anni ed è diventata un’altertiva al passare il tempo in casa.
(per non parlare di lei neonata nel torrido agosto milanese.. alcuni giorni non si poteva proprio stare fuori)
Non compriamo, ci andiamo solo per non stare chiusi in casa con lei due giorni: li puo’ correre, salire sui cavallucci (da ferma o massimo 1 o 2 giri), sale sulle panchine, vede altre persone..
non ne siamo entusiasti e a leggere questo post e i commenti mi viene in mente che ci sia qualche attivita’, qualcosa che mi sfugge: voi cosa fate?
abbiamo diversi parchetti vicino casa e in piu occasioni di tempo incerto mi ci sono ritrovata quasi da sola (a parte immigrati), pero’ ripeto se fa proprio freddo o piove e poi non possiamo stare al parco tutto sabato e domenica..
una volta facevamo molte piu gite, andavamo a sciare, al lago, ma con una bimba (con lei) è uno sbattimento per tutti ed è piu complicato (oltre al fatto che io ahime non lavoro piu e i soldi..)
spero di non aver scritto troppo tardi rispetto al post e che qualcuno mi risponda
E’ la programmazione dei cervelli e dei corpi persino, a identificare lo svago con il consumo, il mall. Coem diceva Henry Ford, “Pago i miei operai perché siano i miei clienti”.
Non nego di amare lo shopping, ma i mall mi danno la claustrofobia, li trovo uno dei luoghi più alienanti della terra, mi spaventa che dei ragazzini ci crescano dentro, in una macchina del consumo che non ti propone niente altro che questa realtà artefatta in cui puoi solo comprare sempre di più…
Io invece non sopporto i centri commerciali, gli outlet e nemmeno i grandi supermercati. Ci vado raramente, mai di domenica e solo per comperare qualcosa che non troverei altrove. Cerco di portarci il meno possibile i figli che invece vengono abitualmente a fare la spesa con noi in negozi più piccoli dove troviamo anche il rapporto umano.
Da anni faccio il confronto con l’estero dove i centri commerciali esistono, sì, ma sono spesso in centro città (ce n’è uno così a Roma, ma non so se posso fare nomi) e non in mezzo ai campi, sono pieni di gente che compra e non passeggia soltanto, sono chiusi alla domenica, quando la gente trova facilmente di meglio da fare. E forse, dato il clima e il luogo, hanno anche un loro senso.
Nonostante questo, nei centri storici – pedonali – le vetrine luccicano.
Ma noi siamo in Italia, caspita! E per quanto io possa ammirare alcuni aspetti del modo di vivere di altri Paesi non posso non notare che basta aprire gli occhi per vedere qualcosa di meglio di una vetrina illuminata.
Senza fare chilometri.
Spesso senza nemmeno pagare.