E’ ora di sistemare i figli

Qualche anno fa mio suocero convocò tutti i figli attorno al tavolo del salotto e, con fare patriarcale, illustrò quello che era il suo piano per la divisione dei beni in modo che tutti e quattro avessero il giusto. Giusto un po’ di tempo prima mi aveva confidato l’ammirazione per un gesto simile, agito in modo vagamente più cialtrone e decisamente meno patriarcale, fatto da mio padre con me ed i miei fratelli. La cosa che più mi aveva colpito era l’aspettativa di sollievo che aveva rispetto ad un’operazione di questo tipo. “Tuo padre ha sistemato i figli, e adesso è a posto”.
Se vogliamo potremmo tirare sera a discutere sul fatto che un tetto sia sufficiente a “sistemarsi”, ma rischieremmo di mettere in campo troppi distinguo culturali e generazionali per uscirne con qualcosa di concreto, per cui tanto vale che ci concentriamo sulla questione di fondo: ad un genitore interessa che i figli “si sistemino” e che in qualche modo possano farcela anche senza di loro.
Metto insieme questo brandello di ricordo e lo abbino ad un altro, più vecchio: direzione Bologna, mia zia suora, attivista dell’integrazione delle persone disabili in Umbria, mi dice: “Che poi la cosa più terribile per un genitore di una persona disabile, non è mica la fatica che deve fare ogni giorno, ma chi farà questa fatica quando lui non ci sarà più”.
In sostanza: chi si occuperà dei miei figli, visto che la sorte non mi consente di “sistemarli”?

Così ieri l’altro, quando leggevo dei fatti di Gorino mi chiedevo quei padri e quelle madri che tipo di eredità stiano trasmettendo ai figli. Mi piacerebbe poter dire che non giudico le scelte, ma scusatemi, a volte è proprio difficile non farlo. Al limite posso dire che il razzismo si giudica da solo e tanto vi basti.
Ma al di là dei fatti di Gorino, quali effetti avranno sui nostri figli i tanti comitati “Prima noi” che sono nati sui territori contro l’immigrazione.
Che concetto è “Prima noi”?
Cosa rimane nel cuore e nel cervello di un bambino che cresce in una famiglia che predica un credo di questo tipo?
E poi chi siamo “noi”? Io se fossi un bambino lo chiederei.

Papà, chi siamo noi?
Eh! Amore, noi siamo noi, quelli nati qui.
Ma Papà, Luca è nato a Padova, lui non è “noi”?
Beh! Si, lui si, dai.
E Giorgio che è Siciliano?
Beh, ecco….
E Aziz, che è nato qui e suo padre lavora con te?
Ehm!
E Lucia? È una femmina, io non mi sento come una femmina. E Giovanni che è in carrozzina? Io cammino, lui non gioca mai con “noi”.

I fatti di Gorino fanno notizia perché sono eclatanti e si riferiscono ad un tema “caldo” per la fase storica che stiamo vivendo, ma gli episodi di discriminazione ci sono ogni giorno e tutti sempre lì a scandalizzarci.
Ma chiediamoci: cosa faccio io perché mio figlio non sia razzista, maschilista, normalista (non so se esiste una parola per chi discrimina i disabili)?
Crediamo davvero che basti commentare una barricata dicendo “Non sono razzista ma”?
Da esclusione nasce esclusione, se li educhiamo oggi a tirare su le barricate lasceremo il “nostro” mondo in mano a persone che non avranno gli strumenti per governare il cambiamento.
Impariamo, quindi, dai genitori dei bambini con disabilità, preoccupiamoci di come sarà quando noi non ci saremo, adoperandoci per consegnare a futuro delle persone che siano in grado di vivere e non di sopravvivere.

Da che mondo è mondo le barricate prima o poi cadono, sono sempre cadute, facciamo in modo che i nostri figli non rimangano sotto.

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