Quando viaggiavo con il passeggino doppio, appena nati i gemelli, la gente del quartiere mi guardava con curiosità, con una sensazione mista, stranita e preoccupata.
Al parchetto sotto casa, in cui ormai mi conoscevano tutti, vecchiette in tailleur color prugna accarezzavano la testa dei gemelli nati da pochi giorni e mi guardavano con tenerezza.
“Povera ragazza, chissà le notti…”, dicevano con aria compassionevole.
In effetti all’epoca dormivo proprio poco. Ricordo una notte di primavera, l’aria fresca e il sole appena sorto, l’incubo della giornata che inizia e delle ore di sonno perse dietro a interminabili poppate e pianti inconsolabili.
Mi ero imbarcata nella folle impresa di allattarli entrambi, forte della quantità di latte degna di una mucca adulta in piena produzione.
Tommaso e Riccardo erano delle buone forchette, mangiavano a ritmi forsennati e crescevano a vista d’occhio. Sacrificavo ore di riposo e stringevo i denti.
“Passerà“, mi dicevo.
E intanto facevo lunghe passeggiate ed entravo nei negozi suscitando commenti e frasi di circostanza da parte della gente incredula e curiosa.
“Ma come fai a stare in piedi? Non ti addormenti?”
In realtà si che mi addormentavo, ciondolavo sognando di sotterrarmi nel piumone e recuperare le settanta ore di sonno arretrato. Quando andava bene facevo quattro ore filate, quando andava male un’ora sola, spezzettata in frammenti di minuti.
Mi pesava non sapere quante ore sarei riuscita a dormire, mi sentivo stanca e in balia dei ritmi di questi due esserini appena venuti al mondo. Eppure il fratello grande era un orologio, e io ero riuscita ad essere rigorosa e ad allattare serena senza concedere troppi vizi.
L’imprevedibilità mi atterriva, non faceva parte dei programmi, mi ritrovavo senza forze e impossibilitata a fare previsioni sul domani.
“Passerà”, mi ripetevo continuamente.
In fondo avevano solo tre mesi, decisamente pochi per pretendere regolarità. Eppure non mi arrendevo a questi ritmi ballerini.
“Ma perché non smetti di allattare?”, mi disse un giorno il ginecologo.
Neanche a parlarne. Rinunciare a un dono di natura era per me inaccettabile. Il latte mi zampillava sotto la maglietta, non sfamare le creature mi sembrava assurdo, anche a scapito del sacrosanto riposo.
Intanto passavano i mesi, la primavera in fiore si era trasformata in un’estate di sole, di tuffi e di passeggiate in montagna.
Mangiavo uova e patate nei rifugi sulle Dolomiti, un gemello in fascia e l’altro nel passeggino insieme al fratello più grande.
In montagna mi sentivo tranquilla, e isolati in una casetta di legno davanti a un antico castello, abbiamo intravisto l’inizio di una rinascita.
Tommaso alle 21 crollava addormentato dopo la poppata della sera. Per due notti, per sicurezza, l’abbiamo faticosamente svegliato a mezzanotte dandogli ancora da mangiare affinché tirasse fino al mattino. Quando abbiamo visto che era una nostra forzatura, assolutamente non necessaria, l’abbiamo lasciato dormire senza interruzioni.
Di notte non si è più svegliato.
Con Riccardo è stato più difficile.
All’inizio non ne voleva sapere di ritmi ordinati e poppate regolari ai ritmi dettati dagli adulti.
Piangeva mentre allattavo il suo gemello, facevo equilibrismi con uno attaccato, dondolando l’altro nella sdraietta. Cercavo di farlo aspettare e non c’era verso: mi voleva subito, senza discussioni.
Con lui e’ stata più lunga, se ci penso adesso mi rendo conto che tutto ciò era lo specchio di quanto i gemelli sono ora, il carattere già allora tracciava i dettagli di ciò che sarebbero diventati.
Uno pacato e paziente, l’altro irruente e poco incline ai compromessi. Iniziavo a capire che avrei dovuto usare strategie diverse, quali fossero stentavo a capirlo, come adesso.
Eppure quel tunnel è realmente finito, ed è durato solo una manciata di mesi.
Le notti insonni ci sono state ma sono un ricordo che mi ha accompagnato per un periodo che realmente è stato molto breve.
Passata l’estate e l’aria frizzantina delle splendide vette del Latemar, la quotidianità ha preso una piega accettabile e meno stancante.
Le giornate di tour de force iniziavano ad accompagnarsi a notti tollerabili, di silenzio e riposo rigenerante. A ottobre, sette mesi dalla loro nascita, le poppate notturne erano solo un ricordo, e ho potuto brindare alla mia scelta felice di resistere finché avessero voluto il mio latte abbondante.
È andata bene così, almeno per me.
Ho ripreso i miei sogni senza interruzioni, e ho proseguito il percorso che mi ha portato fino a qui.
Che dolcezza infinita in questo post.
Ora che anche i miei figli sono più grandi vedo tratti del carattere di loro neonati.
Però a me lo scoramento massimo per la mancanza di sonno è sempre stato intorno ai due anni, con quei maledetti ultimi denti che entrambi hanno patito assai… ma veramente ogni bimbo è una storia a se. E vale sempre il mantra “è una fase, poi passa”. ?