Un bambino, due genitori e una diagnosi sbagliata

C’era una volta un bambino. Questo bambino, un giorno, comincia l’asilo.
La maestra dell’asilo, dopo qualche settimana, chiama a colloquio i genitori del bambino: questo bambino non mi parla quasi per niente, questo bambino non fa che leggere o disegnare, questo bambino non è cattivo ma sta un po’ troppo per conto suo, questo bambino sembra che non ascolti però poi capisce tutto, questo bambino sembra sempre da un’altra parte con la testa, dice la maestra.
Questo bambino, dice la maestra, forse ha qualcosa che non va.

I genitori sono abituati al suo modo di comportarsi, pensano, e si fidano della maestra; è una maestra, pensano, sa quel che dice. I genitori allora s’informano e portano il  bambino in un famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile. Molto cordiali e simpatici, i medici prendono il bambino e decidono di fargli fare una settimana da loro: invece di andare all’asilo va da loro, a fare più o meno le stesse cose – disegnare, giocare, leggere – ma sotto osservazione e insieme ad altre attività più interessanti per i dottori e guidate da loro.
Dopo questa settimana i genitori aspettano sei mesi per avere un responso. Sei mesi nei quali si chiedono, giorno e notte, tra le loro parole, mentre pensano da soli, mentre parlano con gli altri, se il loro bambino ha qualcosa, e se questo qualcosa ha un nome e qual è questo nome.
Sei mesi perché, malgrado i genitori del bambino telefonino spesso, i medici fanno fatica a riunirsi, a vedersi, a decidersi, a scrivere, hanno tutti molto da fare e per produrre in forma scritta dei risultati ci vuole tempo. Tempo che i genitori del bambino passano a chiedersi giorno e notte, tra le loro parole, mentre pensano da soli, mentre parlano con gli altri, se il loro bambino ha qualcosa, e se questo qualcosa ha un nome e qual è questo nome.
Dopo sei mesi, allora, i genitori del bambino vengono convocati nello studio del grande e famoso professore che coordina i dottori del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile. Il grande e famoso professore gli dice, sorridendo, che il loro bambino ha quella cosa – quella cosa lì, che avevano già sentito dire dalla maestra, che si sente nominare spesso, che viene citata spesso per il suo mistero, per il suo alone di tragica fatalità, di abisso insondabile, di cause ignote – ma in forma lieve, per nulla preoccupante. Ma cronica. Il grande e famoso professore dice proprio così ai genitori del bambino: in forma lieve ma cronica.
I genitori del bambino adesso hanno un altro problema, oltre alla malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma lieve ma cronica che ha il loro bambino: il problema di se e come dire al bambino della malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma lieve ma cronica che ha.

I genitori del bambino si rendono però conto che nel tempo passato tra le visite mediche nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile e il responso del grande e famoso professore, sono passati dei mesi nei quali il loro bambino  è molto cambiato. Decidono che è necessario un altro parere, una conferma o una correzione, accettando il rischio che possa dare un esito ancora peggiore della prima diagnosi.
Allora i genitori del bambino si rivolgono all’ASL del loro territorio, che ha una struttura adatta per diagnosticare anche la malattia incurabile insondabile incomprensibile che il loro bambino ha in forma lieve ma cronica, e dopo ormai un anno dalla prima serie di visite e controlli nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, portano il loro bambino nel frattempo cresciuto e cambiato nella ASL del loro territorio. Anche qui un gruppo di simpatici e cordiali medici se lo tiene per qualche giorno consecutivo, facendogli fare più o meno gli stessi test e le stesse attività che aveva già fatto nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, e stavolta c’è anche uno dei due genitori ad assistere e a rispondere a qualche domanda.
Anche in questo caso i genitori però devono aspettare molte settimane, perché non è facile coordinare tutte le persone coinvolte nel processo diagnostico, nei test, negli esami. Il dottore responsabile dell’ASL del loro territorio, raccolti i pareri dei suoi colleghi ed acquisita la documentazione precedente sottoscritta dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, convoca finalmente i genitori un giorno e gli dice che la malattia incurabile insondabile incomprensibile che il loro bambino ha è peggiorata, dando al loro bambino caratteristiche di asocialità e di intrattabilità che rendono necessario – dice il dottore responsabile – rivolgersi a strutture specializzate nel trattare un bambino con quella forma della malattia incurabile insondabile incomprensibile. Allega al rapporto una lista di queste strutture presenti nel territorio della ASL.

A questo punto i genitori hanno un altro problema, oltre alla malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave del loro bambino e a quello di se e come dire al bambino della malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave. Il problema è l’evidenza, al di là dell’inevitabile distorsione dovuta al loro amore di genitori, che il bambino descritto nel rapporto firmato dal dottore responsabile dell’ASL del loro territorio, corroborato dal precedente rapporto firmato dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, non è il loro bambino.
I genitori del bambino non hanno mai visto quelle cose descritte lì accadere al loro bambino; non hanno mai visto il loro bambino comportarsi come viene descritto lì, né riconoscono nelle caratteritiche assegnate al loro bambino il bambino che vive con loro. Allora i genitori del bambino decidono che è necessario un altro parere, una conferma o una correzione, accettando il rischio che possa dare un esito ancora peggiore della prima diagnosi e della seconda diagnosi. Stavolta però si rivolgono, dopo molti sacrifici economici, a una struttura privata specializzata anche nella malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave.

Sono passati ormai più di due anni da quando la maestra ha fatto le sue osservazioni sul bambino. I due genitori, per ora, hanno solo una certezza: non sanno né se il loro bambino ha qualcosa o è qualcosa, né sanno se è il caso di farglielo capire chiaramente oppure no. Ormai il bambino ha più di sei anni, è parecchio intelligente, ed è evidente che comincia a capire anche lui che qualcosa non va – oppure che lo si sta prendendo in giro per chissà quale motivo.
Anche nella struttura privata specializzata i simpatici e cordiali dottori si tengono il bambino per tanti giorni diversi, però i genitori sono convocati per un responso quasi subito dopo l’ultima visita, l’ultimo test, l’ultimo controllo. Più o meno le parole con il quale comincia il suo discorso il dottore fondatore della struttura privata specializzata sono le seguenti: “Bene, il vostro bambino non ha nulla di particolarmente grave. Certo ha un carattere un po’ chiuso, ma è molto sensibile ed intelligente, forse anche un po’ troppo per la sua età. Chi gli sta intorno dovrà un po’ ‘fare i conti’ con questo suo carattere ma tutto lì. Ma voi perché lo avete portato qui? Cosa pensate che abbia?”
Al che i genitori del bambino che adesso ha solo un carattere un po’ chiuso ma è molto sensibile ed intelligente raccontano le vicende precedenti – prima di finire le visite al bambino nessuno della struttura privata ne ha mai fatto richiesta o menzione – e mostrano i rapporti firmati dal dottore responsabile dell’ASL del loro territorio e il rapporto firmato dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile.

Il dottore fondatore della struttura privata specializzata, mentre legge quei rapporti, trasecola. Si mette le mani nei capelli, scuote la testa. Si domanda anche lui, come i genitori del bambino, se quello di cui si parla in quei documenti sia davvero lo stesso bambino che ha visto lui. Spiega – dopo la lettura – che purtroppo la malattia incurabile insondabile incomprensibile è molto di tendenza, la si diagnostica con una certa facilità sulla base di pochi protocolli tra quelli che sarebbe doveroso applicare sempre tutti per avere un quadro clinico affidabile, e che dando al bambino e ai genitori del bambino la possibiltà di usufruire di tante facilitazioni scolastiche e mediche c’è un certo lassismo nel darla come presente in una delle sue tante forme.
Ascoltato il parere – costoso ma utile – del dottore fondatore della struttura privata specializzata, i genitori decidono che il loro bambino ha solo un carattere un po’ chiuso ma è molto sensibile ed intelligente, cose che dopotutto sono ampiamente confermate dalla vita che stanno da sempre trascorrendo con lui.
E vissero tutti felici e contenti.

Bene, spero che la favola vi sia piaciuta: perché, mi scuso per la disonestà narrativa che ho usato, la storia non è una favola; è vera ed è quello che è successo a noi, a nostro figlio. Ho evitato di fare nomi e cognomi, nomi di luogo e di istituzione, ho anche usato il maschile come “neutro” per tutti i generi, perché non credo che in fondo quelle siano informazioni importanti. E’ importante dire che questo non ci ha insegnato né la diffidenza verso le istituzioni pubbliche né la fiducia inattaccabile in quelle private. Siamo ancora parecchio arrabbiati, ma non abbiamo nessun desiderio di vendetta. La cosa che, a distanza di tempo, ci fa ancora male è vedere come alcuni comportamenti deontologicamente esecrabili siano diventati “sistema”, prassi, azione deresponsabilizzata e deresponsabilizzante anche nel caso medico, clinico, diagnostico. E tutto questo fa entrare la nostra piccola storia in un più ampio discorso politico, etico e d’amore, che però qui non è possibile neanche iniziare. Ma c’è.

In queste sere nelle quali i nostri figli vedono con noi le Paralimpiadi londinesi con lo stesso gusto col quale hanno visto le precedenti Olimpiadi, sento che ci siamo comportati, alla fine, nel miglior modo possibile. Ma non capisco ancora in che senso.

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174 thoughts on “Un bambino, due genitori e una diagnosi sbagliata”

  1. Ciao un bambino e due genitori ( non ho rintracciato il vostro nome), io ho tre bambine e la più grande da sempre ha mostrato segni simili al vostro.
    Le maestre all’asilo non hanno mai evidenziato commenti particolari, solo che tendeva a non fare troppa amicizia, ovvero era mite e socievole “su richiesta” ma preferiva giocare per conto suo.
    Alle elementari, la maestra mi dice che “é amata da tutti” ma anche che se fa qualcosa “lo fa con tutti i sensi”, “si isola completamente” e “non si accorge di cosa le succede intorno”.

    E’ intelligente ed a scuola va molto bene ( ha 8 anni), ma quando la chiamo, normalmente non mi sente, é come se fosse in un altro mondo,occorre letteralmente urlarle nelle orecchie o scrollarla fisicamente… e se può, si rifugia nei suoi amati libri, che legge forsennatamente e non necessariamente da capo a fondo ( del tipo che se c’é un libro sul divano lo apre ed inizia a leggere da una pagina qualsiasi).

    La mia impressione é che non sia una vera malattia, ma nemmeno solo una “quedstione di carattere”. Mi pare piuttosto un modo di funzionare del suo cervello leggermente diverso dalla norma, in certe situazioni. Ma vorrei che questo non le creasse problemi nelle sue attività, nelle relazioni, e nella vita pratica ( tipo che attraverso la strada e se sto pensando ad altro non mi accorgo che arriva un camion). Vorrei cioé capire se si può fare qualcosa a livello di stimoli od attività particolari per mitigare questa caratteristica in età adulta, o per favorire uno sviluppo più equilibrato delle sue capacità cognitive.

    Mi piacerebbe tenermi in contatto con voi ed avere magari un vostro consiglio, in base alla vostra esperienza, su cosa fare:
    – rivolgersi ad un neuropsichiatra?
    – rivolgersi ad uno psicologo infantile?
    – non fare nulla?

    grazie!
    Tommaswina

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  2. @tutti
    finito il periodo di osservazione di terminator… 5 incontri di un’oretta con un neuropsichiatra infantile, a cui non ho potuto assistere. Ancora nessuna diagnosi… dobbiamo tornare da soli, mio marito ed io, per fare noi stessi dei test e poi ci sarà la relazione finale di un altro dott (che non ha mai visto mio figlio), il superProfessoreSuperVisore… il medico non ci ha detto altro… non ha voluto dare nessun tipo di giusdizio. non sono risucita a “strappare” che un misero “gli incontri con terminator sono andati bene… c’è solo una “lieve” immaturità…”. e non so cosa significa…
    intanto sono incerta se a settembre mandarlo in prima o no… non è una questione di capacità di fare, ma appunto di capacità di stare alle regole: stare seduto 3/4 ore, tornare a casa e fare i compitini… a scuola le maestre continuano a dire “sta in un mondo tutto suo…”…

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  3. Luca, non ho alcuna intenzione di farti cambiare idea, ma mi preme ricordare a tutti che, come dici tu stesso, “Internet è pieno zeppo di pubblicazioni, trattati e documenti che attestano ciò che sto dicendo io, basta solo cercarli ed essere disposti a leggerli (e questo è il punto più importante)”. Cioè, su Internet c’è tutto e il suo contrario. Non mi pare il caso di mettersi a fare guerre di link supportati da visioni apocalittiche.
    Quello che credo sia più attendibile – cosa che ho cercato di far capire raccontando la mia storia – è l’esperienza che ciascuno si fa vicino al proprio figlio, ricordandosi che è lui il punto di riferimento più importante, al di là di camici bianchi, libri, siti internet e colossi farmaceutici. E che vanno ascoltate tutte le campane, senza fermarsi alla prima opinione, per quanto autorevole – abitudine che, penso, già da sola basterebbe a evitare scenari apocalittici per le prossime generazioni.

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  4. Esistono bambini con tempi di apprendimento lunghi o con bisogni pedagogici diversi da quelli che la scuola in cui si trovano è in grado di dare. Esistono bambini con difficoltà di autocontrollo che non permettono loro di adattarsi al sistema scolastico in cui si trovano e che va bene ad altri (o che altri si fanno andare bene). Ci sono bambini con difficoltà relazionali e di autocontrollo e concentrazione per ragioni diverse da famiglie incoerenti a troppo rigide a troppo morbide. Dare a tutte queste PERSONE un’etichetta unica è comodo se permette di avere aiuti competenti (io tendo a escludere l’uso dei farmaci perché il più delle volte altri interventi sono risolutivi, ma non sono un neuropsichiatra) e maggiori risorse. E’ comodo, non so se sia corretto scientificamente, né giusto. Non lo so.

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  5. @ Silvia: non solo non è pericoloso affermare che l’adhd è solo una manovra di marketing delle case farmaceutiche per vendere psicofarmaci ai genitori che credono così di curare i loro bambini, ma è assolutamente necessario.

    Non esiste UNA SOLA PROVA scientifica che una difficoltà di apprendimento possa essere trasformata in una malattia e quindi curata con medicine o psicofarmaci.

    E’ invece MOLTO pericoloso e soprattutto criminale trasmettere il messaggio che un bambino che abbandona gli studi o che viene allontanato da scuola abbia qualche malattia e non, invece, difficoltà di apprendimento che purtroppo molti, troppi insegnanti di oggi non sanno gestire e risolvere.

    Comunque, Silvia, a me interessa poco convincere te del contrario di ciò che pensi con tanto ardore: Internet è pieno zeppo di pubblicazioni, trattati e documenti che attestano ciò che sto dicendo io, basta solo cercarli ed essere disposti a leggerli (e questo è il punto più importante).

    Mi interessa invece salvaguardare la vita futura di mio figlio e di più ragazzi possibili, visto che evidentemente il pensiero “ragazzo difficoltoso = malato” sta facendo presa soprattutto fra coloro che pensano che un camice immacolato e qualche parola introvabile sul vocabolario rappresentino ed identifichino “l’autorità” nel campo della salute mentale degli Esseri Umani.

    Mi interessa solo ed esclusivamente avere la possibilità di una generazione futura capace, forte ed intelligente su cu contare, e non una massa di drogati a cui è stato detto come comportarsi e reagire “bene”.

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  6. Ho letto tutto il racconto che hai scritto su tuo figlio, Lorenzo. Sono padre di un bellissimo bimbo di 2 anni e qualche mese..e conosco molto bene le esperienze di amici ed amiche che si sono trovati nella tua situazione e, a quanto pare, anche delle altre persone che scrivono sul tuo “muro”.

    Ho letteralmente “strappato” un ragazzo di 12 anni dalle mani di una psichiatra che, dovendo “curare” il ragazzo da quella INESISTENTE “malattia” chiamata adhd, avrebbe voluto drogarlo con un pò di Ritalin, che all’epoca era vietato in Italia e che ora sembra che venga introdotto “sotto osservazione” (non so cosa significhi, visto che devono venderlo). Ho poi insegnato a quel ragazzo a studiare e ad usare un dizionario, visto che la natura della sua “malattia” era che non sapeva i significati delle parole e, quindi, dava di matto a scuola.

    Posso solo dire che, se avessero dovuto dare una definizione del mio comportamento da piccolo e trovare una “soluzione” alla mia vivacità un pò eccessiva, avrebbero dovuto darmi tutti gli psicofarmaci esistenti in commercio in dosi da cavallo….e invece ho avuto la fortuna di avere, in questa vita, 12 anni quando ancora i bambini non rappresentavano potenziale clientela per le case farmaceutiche.

    Ho letto addirittura che c’è una “Associazione di famiglie ADHD”….non oso nemmeno pensare alla disperazione dei genitori a cui viene raccontata la balla che loro figlio è MOLTO malato ed ha assoluto bisogno di un calmante o di un aiutino per farcela a scuola.

    Per questi genitori, sappiate che vostro figlio NON E’ MALATO DI NULLA, che se vogliono curarlo per una malattia inesistente avete a che fare con dei CRIMINALI a cui nulla frega della salute del vostro bambino e soprattutto di voi, visto che non riescono nemmeno a mettere in relazione l’aumento dei suicidi ed omicidi in America con l’aumento esponenziale dell’uso degli psicofarmaci in età scolare.

    Personalmente credo che il giorno in cui andrò ad accompagnare mio figlio il primo giorno di scuola elementare ci andrò con le idee molto chiare….che ovviamente comunicherò in modo molto amichevole agli insegnanti: se vi azzardate a classificare mio figlio, se solo vi venisse in mente di parlare con qualche psicologo, se solo smettete di fare per un secondo il vostro lavoro di insegnanti per trasformarvi in infermieri al soldo della Asl locale….sarà opportuno che mettiate un fossato ed un ponte levatoio davanti alla scuola…il perchè lo dovranno scoprire.

    Con amicizia. Luca

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    • Luca, non trovi che possa essere un po’ pericoloso anche definire l’ADHD come una malattia inesistente? Che l’uso di psicofarmaci in età pediatrica sia un argomento difficilissimo da affrontare siamo d’accordo. Del resto nella nostra cultura medica c’è una certa attenzione ad evitare cure del genere se non assolutamente necessarie (purtroppo non c’è in altre culture, come tu evidenzi). Ma non sono d’accordo sul trasmettere il messaggio che l’ADHD non esista: prima che se ne parlasse nelle scuole si parlava solo di “bambini cattivi”, che finivano per abbandonare gli studi ed essere allontanati da scuola in età precocissima. Così come i dislessici erano i “bambini somari” senza speranze.
      Tra curare in modo eccessivamente invasivo e negare, c’è di mezzo un territorio vasto, che può essere più ospitale per chi ha una diagnosi di ADHD rispetto ai due estremi.
      Grazie comunque per la tua testimonianza.

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  7. Vedevo l’altro giorno un episodio del Dr House in cui il paziente non aveva filtri e diceva tutto quel che pensava. Tra le altre cose diceva che esiste una media perché c’è chi sta sopra e chi sta sotto. Appunto esiste un comportamento “normale” perché c’è chi lo ha diverso.
    Non so se è un’osservazione estremamente banale o acuta. Ci sto ancora pensando.

    Sempre ragionando sulla mia esperienza ho invece osservato che nella maggioranza dei casi si hanno delle idea irrealistiche sulle capacità di comprensione dei bambini. E’ talmente facile usare un linguaggio o dei modi incomprensibili per i bambini!
    Ad esempio i bambini non capiscono “l’esasperazione”. Un adulto ripete una comunicazione un tot di volte con calma, poi si arrabbia e urla. E’ usuale che un bambino non abbia neppure ascotato le tot volte perché concentrato su altro (gioco, tv, fantasticherie) e impegnato a escludere tutti gli elementi di disturbo persone, suoni,rumori e altri stimoli e percepisca come del tutto assurdo l’urlo finale e l’irritazione dell’adulto che, magari, lo sconvolge talmente da sentire solo lo stato emotivo negativo e aggressivo e non la comunicazione.

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  8. Uh, guarda. Sembra che parli di Ivan 🙂
    Io non posso – e non voglio – darti nessuna rassicurazione o consiglio, perché non ne ho le competenze. Però posso dirti, da quello che leggo, che stai facendo tutto il possibile. Anche se non riuscite a parlare molto, ci sono tanti altri linguaggi: usali. Non c’è alcun bisogno di parole se vedi che si è divertito – o se senti che la maestra non gli piace. Fallo sentire tranquillo e digli in tutti modi, anche non verbali, che le sue espressioni – qualunque esse siano, pure il silenzio – sono accettate, e se non sono chiare diglielo pure. Basterà dirlo una volta, sono sicuro che capisce benissimo tutto 🙂
    P.S. Io ho buttato via la parola “normale”. Si vive benissimo anche senza.

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  9. ho cominciato il periodo di osservazione per terminator. Siamo al secondo incontro. I medici non dicono nulla, mi danno solo appuntamento per la settimana successiva. Terminator sta lì con un medico e gioca con il contenuto di una scatola per circa un’ora. Non so cosa fa, chiuso in quello studio. l’ultima volta mi ha detto che ha giocato con un cowboy. Io a volte non so nemmeno spiegar loro perché siamo lì… A volte mi sembrano ragioni stupide: non si ferma mai, gli devo chiedere le cose mille volte ed alla millesima urlare per farmi seguire, non riesco a comunicare con lui in modo “diretto”, non mi racconta nulla di quello che fa lontano da me, crea situazioni di panico ad ogni cambiamento. a scuola la maestra mi dice che certe volte si estranea, sta con la testa da altra parte, che se gli rivolge delle domande non sempre risponde correttamente. A volte parte come una valanga, ma a volte il senso di quello che dice non è chiaro, come se volesse dire tante cose, ma in fondo non dice nulla: come se avesse confusione in testa, conclude la maestra. e poi mi dice “è normale…?”… Bella domanda… vorrei poterle rispondere con sicurezza. A me certe volte mi “sembra” “solo” amplificato, e più leggo il libro della kurcinka e più mi ritrovo… altre volte lo guardo e mi vengono mille preoccupazioni… perché anche se avverto che ha delle difficoltà a scuola (non ama la maestra, soprattutto) come a casa, non so come aiutarlo, perché non si fa aiutare… ed a volte non so farlo, perché sono talmente stanca e scuote tutti i miei nervi… a volte penso di andare io da qualche psicologo… perché sono a pezzi.

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  10. E meno male che non hanno fatto una diagnosi!
    Ci vuole un bel po’ di osservazione e in quelle condizioni chiunque sarebbe nervoso, no?
    Un abbraccio

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  11. @tutti
    rieccomi qui, come promesso. Dopo due mesi di attesa, ho portato mio figlio al centro di neuropsichiatria infantile del policlinico della mia città. E’ stata una visita “serena”, c’erano 4 persone, una dott.ssa molto affabile che ci ha fatto un po’ di domande, un dott. che invece è stato in osservazione per lo più in silenzio, insieme ad altre due giovani assistenti. Terminator rispondeva a tutte le domande con precision e disegnava, spiegando il disegno a tema libero che lo avevavo invitato a fare. Collaborativo nei limiti della sua “comprensione”, solo che ad un certo punto ha cominciato (per tre volte) a battere un pugno sulla scrivania, senza però andare in escandescenze e con tono deciso ripeteva “ti dispiacerebbe, ‘sta?!” è una frase dal film “I puffi” che usa gargamella per lanciare il gatto birba in un muro fittizio che nasconde il villaggio degli ometti blu… A parte questo devo rendergli il merito di aver sopportato la visita “senza sclerature”. Qualche anno fa sarebbe stato impossibile! Non mi hanno fatto nessuna diagnosi, dicendomi che un colloquio non basta per individuare se c’è un problema e che mi avrebbero richiamato a Gennaio per tenerlo un po’ in osservazione. Escludono problemi patologici, per cui non mi hanno prescritto esami clinici. Vogliono solo osservarlo per piu’ di tempo per capire se per es. la reazione che ha avuto, che hanno definito “di chiusura” sia un effetto di difesa o c’è qualche altra cosa. Vogliono indagare per scrupolo… Quindi sono “senza diagnosi” o meglio è tutto ancora rimandato… Intanto vedo i passi avanti che fa il mio terminator, come quello di mettersi tranquillo a disegnare, mentre lo rifiutava completamente, di ubbidirmi, di rispettare le regole. Io lo osservo molto… a volte con orgoglio perché mi sembra così meravigliosamente speciale altre con ansia… perché non tutti (maestre in primis) sanno accogliere e gestire un bimbo come lui… A volte non ci riesco nemmeno io. E forse è proprio questa incapacità a far danni… forse. Eppure devo dire che ora che mancano tre mesi al suo quinto compleanno, ne ha fatta di strada. Anzi, ne abbiamo fatta. Ma resto sempre con la domanda “è tutto normale?”. Vi aggiornerò in seguito…

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  12. @elena,

    come hai letto nel mio racconto, per noi è stato il “privato” a dimostrare il minimo interesse a patologizzare quelle che erano le caratteristiche di Ivan. Posso solo suggerirti, se hai tempo e modo, di non soffrire in anticipo per cose ancora da appurare e di sentire più “campane” prima di prendere decisioni.
    E, ovviamente, guarda nel frattempo quello che succede a tuo figlio.
    Dàje così.

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  13. Elena, potresti benissimo non accettarlo anche se fosse vero ( a parte che non mi è chiara come diagnosi… sono solo maestra, ma non ho mai sentito una cosa così ampia e indefinita) perché qualunque cosa va capita e metabolizzata.
    Premesso questo per me è sempre più affidabile, anche se ci vuole pazienza per le liste d’attesa, un centro pubblico che non ha “interesse” a patologizzare nessuno e che vede tantissimi bambini.
    Poi dipende da dove vivi; a Milano ci sono diversi centri.
    Puoi valutare anche da te come e quanto è stato visto tuo figlio e se puoi considerare valida una diagnosi o se è stata fatta con superficialità.
    Ma soprattutto valuta cosa vi viene consigliato di fare, al di là delle “etichette”.

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  14. l’ altro ieri una neuropsichiatra mi ha detta la sua diagnosi riguardo mio figlio… mi dice suo figlio soffre del disturbo multiplo e complesso dello sviluppo mi fà capire che è malato.. bè io non è che non accetto la cosa.. ma non accetto che si descriva mio figlio x quello che non è.. quindi vorrei un consiglio devo rivolgermi ad altri dottori ma di chi ci si può fidare?

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  15. Riconosco talmente tante delle cose che dicono Ema e Dafne, che avrei voluto leggerle o saperle quando i miei avevano sui 4-5 anni e non capivo. Certe volte è vero che una cosa che a noi sembra che l’ abbiamo spiegata bene non ci rendiamo conto che non hanno ancora gli strumenti per capire.

    Una volta a mio figlio, che si lamentava che la maestra gli stava sempre addosso, ho spiegato che la povera maestra ha tanti bambini da far lavorare e che se quindi lui qualche volta, puramente per amore della maestra e simpatia umana, provava a fare quello che lei chiedeva subito, poi lei vedendolo al lavoro si andava a occupare degli altri e a lui sarebbero rimasti degli spazi in cui fare quello che voleva. Lì ha avuto uno sguardo diabolico, ma semplicemente perché finalmente gli si spiegavano di botte situazioni fino a quel momento incomprensibili.

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