C’era una volta un bambino. Questo bambino, un giorno, comincia l’asilo.
La maestra dell’asilo, dopo qualche settimana, chiama a colloquio i genitori del bambino: questo bambino non mi parla quasi per niente, questo bambino non fa che leggere o disegnare, questo bambino non è cattivo ma sta un po’ troppo per conto suo, questo bambino sembra che non ascolti però poi capisce tutto, questo bambino sembra sempre da un’altra parte con la testa, dice la maestra.
Questo bambino, dice la maestra, forse ha qualcosa che non va.
I genitori sono abituati al suo modo di comportarsi, pensano, e si fidano della maestra; è una maestra, pensano, sa quel che dice. I genitori allora s’informano e portano il bambino in un famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile. Molto cordiali e simpatici, i medici prendono il bambino e decidono di fargli fare una settimana da loro: invece di andare all’asilo va da loro, a fare più o meno le stesse cose – disegnare, giocare, leggere – ma sotto osservazione e insieme ad altre attività più interessanti per i dottori e guidate da loro.
Dopo questa settimana i genitori aspettano sei mesi per avere un responso. Sei mesi nei quali si chiedono, giorno e notte, tra le loro parole, mentre pensano da soli, mentre parlano con gli altri, se il loro bambino ha qualcosa, e se questo qualcosa ha un nome e qual è questo nome.
Sei mesi perché, malgrado i genitori del bambino telefonino spesso, i medici fanno fatica a riunirsi, a vedersi, a decidersi, a scrivere, hanno tutti molto da fare e per produrre in forma scritta dei risultati ci vuole tempo. Tempo che i genitori del bambino passano a chiedersi giorno e notte, tra le loro parole, mentre pensano da soli, mentre parlano con gli altri, se il loro bambino ha qualcosa, e se questo qualcosa ha un nome e qual è questo nome.
Dopo sei mesi, allora, i genitori del bambino vengono convocati nello studio del grande e famoso professore che coordina i dottori del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile. Il grande e famoso professore gli dice, sorridendo, che il loro bambino ha quella cosa – quella cosa lì, che avevano già sentito dire dalla maestra, che si sente nominare spesso, che viene citata spesso per il suo mistero, per il suo alone di tragica fatalità, di abisso insondabile, di cause ignote – ma in forma lieve, per nulla preoccupante. Ma cronica. Il grande e famoso professore dice proprio così ai genitori del bambino: in forma lieve ma cronica.
I genitori del bambino adesso hanno un altro problema, oltre alla malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma lieve ma cronica che ha il loro bambino: il problema di se e come dire al bambino della malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma lieve ma cronica che ha.
I genitori del bambino si rendono però conto che nel tempo passato tra le visite mediche nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile e il responso del grande e famoso professore, sono passati dei mesi nei quali il loro bambino è molto cambiato. Decidono che è necessario un altro parere, una conferma o una correzione, accettando il rischio che possa dare un esito ancora peggiore della prima diagnosi.
Allora i genitori del bambino si rivolgono all’ASL del loro territorio, che ha una struttura adatta per diagnosticare anche la malattia incurabile insondabile incomprensibile che il loro bambino ha in forma lieve ma cronica, e dopo ormai un anno dalla prima serie di visite e controlli nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, portano il loro bambino nel frattempo cresciuto e cambiato nella ASL del loro territorio. Anche qui un gruppo di simpatici e cordiali medici se lo tiene per qualche giorno consecutivo, facendogli fare più o meno gli stessi test e le stesse attività che aveva già fatto nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, e stavolta c’è anche uno dei due genitori ad assistere e a rispondere a qualche domanda.
Anche in questo caso i genitori però devono aspettare molte settimane, perché non è facile coordinare tutte le persone coinvolte nel processo diagnostico, nei test, negli esami. Il dottore responsabile dell’ASL del loro territorio, raccolti i pareri dei suoi colleghi ed acquisita la documentazione precedente sottoscritta dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, convoca finalmente i genitori un giorno e gli dice che la malattia incurabile insondabile incomprensibile che il loro bambino ha è peggiorata, dando al loro bambino caratteristiche di asocialità e di intrattabilità che rendono necessario – dice il dottore responsabile – rivolgersi a strutture specializzate nel trattare un bambino con quella forma della malattia incurabile insondabile incomprensibile. Allega al rapporto una lista di queste strutture presenti nel territorio della ASL.
A questo punto i genitori hanno un altro problema, oltre alla malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave del loro bambino e a quello di se e come dire al bambino della malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave. Il problema è l’evidenza, al di là dell’inevitabile distorsione dovuta al loro amore di genitori, che il bambino descritto nel rapporto firmato dal dottore responsabile dell’ASL del loro territorio, corroborato dal precedente rapporto firmato dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, non è il loro bambino.
I genitori del bambino non hanno mai visto quelle cose descritte lì accadere al loro bambino; non hanno mai visto il loro bambino comportarsi come viene descritto lì, né riconoscono nelle caratteritiche assegnate al loro bambino il bambino che vive con loro. Allora i genitori del bambino decidono che è necessario un altro parere, una conferma o una correzione, accettando il rischio che possa dare un esito ancora peggiore della prima diagnosi e della seconda diagnosi. Stavolta però si rivolgono, dopo molti sacrifici economici, a una struttura privata specializzata anche nella malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave.
Sono passati ormai più di due anni da quando la maestra ha fatto le sue osservazioni sul bambino. I due genitori, per ora, hanno solo una certezza: non sanno né se il loro bambino ha qualcosa o è qualcosa, né sanno se è il caso di farglielo capire chiaramente oppure no. Ormai il bambino ha più di sei anni, è parecchio intelligente, ed è evidente che comincia a capire anche lui che qualcosa non va – oppure che lo si sta prendendo in giro per chissà quale motivo.
Anche nella struttura privata specializzata i simpatici e cordiali dottori si tengono il bambino per tanti giorni diversi, però i genitori sono convocati per un responso quasi subito dopo l’ultima visita, l’ultimo test, l’ultimo controllo. Più o meno le parole con il quale comincia il suo discorso il dottore fondatore della struttura privata specializzata sono le seguenti: “Bene, il vostro bambino non ha nulla di particolarmente grave. Certo ha un carattere un po’ chiuso, ma è molto sensibile ed intelligente, forse anche un po’ troppo per la sua età. Chi gli sta intorno dovrà un po’ ‘fare i conti’ con questo suo carattere ma tutto lì. Ma voi perché lo avete portato qui? Cosa pensate che abbia?”
Al che i genitori del bambino che adesso ha solo un carattere un po’ chiuso ma è molto sensibile ed intelligente raccontano le vicende precedenti – prima di finire le visite al bambino nessuno della struttura privata ne ha mai fatto richiesta o menzione – e mostrano i rapporti firmati dal dottore responsabile dell’ASL del loro territorio e il rapporto firmato dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile.
Il dottore fondatore della struttura privata specializzata, mentre legge quei rapporti, trasecola. Si mette le mani nei capelli, scuote la testa. Si domanda anche lui, come i genitori del bambino, se quello di cui si parla in quei documenti sia davvero lo stesso bambino che ha visto lui. Spiega – dopo la lettura – che purtroppo la malattia incurabile insondabile incomprensibile è molto di tendenza, la si diagnostica con una certa facilità sulla base di pochi protocolli tra quelli che sarebbe doveroso applicare sempre tutti per avere un quadro clinico affidabile, e che dando al bambino e ai genitori del bambino la possibiltà di usufruire di tante facilitazioni scolastiche e mediche c’è un certo lassismo nel darla come presente in una delle sue tante forme.
Ascoltato il parere – costoso ma utile – del dottore fondatore della struttura privata specializzata, i genitori decidono che il loro bambino ha solo un carattere un po’ chiuso ma è molto sensibile ed intelligente, cose che dopotutto sono ampiamente confermate dalla vita che stanno da sempre trascorrendo con lui.
E vissero tutti felici e contenti.
Bene, spero che la favola vi sia piaciuta: perché, mi scuso per la disonestà narrativa che ho usato, la storia non è una favola; è vera ed è quello che è successo a noi, a nostro figlio. Ho evitato di fare nomi e cognomi, nomi di luogo e di istituzione, ho anche usato il maschile come “neutro” per tutti i generi, perché non credo che in fondo quelle siano informazioni importanti. E’ importante dire che questo non ci ha insegnato né la diffidenza verso le istituzioni pubbliche né la fiducia inattaccabile in quelle private. Siamo ancora parecchio arrabbiati, ma non abbiamo nessun desiderio di vendetta. La cosa che, a distanza di tempo, ci fa ancora male è vedere come alcuni comportamenti deontologicamente esecrabili siano diventati “sistema”, prassi, azione deresponsabilizzata e deresponsabilizzante anche nel caso medico, clinico, diagnostico. E tutto questo fa entrare la nostra piccola storia in un più ampio discorso politico, etico e d’amore, che però qui non è possibile neanche iniziare. Ma c’è.
In queste sere nelle quali i nostri figli vedono con noi le Paralimpiadi londinesi con lo stesso gusto col quale hanno visto le precedenti Olimpiadi, sento che ci siamo comportati, alla fine, nel miglior modo possibile. Ma non capisco ancora in che senso.
Non escludo che possa esserci un problema (ma posso dire, avendo visto centinaia di bambini, che si tratta di casi molto rari se non sono presenti gravi problemi famigliari e/o cognitivi)ed è giusto togliersi preoccupazioni chiedendo a specialisti.
Io posso dire che un errore comune (non dico che sia il tuo e non pensare che abbia potuto dare un giudizio su di te da poche righe) è aspettarsi dai bambini cose che non sono ancora in grado di fare come seguire un ragionamento razionale o essere in grado di controllare razionalmente l’emotività.
La cosiddetta “educazione” funziona proprio perché impone comportamenti che poi si trasferiscono sul piano cognitivo e non, come si tende spesso a fare, chiedere di comprendere cognitivamente quali siano i comportamenti corretti.
Un abbraccio e un augurio che il tempo ti tolga ogni preoccupazione.
@Ema
Forse il mio post ti ha dato l’idea che io sia accomodante con mio figlio. Ma non è così. In passato sono stata anche piuttosto dura. Perché gestire un amplificato non è facile. Ti trovi di fronte ad un muro di NO, anche nelle cose più semplici. Oggi sono giunta più o meno ad un compromesso con me stessa. Ma non cedo dinanzi ai principi educativi (non si urla in casa, non contro le persone, le cose si chiedono gentilmente, la televisione solo dopo cena, etc.). Gli ho spiegato più volte, fermamente e con calma, mettendomi alla sua altezza che deve ascoltare la maestra e dare le “risposte giuste”. La mattina o mio marito od io lo facciamo come gioco in auto, tipo memorandum prima di cominciare la giornata. Proprio come dici, anche in altre situazioni gli ho spiegato, che non sempre possiamo fare cose che ci piacciono, ma si impara anche dalle cose che non ci piacciono. Anzi è proprio uno dei principi in cui credo fermamente che le cose belle “costano fatica”, quindi bisogna rimboccarsi le maniche per ottenerle. Quello che più mi inquieta non è tanto che possa essere inquadrato in qualche modo. Ma che ci sia un problema di fondo.
@Dafne un bambino di 4 anni è ..un bambino di 4 anni.
L’insegnante può essere preoccupata soprattutto che tu possa pensare che lei non lavora con tuo figlio.
Può anche essere che tu assecondi troppo l’indole di tuo figlio, che, come ogni bambino, deve trovare gli strumenti per comprendere il mondo attraverso esperienze e tanti “no”.
Io ho visto tanti bambini superagitati calmarsi quando hanno capito che i “no” restavano “no” qualunque cosa facessero e che le richieste non erano proposte, ma ordini.
Come genitore disturba l’idea che i figli vengano “inquadrati”, omologati (lo so, disturbava anche me per i miei figli e mi disturba per i miei alunni quando vedo che qualche collega fa richieste diverse dalle mie*), ma è necessario che in parte ciò avvenga perché possano convivere nella società e trovare un loro spazio di espressione senza prevaricare gli altri.La società è fatta di tante persone che, talvolta, hanno esigenze diverse da quelle che noi consideriamo importanti, ma bisogno imparare a trovare un compromesso tra le varie esigenze.
Tu hai mai detto a tuo figlio che deve fare quel che gli viene richiesto anche se non gli va? E l’hai detto convinta?Un bambino non può capire il senso delle richieste (e qualche volta nemmeno la maestra che le fa 😀 )ma deve trovare un modo per adattarsi.
*Faccio qualche esempio di mie divergenze con le colleghe: io pretendo (anche facendo rientrare i bambini in classe più volte) che scendano in fila tranquilli (non soldatini, ma quieti) in mensa e che mangino tutti i cibi usando le posate (anche pizza e pollo) e non si preparino panini (se interessa posso spiegare il perché), ma poi li lascio molto liberi e in uno spazio ampio durante il gioco (senza mai smettere di osservarli)dopo il pranzo per almeno un’ora, ma non richiedo cose che sono considerate importanti dalle colleghe come i compiti durante il fine settimana, ricoprire libri e quaderni nelle modalità richieste o completare i lavori in tempi rigidi.
@Ema
il tuo intervento è molto bello. Ma non tutte le maestre hanno la capacità di andare oltre lo schema metodico dell’insegnamento. La maestra di terminator non si arrende dinanzi ad un rifiuto del bimbo di voler fare una cosa, o alla sua voglia di disegnare una pista mentre invece dovrebbe disegnare le foglie dell’autunno. Non cerca un compromesso, una modalità diversa. Lei lo bolla semplicemente come “immaturo”. Non adeguato alle richieste della classe. Ha 4 anni e mezzo ed è all’ultimo anno dell’asilo. Spesso la maestra insinua, “ma com’è che è così irrequieto in questo periodo…?”. ed io le rispondo che non c’è nulla che non va è il suo innato bisogno di muoversi. In compenso mio figlio ha sviluppato o ha innatamente un’agilità fisica sopra la media. Io penso che lui sia fatto così… Un po’ sopra la righe… Detesta le imposizioni, ha bisogno sempre di capire, di decidere in prima persona, quando e se fare una cosa… Le sue risposte “a vanvera”, a scuola come a casa, rivelano che in quel momento non gli interessa quello che gli stiamo chiedendo. In questi giorni lo osservo, cerco su internet, per capire cosa non va. Guardo bimbi della sua età e cerco di capire se c’è una differenza evidente… Ma non ne vengo a capo. Probabilmente è solo amplificato. Intanto, nel dubbio inculcatomi dalla pediatra e da queste continue domande dell’insegnate, ho fissato tra un mese un appuntamento ad un centro di neuropsichiatria infantile. Ho anche il riferimento di un privato molto bravo. Con onorario molto alto ovviamente. aspetterò serenamente la visita tra un mese. poi eventualmente mi muoverò anche privatamente. vi aggiornerò.
Chiedo scusa perché non rileggo mai e lascio ..erroracci. 🙂
@Mammame anche nella mia scuola facciamo il peruiodo di osservazione, ma ha lo scopo di tentare di formare classi equilibrate in cui non siano presenti troppi casi difficili. Questo non permette comunque di individuare tutti i problemi perché ci sono bambini che in quella fase appaiono tranquilli e superano le prove, perché devono essere oggettivamente semplici, e bambini che, a causa dell’emotività, sembrano problematici e poi nella tranquillità della classe, con compagni, insegnanti e spazi conosciuti danno il meglio di sè.
E’ un metodo per formare le classi e non è detto che sia l’unico o il migliore.
Poi quando si individuano dei problemi i tempi perché un alunno possa essere riconosciuto bisogno di sostegno, se viene riconosciuto, sono di circa un anno, nella provincia di Milano, altrove temo più lunghi. Le risorse date a ogni scuola permettono solo poche ore per bambini con problemi lievi e non sono certo risolutive.
Quindi è comunque compito dell’insegnante o insegnanti di classe trovare il modo di far stare meglio un bambino e dargli tutte le opportunità di crescita possibili.
@Dafne cose del tipo di quella fatta da tuo figlio le facevo anch’io. Avevo in odio l’omologazione ed ero un pochino presuntuosa e pensavo che quello che interessava me fosse più importante di ciò che chiedeva l’insegnante. Se, ad esempio, tuo figlio conosce già parole in inglese può considerare stupido fare un lavoro perché, ovviamente, non può avere idea del perché gli viene richiesto e quale perdorso didattico stia seguendo l’insegnante, pensa semplicemente che ha voglia di altro.
Deve (e accadrà) imparare ad avere stima e fiducia nelle insegnanti e fare quello che viene richiesto perché poi ne vedrà i risultati.
Faccio un esempio: moltissimi bambini arrivano in prima elementare che “sanno contare”. In realtà hanno la sequenza dei numeri, a volte anche molto alta, ma non hanno ancora i concetti, fondamentali, di valore posizionale delle cifre.
All’inizio, quando si propongono attività di corrispondenza biunivoca, alcuni si annoiano e invece di disegnare 3 caramelle e scrivere 3, disegnano uno zoo di animli vari e scrivono il numero corrispondente, anche giusto. Sbaglino perché non rispettano la consegna, ma sono disorientati di fronte alle critiche perché convinti di essere stati più bravi. Ma poi capiscono a rispettare le richieste.
Non sono geni, non sono disturbati, sono… bambini.
Non so se mi sono spiegata.
Sono vecchia e ho quasi quarantanni di esperienza e ho conosciuto non solo bambini problematici delle mie classi, ma anche delle altre e bambini con ADHD non ne ho mai visti, ho visto bambini con problemi gravi di apprendimento per reale ritardo mentale, bambini con pluridisabilità, ho visto bambini con grave ritardo mentale e anche bambini con dislessia e discalculia. Ma quella sigla lì (contestata anche da neuropsichiatri) per me corrisponde a “nonsochepescipigliareconquestobambino” perché è estremamente vivace, perché non ha ancora raggiunto la maturità per comprendere quali regole devono essere rispettate e gli adulti, spaventati, non gliele impongono, poche, semplici, chiare. Superato questo si potranno vedere quali specifici difficoltà di appendimento ci siano e affrontarle. La sigla, per me mi pare ovvio, serve solo a etichettare e le etichette agli esseri umani non mi piace metterle.Questo spiega la mia reazione quando ho sentito una definizione, ADHD, che trovo assolvente per gli adulti.
Non so se sono riuscita a spiegare il mio punto di vista.
@monica mimangiolallergia
non mi sono risentita, anzi ti ringrazio! Il problema è che il laboratorio di talento è a Pavia ed io sono di un’altra città. Al momento ho prenotato in ospedale pediatrico, dove la neuropsichiatra mi sembra un’esperta, ma la visita è a Febbraio. Sto cercando in ogni modo di trovare un contatto privato su internet, ma al momento nulla…
@tutte
grazie per il supporto, veramente…
Resta il problema che non so cosa pensare… cioé se terminator è solo simpaticamente amplificato o c’è dell’altro.
A volte mi sembra l’incarnazione di Peter Pan, per quanto siano così fantasiose le cose che girano nella sua testolina. Ma poi mi scontro con la maestra: “tutti hanno capito che i maschietti dovevavo disegnarsi sotto la scritta boy, e le femminucce sotto la scritta girl… terminator ha disegnato una pista. Ha detto che lui è una pista di auto…”. Inutile spiegare alla maestra che magari voleva fare quello e basta e che a casa, giocando, mi traduce tutti i colori in inglese… Io sono di Napoli, se qualcuno volesse darmi un riferimento gli sarei veramente grata.
@barbara, aggiungo un’ultima cosa poi mi taccio, scusate, ma la questione mi preme parecchio. In una delle presentazioni di scuole primarie a cui ho assistito (che non è nemmeno quella che poi abbiamo scelto) l’insegnante responsabile delle attività di sostegno aveva illustrato insieme alla “soglia ludica” e ad altre attività che si mettevano in atto nel primo periodo di frequenza per la composizione delle classi prime, una sorta di programma di osservazione che veniva applicato in quell’istituto ponendo in evidenza l’importanza della diagnosi e del trattamento precoce dei disturbi dell’apprendimento, come dici tu. Ti parlo di una normalissima scuola, in periferia e con non pochi problemi. Oltre ovviamente che per assistere correttamente il singolo alunno, questo lavoro gioca a favore anche dell’istituto stesso(che ci sono sempre i genitori che si vanno a lamentare dal dirigente che in classe i loro figli hanno il “disabile” o l'”iperattivo” e quindi i programmi non vengono svolti, senza considerare la sottigliezza dei tagli agli insegnanti di sostegno, dei problemi organizzativi ecc) . Comunque, vedi bene che il lavoro che ci sta dietro e l’approccio è completamente diverso dal lasciare che il singolo insegnante da solo invii al centro specializzato bambino e genitore perchè dalla sua osservazione suppone che possano esserci dei problemi. Voglio dire che è doverosa un’attenzione e un coinvolgimento delle strutture educative e ci deve essere partecipazione da parte delle famiglie ma penso che sia auspicabile una visione diversa che pian piano si sostituisca alla segnalazione da parte del singolo insegnante, perchè in alcuni casi questo equivale a smettere di cercare risposte almeno sul piano educativo e pedagogico.
@Mammame sono d’accordissimo. Ma una diagnosi specifica, se c’è, può solo aiutare la maestra la scuola e la classe, io penso. Se non c’è, cioè se il bambino non soffre di ADHD ma è solo non omologato o per certi versi immaturo o ha una personalità particolare come nel caso di cui parlava Ema, non c’è dubbio che una maestra attenta e capace fa la differenza…
@barbara, il ruolo della maestra non è diagnosticare una malattia, per questo scopo, come ha giustamente fatto ema si può chiedere una consulenza a chi abbia le competenze professionali adeguate a diagnosticare se si hanno ragionevoli dubbi sul comportamento e sulle caratteristiche di un bambino. Porre un quesito non è però una delega a tutto campo ad un altro professionista, per avere risposte e soluzioni già “pronte” . Vale a dire non credo che una maestra sia esonerata dal rimanere nel SUO e il suo ruolo, per come la penso io, è esattamente quello che ha fatto ema: prendere per mano un bambino “difficile”, farlo sentire al sicuro, capire con professionalità, preparazione e competenza quali siano il suo contesto e le sue difficoltà e aiutandolo a gestirle e iniziare un percorso insieme a lui.
@Ema si, l’ADHD purtroppo esiste. E nela maggior parte dei casi è accompagnata da altri disturbi, i più comuni dei quali sono la dislessia, la disgrafia e la discaculia (ovvero i più lievi disturbi dell’apprendimento, lievi in senso relativo, ovviamente). Il motivo per cui è importante diagnosticarla presto è che nei casi in cui si interviene con terapie (comportamentali e/o di supporto) prima si interviene più si riesce a minimizzare il divario. Oltre che a far stare bene il bambino, che in questo modo perde il meno possibile sia in termini scolastici che sociali.
Concordo con te che quando capita un bambino semplicemente non omologato alle aspettative scolastiche si tende subito a pensare a una forma di ADHD e si crea allarmismo, ma in questi casi io penso che rivolgersi a un esperto per avere la certezza che non ci siano difficoltà oggettive sia la cosa giusta da fare, almeno per avere la certezza di cosa ci si presenta e poterlo affrontare nel modo migliore. Sempre rispetto al benessere psico-fisico-sociale del bambino, intendo.
adhd?!
Io avevo pensato al dubbio che potesse avere problemi seri!
Ma l’adhd esiste?
Non è il termine escogitato per chi vuole bambini tutti uguale e capaci di concentrarsi su cose di cui non gliene fega nulla?
Io parlo da maestra (quest’anno ho una seconda) e l’anno scorso un bambino si è presentato con tutte le caratteristiche dell’adhd.
Ho chiesto anche la consulenza dello psicologo, per scrupolo, perché benché l’età e l’esperienza e anche il continuo aggiornamento li abbia, non sono presuntuosa.
Era un bambino con un’identità ancora fragile (pensate che cosa sconvolgente a sei anni!!)molto vivace, con una lieve immaturità che non gli aveva ancora fatto interiorizzare delle regole chiare.
Essendo difficile da gestire (quanti adulti e anche insegnanti si spaventano se un bambino non risponde alle LORO aspettative!)aveva ricevuva continui ordini, a volte contradditori,ed era stato spesso circondato da adulti scoraggiati e spaventati o confusi.
Ora chiede (con fastidiosa petulanza, ma il fastidio si può superare 🙂 ) la conferma di ogni regola. Avuta la conferma si concentra quieto e si impegna e… non manifesta più stupore quando gli si dice di aver lavorato bene.
Io ho l’idea generale che ogni bambino è una persona con la sua personalità, il suo vissuto, i suoi bisogni, il suo percorso di maturazione che riguarda molteplici aspetti e che ognuno deve seguire i propri ritmi, rispettando poche regole chiare che assomiglino il più possibile a principi etici. A volte basta spiegare le cose che può fare quando si sente stanco (e può accadere a bambini molto intelligenti o no, a bambini maturi o no)per trovare tranquillità. Ad esempio una posizione di relax (anche semplicente seduti con la testa sul banco, o lasciata “cadere” tra le gambe) da tenere contando fino a…50 e se non sa contare ancora, fino a quando si sente tranquillo e… poi troverà da solo la strada.
Personalmente sono contraria a percorsi offerti da centri privati e costosi che “valorizzano” le potenzialità sia perché una persona in formazione ha sempre potenzialità che si sviluppano in tempi individuali, ma ha bisogno di sentirsi uguale agli altri,sia perché, interessando la crescita molteplici aspetti, svilupparne uno come topo da laboratorio può ostacolare l’armonia della crescita complessiva.
Non credo che nessuno vorrebbe, anche se avesse la ventura di averlo in casa, far vivere a un proprio figlio l’infanzia di Mozart.
@Dafne, se ho imparato una cosa vivendo qui in UK e’ che ci sono 50 sfumature di grigio, almeno, qui 🙂 il figlio di una mia carissima amica, ora in prima classe della primaria, ha avuto un “anno-zero” di scuola tribolatissimo, perche’ la maestra non aveva capito come prenderlo, la scuola ha impiegato uno psicologo del comportamento che lo ha osservato in classe per qualche tempo (si, qui funziona cosi’) e il responso e’ stato un po’ quello che dici tu, ha un’intelligenza decisamente sopra la media, un potenziale altissimo, marcia in piu’, ma ha bisogno di aiuto per “mettere a fuoco”, per concentrarsi, star seduto. Nessuna menzione di AHDH, era ancora troppo lontano dallo spettro per cui si poteva definire tale. Con il passaggio alla prima, e il cambio di maestra (qui si cambia ogni anno), e con la scuola che ha potuto “inquadrare” il bimbo e avviare i suoi, ben stabiliti, protocolli di sostegno, il piccolino sta rifiorendo, anche a casa, con gli esercizietti che gli danno da fare, la mia amica dice che si siede e li fa, certo a modo suo. Certo il problema semmai e’ capire se la scuola e’ preparata a gestire un bambino cosi’, ed e’ pronta ad investirci sopra.
@Daphne, non voglio insistere, ma solo dirti che il Centro di riferimento è gestito da un’equipe seria e competente e dal breve scambio via mail che ho avuto prima di postare qui il link, ho l’impressione che lavorino in un ambito “sereno e non giudicante”, non so se mi spiego. Se ti sono sembrata invadente, tralascia questo messaggio. In bocca al lupo:)
Dafne, non voglio darti né illusioni né certezze, ma la tua descrizione è pari pari quella di Ivan qualche anno fa. E mettiti il cuore in pace: lo prenderanno in giro sempre, perché molti bambini, adolescenti, adulti fanno così. Ma ci sarà anche chi lo vuole come amico indispensabile.
Senti più campane possibile mentre dai a tuo figlio il tempo di esprimersi come meglio crede, sempre senza paura, perché le paure vi impediscono di comunicare. E’ tutto quello che posso dirti.