Questo post è scritto in adesione all’iniziativa di Blogging su Scuola Italiana – 12.4.2011 e delle blogger che hanno creato questo centro di aggregazione sul tema scuola. Oggi si scrive a blog unificati per parlare, ognuno a suo modo, della scuola italiana, del suo destino, della sua storia, delle sue possibilità, delle nostre sensazioni e storie di ex studenti e di genitori.
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Chi non ha un blog, commenti nei siti aderenti. Iniziamo a parlarne, per far capire che ci teniamo.
Alle scuole medie, se non ricordo male in seconda, la nostra professoressa di lettere, un bel giorno, entrò in classe con uno strano libretto. Era strano perchè aveva la copertina molto spoglia, tutta bianca. Sopra c’era scritto: “Lettera a una professoressa” e, come autore, c’era scritto Scuola di Barbiana.
Ci disse che avremmo lavorato a lungo su quel testo. L’anno prima avevamo lavorato su “Il Piccolo Principe”, ma questa sembrava tutta un’altra cosa.
Questo libro è stato un viaggio attraverso il significato della scuola. Noi venti ragazzini in quella classe delle medie siamo stati molto fortunati. Era un anno scolastico un po’ di passaggio generazionale in quella scuola: i nostri professori avevano poco più di 30 anni ed erano ai loro primi incarichi. Avevano l’entusiasmo vivo negli occhi ogni volta che entravano in classe e noi con loro. Nei successivi anni del liceo, rimasero per noi degli amici più grandi: fu qualcosa di irripetibile.
Quel libro ebbe un significato in tutto questo: leggendolo insieme pagina dopo pagina, capivamo che loro credevano in quella lettera a una professoressa e ci volevano trasmettere il messaggio sovversivo che la scuola era un fatto nostro, qualcosa che dovevamo vivere perchè era per noi, quacosa che ci interessava.[quote]
Quei professori, non loro personalmente, ma quella generazione, sono diventati grandi mentre lo diventavamo noi e, negli anni ’90, qualcuno di loro aveva l’età giusta e la posizione in carriera adatta per essere in qualche posto strategico nel Ministero. E così, nel 1990, in Italia, nacque una riforma che, secondo me, è figlia del progetto dei primi anni ’60 della Scuola di Barbiana, quello che era entrato nel cuore dei nostri giocani professori degli anni ’80.
La nascita del tempo scuola, il tempo pieno che non è più il doposcuola degli anni ’70, è il chiaro svolgimento dei temi sollevati dai ragazzi di Barbiana: “ai cretini, dategli più tempo!“. Non saltate sulle sedie, non fraintendete! “Lettere a una professoressa” è un libro forte, che non usa mezzi termini, che parla con parole chiare e dure.
In un’Italia contadina dove i contadini venivano strappati alla campagna per diventare operai, in nome di un boom che forse ancora non coinvolgeva tutti, i bambini restavano soli. Ed erano i bambini delle classi povere, “i cretini”, quelli che tanto anche dalla scuola non avrebbero tratto nessun futuro. Ecco, a quei bambini si doveva dare più tempo per stare a scuola, per allontanarsi dalla strada, per crescere se stessi.
La riforma del 1990 parla di un tempo scuola disteso, della sinergia tra insegnanti, delle compresenze, come momento di arricchimento. Non è più il tempo pieno per i figli poveri dei nuovi operai, ma è un tempo costruttivo per i figli dei nuovi genitori che lavorano: è un tempo per i progetti, per l’approfondimento, perchè la scuola sia un luogo per sperimentare.
Perchè il tempo è la ricchezza più grande e dare tempo alla scuola è un investimento.
Vent’anni dopo quella riforma, che portava la scuola elementare italiana a essere un esempio di qualità pedagogica, sta resistendo strenuamente all’ultimo tentativo di demolizione. Ci stanno togliendo il tempo: che è tutto. Avevamo una scuola, pubblica, che poteva dare tempo.
Aveva i muri scrostati e i cortili un po’ sconnessi. Non aveva i computer, i laboratori e le aule. Aveva i termosifoni che si rompevano e le finestre che chiudevano male. Non era perfetta, era piena di errori, di mancanze e di persone sbagliate al posto sbagliato, accanto a tante altre giuste. Ma aveva tempo.
Ora vogliono toglierle tempo, lasciando il resto com’è. Perchè il tempo costa, il tempo crea, il tempo educa.[quote1]
Mio figlio ha una maestra che cita spesso Don Milani (sì, maestra A., me ne sono accorta, anche quando non andiamo d’accordo, in fondo, parliamo una lingua simile): loro, a sette anni, che ne sanno di Don Milani e dei ragazzini di Barbiana, ma sanno che “Non si va avanti finché tutti non hanno capito” e che “Ogni cosa che impari oggi è un calcio nel sedere in meno che prenderai da grande” (questa frase la recitano davvero a memoria: è il motto della loro maestra!). E caspita come le hanno capite queste cose! Anche se non gli va di fare i compiti, di ripetere le tabelline e di leggere tre volte la stessa pagina del libro.
Ma loro ancora hanno il privilegio del tempo. Per adesso. Per poco. Se qualcosa non cambia. Adesso.
P.S.: Così finiva questo post, scritto qualche giorno fà, ma intanto qualcosa è cambiato. Venerdì mi è arrivata un’email dal presidente del consiglio di circolo, che chiedeva di prepararsi alla mobilitazione. La nostra scuola (articolata su due plessi), l’anno prossimo, subirà un taglio da 61 a 55 insegnanti. Ci saranno tolti gli specialisti di lingua straniera. Alcune terze classi saranno accorpate: passeremo da meno di 20 alunni a, probabilmente, 27 e 28 per classe (numeri che sono contro le attuali disposizioni ministeriali, ma sarà proprio il ministero a imporceli, incredibile!).
Ecco, stanno togliendo tempo ai nostri figli, ora dopo ora. E col tempo se ne va la qualità, la voglia, la progettualità. E diventiamo scuola dell’emergenza.
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Questo post è dedicato a Paola Rufo, che insegnava con tutta se stessa e ha smesso troppo presto.
Grazie grazie grazie di questo post.
Ci stanno togliendo la salute pubblica, la scuola pubblica, l’acqua pubblica. Vogliono essere come gli Stati Uniti – ovviamente senza spiegare che lì una persona “vale” come un’automobile, una volta che si guasta non la assicurano più come prima, e senza mettere degli ammortizzatori come le borse di studio che fanno avanzare i meritevoli privi di mezzi…
Spero che ci sveglieremo prima che sia troppo tardi.
Io dall’ano scorso faccio la supplente. Ho lavorato 6 settimane in due scuole medie, e quest’anno sto facendo tutto il secondo quadrimestre nella prima di quelle due. E’ una scuola media splendida. L’edificio ha delle pecche, ovviamente: aule piccole, struttura vecchia, poco spazio per muoversi, ma la dirigente è meravigliosa, conosce TUTTI gli alunni e al consiglio di classe della prima è venuta a presentarceli. Uno per uno.
Il corpo insegnante è unito, non ho visto uno scansafatiche che fosse uno, i ragazzi li adorano. Il collegio docenti per la scelta dei libri di testo è stato una formalità, gli insegnanti delle varie materie si erano già riuniti fra loro arrivando ad una decisione condivisa per tutta la scuola, in modo da dover solo ratificare alla riunione plenaria.
Ogni giorno a ricreazione qualcuno delle classi che avevo l’anno scorso mi viene a salutare, quelli di terza mi chiedono se agli esami farò assistenza a loro e non ai miei di quest’anno. La scuola dovrebbe essere così, con ragazzi felici di andarci e insegnanti felici di lavorarci. Certo, i problemi ci sono, assenze “strategiche” appoggiate dai genitori, qualche marachella più o meno pericolosa che porta una nota e le infinite polemiche che seguono, il compagno diversamente abile poco inserito, il disturbatore trattato male. Ma mi sono ritrovata a spiegare alla mia prima (10-11 anni) che il compagno che fa così lo fa solo per attirare l’attenzione, e devono provare a coinvolgerlo di più, e alla relazione di gruppo qualche giorno dopo la soddisfazione dei compagni che dichiarano che negli ultimi giorni si è messo sotto e ha lavorato con loro e ha dato un contributo importante.
La mia impressione da novellina è che la scuola pubblica italiana si regge sulla buona volontà di chi ci lavora, senza riconoscimenti esterni, senza fondi, senza disponibilità di tempo e mezzi. Correggo i compiti in classe la sera tardi, dopo che mia figlia è andata a letto, li preparo in modo ragionato e con un fine, ma la mia unica soddisfazione è in classe, nel vedere un 6 che diventa un 8, quel lampo negli occhi di chi ha afferrato un concetto, nel loro sorriso quando mi salutano la mattina. Per strada se sei un’insegnante sei un lavativo, uno che lavora mezza giornata a stipendio pieno, che si crogiola sugli allori. Sono riusciti anche in questo nella loro guerra per distruggere la scuola pubblica: sono riusciti a screditare un’intera categoria di lavoratori, farli passare per baroni che tartassano i ragazzi dall’alto del loro gradino di potere mentre rubano lo stipendio. Lo dico da esterna, da visitatore occasionale, visto che probabilmente questo mestiere non potrò farlo come si deve. Eh si, perchè adesso che le scuole di abilitazione sono chiuse, concorsi non ce ne sono, le nuove regole non sono (ancora?) state scritte, se vuoi insegnare ti puoi solo mettere in graduatoria supplenze e sperare che ti chiamino, e accumulare punti che non si sa bene a cosa serviranno se non a fare altre supplenze brevi l’anno prossimo.
Continuiamo a dare i soldi alle scuole paritarie, invece di ristrutturare gli edifici di quelle pubbliche e dotarle dei mezzi di cui avrebbero bisogno per funzionare come dovrebbero, mi raccomando.
Il tema della scuola mi tocca davvero tanto. Io mi sono arresa a causa dei brutti problemi vissuti alla scuola d’infanzia, e ho iscritto mio figlio in una scuola paritaria. L’ho scelta tra tante, perchè hanno ascoltato i miei problemi, perchè hanno voluto conoscere mio figlio prima di accettarne l’iscrizione perchè volevano essere certi di poterlo aiutare.
Hanno mantenuto la promessa. La fortuna è avere una struttura certamente privilegiata nella quale si muove una maestra eccezionale che ha la straordinaria capacità di vivere ogni alunno come una persona a sè, che li conosce nelle loro particolarità e che li supporta nei loro personali limiti.
Mio figlio è entrato a settembre che non pronunciava una parola, non si muoveva per ore, non guardava in faccia i compagni. Il lavoro è stato e sarà ancora durissimo ma ora lui parla, alza la mano per rispondere alle domande, legge ad alta voce per i compagni, talvolta partecipa ai giochi nell’intervallo. Lo so che sono cose normali ma non per Alex. La maestra poteva scegliere un corso “extra” per la classe e ha scelto teatro proprio per Alex, mi lascia bigliettini nel diario per aggiornarmi e abbiamo colloqui periodici. Questo lo fa ovviamente non solo con me.
Nei quaderni dei nostri bambini troviamo la stampa di quadri famosi, di poesie meno famose, con piccole frasi di commento che lasciano semini importanti nelle lor menti aperte. L’intervallo è rigorosamente all’aperto, anche se fa freddo, anche se Alex lo odia perchè non sa come muoversi in quello spazio aperto e senza difese.
Non avrei mai pensato di rinunciare alla scuola pubblica, non era nella mia storia di persona felicemente cresciuta nelle scuole di quartiere. Ma non ho trovato ascolto, solo l’invito a rivolgermi ad un supporto psicologico. Il mio piccolo “fuori media” era un problema e avrei rischiato di vedermelo affidare ad un insegnante di sostegno (rubata a chi davvero ne ha necessità!). E invece il suo rendimento scolastico è strabiliante, è il suo livello emozionale ad essere rimasto fermo. Io non riesco a perdonare me stessa per aver insistito due anni in una scuola dell’infanzia dove è stato tacciato per problematico e abbandonato in un angolo per ore. Ora so molte più cose, su mio figlio e su come la scuola possa fare una enorme differenza, enorme, nell’accettare le sfide invece di ributtarle addosso ai soli genitori. E questo post mi ha fatto capire cosa abbiamo ricevuto io e il mio bambino quest’anno: il tempo di crescere.
(se poi aggiungiamo che non stanno seduti neanche nelle ore di studio, che le classi non hanno i banchi ma i bambini circolano in stile montessoriano da un tavolo di lavoro ad un altro – se un bimbo ha un modus di apprendimento cinetico in italia sai che frustrazione!)
ecco, il vuoto diventa angoscia, perche’ qui i miei figli escono fuori a giocare almeno 2 volte al giorno (3 per le prime classi) e siccome siamo british, escono non importa con che tempo, ci deve essere un diluvio per tenerli dentro, e passare davanti ad una scuola nei momenti di intervallo e’ tutto un vociare, ridere, correre, apparentemente anarchico ma che poi al suono della campanella diventa improvvisamente ordinato, in riga, per rientrare, tutti rossi e freschi ma tutti immancabilmente sorridenti… insomma, tristezza infinita
supermambanana, è la scuola dove ho iscritto mia figlia. Non l’hanno presa, non ci sono posti e non siamo residenti. Non ho dormito per notti, organizzarsi altrove è stata un’impresa da settimane. POi mi hanno detto questo, anzi, la mamma che me l’ha detto ha aggiunto “io non la lascio a mensa, stanno in classe durante le lezioni, in classe seduti nell’intervallo, e il pranzo lo portano in classe, mangiano al banco. Il massimo è la coda al bagno. Io me la porto a casa, mangerà di corsa ma almeno fa due passi”. E questa cosa dell’intervallo seduti al banco, magari anche a far silenzio, sto scoprendo che in Italia è la normalità. Quando l’ho sentito per la prima volta ho chiesto alla mamma in questione se protestavano. 5 ore seduti in una classe piena senza aprire le finestre! No, non protestavano. Ora non conto più le scuole che so avere quest’abitudine. Non giudico, forse è davvero l’unico modo, perché poi basta niente e le mamme si arrabbiano (cade nel corridoio e si fa male? scherziamo?). Però che amarezza…
Qualche giorno fa mi è capitato di pensarci su per l’ennesima volta, tornando nella mia scuola elementare. I frammenti di memoria della nostra esperienza educativa sono i mattoni della nostra identità di adulti : un professore che ti ha aperto una comprensione e ti ha acceso un’intuizione, la libertà di giocare, la meraviglia di imparare e di disubbidire, anche. Un bambino e un ragazzo con un’esperienza educativa strutturata che viene accompagnato in modo corretto e significativo in questo percorso sarà un adulto con la possibilità di attingere a strumenti migliori per vivere ed esprimere i propri talenti, se deciderà di farlo. E se anche volessimo fare un discorso puramente economico è molto più costoso recuperare piuttosto che investire quando è tempo, dunque investo in carta igienica sperando in un futuro migliore.Grazie Silvia, ora vado a leggere.
Supermambanana, purtroppo è la normalità: l’anno scorso, in prima, anche i nostri facevano così, perchè la maestra ancora non si “fidava” a farli giocare in modo più autonomo. Le classi sono piccole, affollate di armadietti rimediati, con i banchi stretti tra loro per far entrare tutti. Ripetono tutti che è pericoloso e finisce lì. Seduti.
@Daniela: “l’intervallo si fa in classe seduti. Così si controllano meglio.” ecco, di tutti i racconti che ho visto oggi, questa frase e’ quella che piu’ mi lascia un vuoto dentro…
ho letto questo libro alle medie anch’io, con una prof che era una grande ma noi eravamo piccoli per capirlo. adesso però voglio rileggerlo, insieme a quello di calamandrei è un caposaldo di qualunque discorso sulla scuola. grazie di avercelo ricordato.
Daniela, inizia a leggere “Lettera a una professoressa” (seguendo il link nel testo), se non lo hai letto. Non è scritto da Don Milani, ma dai suoi ragazzi: quelli che non ce l’avrebbero fatta in nessun altro posto, quelli che erano destinati a imparare a malapena a leggere e scrivere e poi finire in fabbrica ed invece sono arrivati alle cattedre universitarie. E’ una rivoluzione nella scuola italiana.
Il motto che ho riportato nella foto “I care” era scritto sui muri della scuola di Barbiana: è quasi intraducibile in italiano, è qualcosa di più di ” mi interessa”, “è affar mio”, qualcosa di cui mi prendo cura perchè mi appartiene. Questo dovrebbe essere lo spirito da trasmettere ai nostri bambini.
P.S: la citazione sul calcio del sedere me la memorizzo anche io. Servirà alla quasi seienne. Ma se don Milani ha scritto dei libri (e presumo di si) mi date i titoli di quelli sulla scuola? Perché nemmeno io lo conosco
Qui è una ferita aperta. Hanno chiuso una scuola. Tolto due classi in due anni. E se ne toglieranno ancora. Dove lavoro è una città di 16,000 abitanti, grandina. Non sono più autorizzati a fare classi inferiori a 25 bambini, se posso evitare. Il prossimo anno 7 classi, tra 25 e 27 bambini. Ho sentito una maestra, che fino a quest’anno lavorava in una classe da 18, con un handicap e un iperattivo. Seguiti, ma per 4 ore su 5 l’handicap, per 3 l’iperattivo. La quarta ora l’iperattivo stanco e abbandonato disturbava un po’. Alla quinta l’handicapp, incapace di stare da solo, veniva seguito da questa maestra, che per sopravvivere mandava l’iperattivo in bidelleria, se proprio necessario, e lasciava alla classe qualche compito perché passasse l’ora. Me l’ha detto sconsolata, lei che è di quelle severe ma decise, che tutti devono capire e io sono lì per quello. Ma quando devo essere 3 persone non ce la faccio più. IL prossimo anno ricomincia con una prima. 25 bambini e un handicap. E non sa che sostegno.
Per fortuna mia figlia non è residente e non l’hanno presa. Perché tutto questo l’ho saputo dopo. Per fortuna è finita in una scuola di un paesino, dove per fortuna c’erano 31 iscritti. uno più oltre il limite massimo. Quindi due classi da 15/16. Una meraviglia.
Però qui i tagli d’orario ci sono già stati. Qui si fanno 27 ore. E basta. E i doposcuola sono privati, ormai di nuovo solo più i parcheggi per i genitori che lavorano e che altro non possono fare. Qui le maestre a fine anno rifiutano i regali, chiedono soldi per il materiale. Qui ti porti la carta igienica da casa, se serve. Qui in certe scuole da 200 bambini più insegnanti ci sono due bagni. E c’è la coda. E qualche bambino preferisce aspettare di andare a casa.
Qui ci sono troppi bambini. E l’intervallo si fa in classe seduti. Così si controllano meglio.
Ecco, ripeto, per fortuna siamo finiti nel paesino scomodo, io farò salti mortali per portarla e prenderla, ma lei farà 5 anni umani. Ma per altri 200 e più bambini che iniziano a settembre non è così.
Alla scuola si sta togliendo tutto. Tutto, tempo, soldi, professionalità. E la scuola è la base della nostra società, o sbaglio? Beh, non stiamo costruendo buone fondamenta…..