Ogni stagione vorrebbe essere un nuovo inizio, ma spesso le fatiche e gli stati d’animo sono sempre gli stessi: ci raccontiamo di aver risolto i nodi cruciali dei nostri figli, ma questi tornano al pettine.
E’ una domenica mattina di novembre, me ne accorgo solo dalla luce del sole, che da qualche giorno è più morbida e fa capolino presto.
Fa un caldo insolito per questa stagione, il mio cappotto preferito e’ ancora nell’armadio, avvolto nel cellophane come quest’estate.
Guardo dalla finestra le foglie del mio balcone, mi piace vederle diventare rosse e poi cadere, le raccolgo come un regalo mentre i bambini pensano a dove incollarle.
Mi sono alzata presto, nonostante la stanchezza, avrei dormito un’ora in più per smaltire la serata chiassosa con gli amici, i bicchieri di vino di troppo di cui mi pento sempre il giorno dopo.
I bambini hanno iniziato appena svegli, il mio sonno è più leggero e sento subito le voci, le grida, i lamenti. Preparo il caffè e li guardo, li osservo, mi capita molto ultimamente, inizio a parlare ma subito mi taccio, sto in silenzio.
A volte sono arrabbiata ma più spesso triste, ripenso a quest’estate e mi sembra che non sia cambiato niente.
Mi rivedo ad Alghero nella mia settimana da sola, a piantare un ombrellone nella sabbia mentre sentivo loro, dietro, presi da litigi senza fine tutto il giorno.
Ricordo quanto mi sentivo sconfitta, in quel mare che da sempre è il mio rifugio e che quest’anno sembrava una prigione, buia e fredda, con me immobile incapace di invertire la rotta.
Ripenso alle onde, alle piste di biglie che costruivo per loro con pazienza, affondando le mani nella sabbia fredda, con le lacrime pronte a sorprendermi in pieno giorno.
Guardavo con tormento le foto postate dalle mie amiche: sorrisi aperti e abbracci di bambini che mi sembravano più sereni dei miei, più felici, più capaci di godere del tempo con i loro fratelli.
Guardavo quelle immagini e subito dopo i miei figli litigare senza rispetto. Mi sembravano mondi diversi, lo trovavo ingiusto e inaccettabile.
Ho fatto fatica a ricacciare le lacrime giù per la gola, spesso le ho lasciate scorrere come fiumi, in quelle giornate di caldo atroce e insopportabile.
Quanto è passato da allora?
Quattro mesi.
Quattro mesi di speranze, quattro mesi di bugie.
Mi sono detta più volte che le cose erano cambiate, migliorate, diverse.
Oggi, in questa domenica dal caldo anomalo nonostante il rosso delle foglie, sento di dovermi sbattere in faccia quello che i mesi scorsi non ho voluto ammettere.
Ho mentito a me stessa.
E’ cambiato poco da luglio, forse non è cambiato niente.
Le giornate intense, dense di impegni, nascondono ciò che in vacanza è stato sotto i miei occhi per otto giorni interi, e mi ha disarmato e afflitto.
La gelosia del primogenito è rimasta la stessa, per quanto mi sforzi di dare a lui più importanza, di rendermi complice, di gratificare i suoi risultati e le sue conquiste.
La sua rabbia è identica, e così la sua incapacità, talvolta, di gioire per i successi dei suoi fratelli, per un dieci loro a scuola, per uno dei goal che segnano alla partita. Lui tifa per gli altri, desidera che il capocannoniere della squadra non sia uno dei gemelli, ma il suo compagno. Lo dice apertamente, ed esulta solo quando a segnare è uno dei loro amici.
L’equilibrio traballante è rimasto lo stesso, anche quello non è mutato da quest’estate.
L’inquietudine di uno dei gemelli non si è spostata di una virgola, nemmeno di un passo. La sua irrequietezza, capace di far perdere la bussola a tutta la famiglia, è semplicemente più prevedibile, ma non è mutata.
In un minuto può destabilizzare me e tutti gli altri, se la parola che dico o l’intenzione che esprimo non è quella giusta, non quella che si aspettava.
Ho aggiunto un tassello alla mia consapevolezza, quello sì, come ho detto il mese scorso, perché ho capito che certe caratteristiche fanno parte di lui, e con esse devo fare i conti.
Ma la fatica resta.
Non posso permettermi di abbassare la guardia, talvolta esco per prendere una boccata d’aria, cammino per un’ora su strade trafficate specchiandomi nelle vetrine dei negozi.
Mi pesa vedere che il tempo insieme a loro non basta, non sono paghi di una gita fuori porta o di un pomeriggio in giro per la città a vedere cose belle.
Organizzo, con entusiasmo, e mi scontro con una realtà di fatiche, perché sono troppo distratti da loro stessi, dalle loro dinamiche difficili che non riescono (né riesco io), a scardinare.
Non riescono a godere di ciò che c’è intorno, né la reciproca compagnia, o la nostra, perché quando siamo da soli è più forte il groviglio di sentimenti che li porta al reciproco tormento.
E ne soffro, e mi chiedo ancora per quanto.
Ogni tuo post mi colpisce duro, Vale. Come se le tante similitudini che ci sono nelle nostre vite suonassero ogni giorno le stesse corde. E a volte mi conforta e a volte mi spaventa ma, davvero, è come se fossimo la stessa persona in due vite parallele. Le stesse lacrime, lo stesso sconforto. La stessa mancanza di risposte. Che non ci sono, temo. Forse anche io ho solo aggiunto consapevolezza.
Cara Valewanda, la tua amarezza mi colpisce perché anche io, da bambina figlia unica, notavo sempre solo la felicità di chi aveva fratelli e sorelle, mentre la gelosia passava in secondo piano. Se a te, come a me, la ricchezza dei fratelli è tanto mancata, forse facciamo fatica a capire chi non è sempre entusiasta di averli accanto. Chi i fratelli li ha avuti fin da piccolo, mi ha sempre raccontato di gelosie, baruffe e litigi. Da figlia unica sentivo di avere di fronte due temibili contendenti, che non ho mai potuto affrontare ad armi pari. Chi aveva tanti fratelli come i miei cugini, invece, passavano il tempo azzuffandosi per sottrarsi i giochi (qualcuno la chiama “condivisione” ahahah, a me sembrava piuttosto “lascia la mia macchinina oppure ti do un morsico”) e anche se sembravano meno posati di una tranquilla figlia unica, avevano imparato nel frattempo a difendersi più lestamente e a contare su se stessi, non solo sull’appoggio degli altri. Insomma è una bella palestra in cui giocano a tanti sport… non prendere il sollevamento pesi tutto da sola….farsi carico della felicità degli altri è uno sport usurante… Ti abbraccio
@close, grazie. Faccio sempre così, mi prendo il peso da sola e me lo tengo sulle spalle fino a sentirmi addosso un macigno enorme. Credo che il fatto di non avere fratelli in tutto questo non mi aiuti, perché sono dinamiche che non conosco. Mio marito invece, che di fratelli maschi ne aveva due esattamente come i nostri figli, e’ molto meno affranto di me. Anche se, a detta sua, le dinamiche erano ben diverse, e molto meno conflittuali.
E come mai secondo te lui è meno affranto? La trova una cosa più normale? Comunque nel quadro che hai descritto, i tuoi figli sembrano considerarti equidistante con loro. Cioè malgrado la gelosia, tu (e tuo marito) non siete accusati di favorire uno dei tre, sbaglio?
Bouleversant…
Io fluttuo attorno alla sua vita, seminando… a volte lui spazza tutto come un tornado, e ricomincio a seminare.
È più facile scrivere di sorrisi e d’amore, o forse per altri è così e basta.
Cosa cambia? E Quando cambia? Non cambia nulla. Loro sono così, lo sanno.
Ora che è cresciuto mi capita di raccogliere qualcosa di quello che ho seminato, in un gesto, in un sorriso, in un abbraccio… e quello che vedo mi piace. Ma è solo una tregua 🙂
“… Lui spazza tutto come un tornado…”. Già, tre tornadi che trascinano tutto via come foglie al vento. Ma sono sicura di quello che dici, un giorno raccoglierò i frutti.
Raffaella, grazie per il tuo commento. Io non credo che da grandi saranno così, penso e so che ci sono cose che con il tempo cambiano. Ma vorrei riuscire a trasmettegli questo piacere di stare insieme, di avere dei compagni di gioco (che a me mancavano, da figlia unica), e in questo non riesco, a volte proprio non si sopportano e l’unica strada è separarli o uscire con gli amici. E’ questo che non riesco ad accettare, che a loro non basti la nostra famiglia, e non riescano a star bene quando siamo soli (non sempre ma spesso).
Un post intenso in cui mi rispecchio, anche se forse con un pizzico in meno di fragilità rispetto a te. Io mi arrabbio, mi sento sconfitta, mi abbatto. La loro gelosia, i loro meccanismi, i loro, loro, loro. Ecco forse sono solo loro. Poi però mi dico che no, non vorrei che un giorno, da grandi, i loro rapporti fossero questi. E che io come genitore ho un ruolo guida: sono il loro cane guida, ho lo stesso ruolo del cane di un non vedente. Accompagnarli. Un abbraccio e grazie per la condivisione.