Stralci di memoria natalizia e temi sempre presenti per tutti: le aspettative sui figli, le speranze negli anni che verranno che sfumano piano piano, i riscatti contro le delusioni attesi per troppo tempo, il crollo delle illusioni.
Un post come un racconto di Clara Cerri, autrice di “Dodici posti dove non volevo andare“
A casa mia il presepe e l’albero si fanno rigorosamente dopo il 14 e così sarà anche quest’anno. La ragione risale a quando ero alle elementari e il 14 facevo una festa di compleanno con amici scatenatissimi, cacce al tesoro e dischi nel mangiadischi – dietro “Zum Zum” c’era “Donna Rosa“, vi ricordate? No, mi sa che siete troppo piccoli. O io che sono troppo vecchia. Ma perché ho cominciato questo discorso?
Dicevamo. I pastorelli e le casette di cartone con la lampadinetta dentro non avevano speranze di sopravvivenza in quel contesto, né tantomeno le montagne fatte di scatole di scarpe e carta mimetica incollata con cura per nascondere i fili delle luci. Quando sono nata, invece, il presepe era stato già fatto, penso da mio padre. Ho una foto in una culla di vimini sotto le montagne, con mio fratello che mi guarda felice. Mio padre mise sulla porta una stella al posto del fiocco rosa: non perché pensasse che fossi il Messia e si aspettasse chissà che cosa da me, forse solo perché era più contento degli altri padri, perché lo esilarava che fossi una femmina al punto di recitarsi addosso una buffa pantomima dei fianchi e delle zinne che avrei avuto da grande, a beneficio della cinepresa (avevo scritto telecamera, pensa tu!) di mio zio o di mio nonno.
Va bene, basta. Il fatto è che ogni nascita è Natale. Tutte le cose che ti aspetti da un figlio, fossero pure un paio di belle zinne a sedici anni, sono la tua attesa personale del Messia. La tua speranza di sopravvivenza, di riscatto, quando sai di essere malato oppure quando ormai capisci che sei fuori dai giochi e il lavoro che avresti voluto non te lo porterà Babbo Natale, né quest’anno né il prossimo.
Quando mio figlio stava per compiere tre anni, mi dissero che di riscatti da lui non me ne potevo aspettare: era autistico. Non sapeva parlare, non capiva. Non rispondeva se lo chiamavi. Poco dopo passai un Natale orribile tra gli splendidi regali che gli avevamo fatto e che non riusciva ad apprezzare. Un’amica di mia zia che non sapeva nulla sentenziò “Questo bambino ha troppi giocattoli”. Sono passati anni e mio figlio capisce, talvolta obbedisce, sa chiedere quello di cui ha bisogno, sa apprezzare un regalo di Natale. Anche io so apprezzare questi regali che la vita, ma soprattutto il lavoro di tanta gente in gamba, ci ha dato.
Dopo il 14 dicembre monto una ghirlanda d’abete fuori della sua portata e fabbrico un presepe in miniatura dentro una vetrina chiusa a chiave. Ma non ho qualcuno a cui chiedere regali, non ho attese. Solo timori, perché la vita è crudele. La vita non ha paura che Babbo Natale non le porti i regali.
Non sono più brava a nascondere i fili, né nel presepe né nella vita. Li vedo tutti e li lascio lì perché li vedano anche gli altri. Conosco troppo bene la religione che mi hanno appeso alla culla per riuscire a barattare la speranza in un mondo migliore dopo la morte con un cumulo di divieti e di contorcimenti logici. Quindi non penso che alla fine andrò in cielo a cantare e sparare cazzate surreali con mio padre o a discutere con Newton nel reparto dei professori universitari, o comunque, se ci andassi, sarei la prima a esserne molto sorpresa.
Guarderò i presepi e cercherò Gesù bambino nella culla perché è quello che mi detta il mio istinto profondo, per ricordare quanto era bello sperare, e perché anche senza grandi speranze le speranze di tutti i giorni, piccole e magari anche di plastica come il Bambinello nei nostri presepi, bastano a tenerci in vita per qualche altro Natale, o no?
– di Clara Cerri –
Per i lettori romani, segnaliamo la presentazione del libro di Clara Cerriil 14 dicembre al circolo letterario Bel Ami (zona Aventino)
Clara, quando finisco di piangere vorrei ringraziarti per aver ricordato la cosa più importante: le speranze di tutti i giorni che ci permettono di andare avanti.