Scuole crescono questo mese riprende il confronto sulla scuola mettendo di fronte due alunne della scuola secondaria di primo grado (scuola media): Margherita e Cecilia (figlie di Farmacia serra) e un’insegnante dello stesso ordine di scuola, Castagna del blog Aule in tempesta.
Abbiamo scoperto che Margherita e Cecilia con i loro fratelli e genitori avevano già pubblicato due post dedicati alle loro domande sulla scuola. Qui potete vedere quello che avevano chiesto lo scorso anno e quello che hanno aggiunto quest’anno
Le criticità sono anche emerse in questo video di Guglielmo di circa 2 anni fa
Abbiamo quindi cercato di raggruppare i loro interrogativi e chiesto a Castagna di provare a dare risposta o a suggerire approcci e interventi diversi da quanto fatto finora.
Il rapporto dell’allievo con l’insegnante
Margherita e Cecilia ci dicevano:
1) Fammi un sorriso: quando mi guardi, fammi vedere la tua felicità di parlarmi.
2) Immagina con me: aiutami a sognare di cose che potrei essere in grado di fare, non solo le cose che devo fare ora.
3) Richiedimi del mio weekend, domandami a che gioco ho giocato. Mostra che ti interessa quello che faccio.
Allora a Castagna chiediamo:
secondo te, è un comportamento diffuso, questo dei tuoi colleghi con i ragazzi? Da che cosa dipende? Che approccio suggerisci, ai tuoi colleghi, ai ragazzi, ai genitori?
Ci sono responsabilità nel modo con cui i genitori definiscono la professione dell’insegnante e il suo ruolo rispetto al ragazzo?
Castagna:
Credo che alcuni colleghi non siano felici di parlare in classe, nè con i loro alunni, né delle loro materie. A me queste persone fanno molta pena. Il nostro non è un lavoro che si può fare freddamente, come quello di un impiegato d’ufficio o di un tecnico di laboratorio. I ragazzi sono una cosa viva. E vivace. E vitale. E rivitalizzante. E anche le materie di cui ci occupiamo sono belle e interessanti: sta a noi dimostrarlo agli allievi, ma per farlo dobbiamo crederci, noi per primi. Io a volte mi annoio e, allora, per migliorare le mie prestazioni mi invento nuovi approcci, nuovi tipi di lezioni, approfondimenti su cose che trovo stimolanti prima di tutto per me. Però, non posso sempre trovare il tempo per rinnovarmi: a volte devo andare avanti secondo il programma, a volte la classe non mi segue, a volte semplicemente non ho avuto tempo di sedermi a progettare e preparare una cosa diversa dal solito.
Inoltre, per aiutare Margherita e Cecilia a capire perché, a volte, siamo freddi, o distanti, o distratti, o anche nervosi, direi che è importante ricordare che anche il prof è una persona. E’ una persona che deve sempre tenere sotto controllo le sue reazioni, che deve saper dare risposte, che deve usare pazienza e lungimiranza anche quando non ne avrebbe voglia, perché ha sue questioni personali, o lavorative, che lo rendono meno ricettivo. La maggior parte di noi sa lasciare queste cose fuori dalla porta, quando lavora, ed è certamente giusto così. Quando proprio non si può, credo sia meglio spiegarsi, visto che voi non siete dei bambini piccoli ma dei ragazzi già in grado di capire molti aspetti della vita. Ci tornerò dopo, rispondendo alla vostra domanda sullo sciopero.
C’è poi un dettaglio molto importante da considerare: possiamo scherzare con uno di voi, sorridere ad un altro, fare qualche domanda del più e del meno. Ma siete tanti ed ognuno di voi ha un suo mondo privato che, spesso, non desidera mettere in piazza; troppe domande portano a violare la privacy. A volte ci si capisce benissimo a sguardi. Quel che io suggerirei ai colleghi, infatti, non è tanto di riempire per forza i silenzi, ma di riempirsi gli occhi: di osservare la piega della bocca, i battiti di ciglia, il colorito, i movimenti delle mani, dei loro alunni. Di cercare, a istinto, di scoprire a quale di loro fa piacere essere interpellato, a quale serve una carezza o un buffetto sulla spalla, a quale invece bisogna lasciare la possibilità di non essere tirato al centro dell’attenzione.
Quanto ai genitori, la mia idea, condivisa da molti colleghi, è che, se dobbiamo lavorare insieme sull’educazione dei loro figli, dobbiamo dirci le cose. Dobbiamo accettare che vediamo lo stesso ragazzino da due punti di vista diversissimi, che se a casa Luca è un angelo non è detto che a scuola non sia un bullo, che se a scuola Martina è attenta e responsabile magari a casa è chiusa e intrattabile. Dobbiamo parlarci molto, con chiarezza e con rispetto. E cercare di fidarci gli uni degli altri. Nessuno conosce un bambino come la sua mamma: ma la mamma conosce il suo bambino, mentre il professore ha visto passare centinaia di ragazzini e, qualche volta, riesce a fare previsioni azzeccate.
Ai colleghi direi anche: quando vedete che una famiglia sta facendo un bel lavoro, ditelo, a voce alta. Una mamma, che sta diventando anche un’amica, mi ha convinto definitivamente che faccio bene a fare un po’ di complimenti a chi lavora sodo per tirare su un bambino in gamba. Ne ho scritto qui, sul mio blog.
Margherita e Cecilia:
Rispetto agli insegnamenti le osservazioni che abbiamo estrapolato sono:
1) Dammi il tempo: Tempo per pensare. Tempo per riflettere, elaborare e riprodurre.
2) Lasciami fare le domande: anche se sono fuori tema. Ti mostrerò che sto pensando a nuove invenzioni e che sono curioso e desideroso di saperne di più. Dammi la possibilità di mostrare quello che chiedo e non solo quello che so.
Castagna:
Queste non sono tanto domande, quanto precise richieste metodologiche. Posso solo dire che le ragazze hanno assolutamente ragione.
Margherita e Cecilia
si e ci chiedono anche come mai la tecnologia è cosi assente nelle attività didattiche ed è osteggiata in ogni situazione: la totale assenza di supporti elettronici come lavagne è una costante evidenziata da tutti.
Castagna:
Come prima risposta, mi viene da dire: leggetevi questo post di Noisette, la professoressa che scrive, a quattro mani con il marito, sul blog Benzina&Nocciole… Posso testimoniare che non è invenzione letteraria.
In realtà, e questo lo dico soprattutto per i genitori, le lavagne multimediali sono una gran bella cosa (io ne faccio uso con regolarità e piacere, in condizioni molto meno complicate di quelle che si verificano nella scuola di Noisette, per mia fortuna). Però abbiamo insegnato per secoli senza.
Chiedete piuttosto che nelle aule dei vostri figli ci siano le carte geografiche appese al muro (e che non siano ferme alla Jugoslavia di Tito), che ci siano i dizionari, ma non quelli del 1984, che la scuola spenda per comprare un’enciclopedia aggiornata (su cd-rom va bene, ma cartacea è consultabile in qualsiasi momento, anche dai ragazzi soli, in biblioteca o in classe, senza dover chiedere il permesso di usare i computer e trovare luoghi e spazi appositi). Chiedete che ci diano più ore di compresenza tra colleghi, così possiamo usare i laboratori, di informatica, di cucina, di scienze, di lingue, di musica, dividendo la classe in piccoli gruppi facili da seguire. Sono queste le cose che fanno la differenza nella didattica, non le tecnologie costose.
A questo proposito, condivido, se avete voglia di aprire il link, un fatto di cronaca che ci ha riguardato direttamente: un bel furtone di roba elettronica, tra cui anche i proiettori delle lavagne. Io sono stata la prima e la sola a commentare che, se lo Stato, invece di 18.000 euro di LIM, ci avesse dato 18.000 euro di fondi da spendere in alfabetizzazione, integrazione, sostegno all’handicap, aggiornamento docenti, progetti, noi ne avremmo fatto buon uso, e nessuno avrebbe potuto rubarci niente.
Margherita e Cecilia, sulle questioni più logistiche e organizzative, hanno fatto in particolare un’osservazione sulla poca comunicazione tra scuola, in particolare la pubblica, e famiglie ha fatto emergere per esempio Venerdì in occasione dello sciopero un disinteresse nei confronti dei bambini,
Fare recare 400 bambini fuori da scuola per scoprire che il personale non docente non avrebbe aperto le porte bloccando le lezioni ha sorpreso e amareggiato famiglie e bambini coinvolti. Non si discute lo sciopero ed il suo diritto ma il modo ed il senso di farlo.
Castagna:
Non vorrei suonare antipatica, ma in questa frase purtroppo quel che si legge non è il nostro disinteresse per i bambini, piuttosto la disinformazione dei genitori quanto alle condizioni in cui lavorano le persone a cui affidano i loro figli. Mi spiego: intanto è difficile che, nella situazione attuale, una famiglia sia “sorpresa e amareggiata” dallo sciopero di un servizio pubblico. E’ un momento politico molto particolare, e chiunque legga i giornali sa che molte categorie di lavoratori hanno motivi di farsi sentire. Ma, soprattutto, è cosa nota che dello sciopero si è sempre avvisati in anticipo, da comunicazioni sul diario dei ragazzi. Quando queste comunicazioni sono particolarmente vaghe, e invece di strutturarsi così: “causa agitazione sindacale la classe X entrerà alle ore 9,00”, sono formulate come: “non è garantito lo svolgersi delle lezioni / l’assistenza” etc., significa che nella scuola il diritto a protestare scioperando è stato rispettato.
Non tutti lo sanno (nemmeno tra i miei colleghi!) ma un dirigente non può, per legge, chiedere di dichiarare in anticipo che non si fa sciopero. Altrimenti, ci si potrebbe organizzare e si rimedierebbe, in parte, al disagio che si creerebbe alle famiglie, facendo appunto entrare dopo o uscire prima le classi. In realtà lo sciopero, purtroppo, deve creare disagio, deve dare fastidio, altrimenti è invisibile. Per carità, capisco benissimo lo scontento. Tuttavia, è lo stesso scontento che posso provare io trovandomi la strada bloccata da una manifestazione; se ne conosco i motivi, posso non essere scocciata, ma paziente o anche partecipe e solidale. Per questo, non potendo raggiungere tutte le famiglie, io mi faccio un dovere di informare i ragazzi di come certe decisioni del Ministero ci mettono in difficoltà, ai punti da dover anche, talvolta, organizzare delle proteste. Qualcuno ascolta con un orecchio solo, distrattamente, qualcuno capisce solo fino ad un certo punto, ma qualcuno invece si appassiona al discorso, esce per un momento dalla sua classe e dalla sua situazione personale, immagina un futuro in cui il diritto di chiedere cose diverse da quelle che vengono propinate dall’alto potrebbe riguardare anche lui, o lei. Come dicevo sopra, i ragazzi delle medie sono abbastanza grandi da capire che il mondo non finisce in un triangolo casa-scuola-campo sportivo. Io cerco di spiegare le nostre scelte. Ho sempre pensato, da quando sono entrata nella scuola pubblica ai tempi della riforma Moratti, che la scuola e le famiglie si capirebbero meglio e i nodi cruciali si risolverebbero prima, se esistessero delle riunioni con i genitori fatte apposta per spiegare cosa si stia verificando al Ministero, e che cosa questo comporti per noi insegnanti e, quindi, per le nostre materie e i nostri alunni.
In generale, credo proprio che il dialogo, il dialogo più ampio possibile, che sia tra genitori e insegnanti, che sia tra insegnanti e alunni, costituisca la risposta a tanti problemi del nostro lavoro. Proprio per questo sono contenta di essere stata invitata a dare un contributo qui, e spero di essere stata utile. Grazie a Silvietta che mi ha coinvolto, e a Cecilia e Margherita che hanno fatto le domande.
– di Silvietta –
Sono dispiaciuta di aver letto così in ritardo questo post, commentare tanto dopo forse non ha molto senso. Volevo rispondere a Silvia sull’uso del web. Io usavo la rete prima del web, tutto quello che trovo di nuovo mi interessa e cerco di usarlo nella didattica. Niente lavagne, non sono mai stata in una scuola che ne avesse, ma tutto quello che il web mi ha offerto sì, dalle enciclopedie on line vecchia maniera ai video, dalle classi virtuali ai gruppi facebook. Il fatto è che paradossalmente più si va avanti più diventa faticoso. A chi mi chiede perché, rispondo di provare a sedersi a tavolino e pensare di organizzare un’ora di attività in classe integrata con risorse on line (supponendo che sia sempre facile e veloce superare gli ostacoli che diceva Noisette). E, dopo aver fatto questo esperimento mentale, provare a moltiplicare per quattro, sei, anche dieci classi (un professore di scienze delle superiori, per esempio, di classi ne ha appunto 9 o 10). E pensare a come gestire le risposte di un numero di studenti che va da 120 a 300. Ci vuole tantissimo tempo, e questo è solo uno dei problemi (anche se in questo periodo gli insegnanti sono molto sensibili sulla questione degli orari di lavoro).
Rispondo subito a Silvia: non si è capito dalla mia risposta alle ragazze, colpa mia perchè forse lo vedevo come troppo ovvio per discuterne: CERTO che ci vuole anche il web per insegnare!!! Infatti non concepirei assolutamente più (e non vedo da un pezzo) una scuola senza il laboratorio informatico, ben aggiornato e ben funzionante. Quello ormai è di base, come le lavagne (d’ardesia) e i gessetti. Però anni fa, nella stessa scuola dove sono ora, ho mandato un ragazzo di terza a documentarsi sulla guerra del Vietnam in biblioteca, e quando è tornato dicendomi che non aveva trovato niente mi sono spazientita… finchè non ho verificato: l’enciclopedia era del 1967. Ah beh.
Sono rimasta molto colpita dal discorso di Castagna sui genitori. A me manca molto un rapporto equilibrato con gli insegnanti di mio figlio. sento loro molto sulla difensiva e sempre pronti a sottolineare le responsabilità della famiglia. “quando vedete che una famiglia sta facendo un bel lavoro, ditelo, a voce alta”! Grazie per questo modo di pensare alla condivisione di responsabilità tra scuola e famiglia. E invece io vedo che l’asticella è spostata sempre un po’ più in altro: se arriviamo a migliorarci, c’è sempre un altro però.
Su un altro argomento noto una certa distanza tra i ragazzi e gli insegnanti. Le ragazze chiedevano dell’applicazione della tecnologia, che non solo è assente, ma loro la vedono “osteggiata”.
La tecnologia non sono le lavagne! Quelle sono un supporto, un grosso tablet, se vogliamo. La tecnologia è la fruizione della rete: è il web 2.0, la partecipazione, lo studio anche attraverso youtube, è insegnare a selezionare le informazioni, è introdurre nei programmi anche la capacità di orientarsi nella rete, è comprendere che ci si può esprimere attraverso il web.
E invece diamo loro lavagne! E per di più la risposta corrente è proprio quella data da Castagna “Però abbiamo insegnato per secoli senza”.
Si, senza lavagne d’accordo, ma oggi ha senso insegnare senza il web?
Perchè spendere per un’enciclopedia cartacea, che è vero sarà fruibile anche senza supporti, ma è statica, ferma, piuttosto che per 4 computer in biblioteca? Il prezzo è più o meno lo stesso.
Le tecnologie non sono affatto costose: un computer connesso in rete costa nulla rispetto a quello che dà.
Sicuri che possiamo ancora farne a meno?
Molto interessante, grazie a tutte e tre.