Quando la sedicenne prende in mano la situazione e si dimostra indipendente, organizzata e responsabile.
La rivoluzione copernicana ha avuto inizio su una spiaggia spagnola alle undici e trenta di un mercoledì d’agosto, mentre ero intenta a spalmarmi la crema protettiva sulle spalle e il resto della famiglia si trovava steso al sole.
È stato in quel momento che la figlia più grande – di anni sedici e mesi sette – si è alzata dal bagnasciuga, s’è scrollata i sassolini dal sedere, si è piazzata minacciosa davanti a me e con voce stizzita ha dichiarato:
“Massa di culidipiombo ignoranti che non siete altro, io mi vergogno per voi! Non esiste che ci troviamo ad appena trenta chilometri da Barcellona e non si abbia la curiosità di vedere La Sagrada Familia, il Parco Güell, il Montjuïc, la Casa Batlló! Ma che esempio mi date!?” per poi rimettendosi seduta sulla sabbia a peso morto sbuffando offesa.
“Okay, organizza tu” ha mormorato suo padre steso sulla pancia senza neanche alzare la testa.
Io ho continuato a spalmarmi la crema senza dar segno di averla ascoltata – se dovessi dar retta a tutte le sue recriminazioni non mi rimarrebbe il tempo per fare altro – e i fratelli l’hanno ignorata continuando a leggere i loro fumetti.
Il mattino successivo siamo stati svegliati dalle sette e trenta. Erika era già vestita e brandiva cinque biglietti del pullman con destinazione Barcellona, Estació Nord.
“Perché ne hai comprati solo cinque e non dieci?” ho sbadigliato “Non torniamo?”
“Sì che torniamo, solo che non sappiamo quando. Ho preferito non vincolarci a un orario di rientro” ha risposto la ragazzina dando prova di una inaspettata assennatezza.
Nell’ora successiva Erika aveva – nell’ordine:
– messo fretta a tutti ché sennò avremmo perso l’autobus,
– sgridato suo padre per aver ripreso a fumare e ora gli veniva il fiatone,
– sgridato me per non aver pensato a mettere nello zaino le bottigliette d’acqua da mezzo litro,
– sgridato i suoi fratelli per principio, basandosi su ragioni di primogenitura.
Una volta arrivati a Barcellona, mentre noi ci avvicinavamo alla piantina della metropolitana per capire dove fossimo, lei si dirigeva ai treni con passo sicuro ché di notte aveva studiato tutti i percorsi, gli svincoli, gli snodi, nonché le tariffe migliori.
Per le strade di Barcellona, sotto il sole, ho temuto più volte di svenire mentre la mia fenicottera avanzava con passo da bersagliere e noi le correvamo dietro ansimando.
“È proprio una ragazzina immatura” commentava suo padre “fosse appena un po’ più accorta, capirebbe che non riusciamo a starle dietro”.
Ma io ero ammirata e, in un certo qual modo che non riesco a spiegare, sollevata. Perché una figlia che ti guida dentro una città sconosciuta, una figlia che prende in mano la situazione e ti indirizza, ti suggerisce, ti orienta, è una figlia in salvo.
Puoi allentare l’attenzione, smetterla di preoccuparti per lei e, per una volta, rovesciare i ruoli, incoraggiarla a continuare, affidarti, talvolta. Puoi lasciare a lei la scelta della direzione da seguire e glissare sugli errori di orientamento, ignorare gli imprevisti, incoraggiarla di fronte ai passi falsi più banali, quali il non aver considerato gli orari di apertura e chiusura dei monumenti, perché anche nella vita sono gli inciampi più stupidi, gli errori più grossolani, quelli in cui ci si scoraggia e si perde la stima di sé. Una cosa che proprio non si può permettere che accada a una ragazza che ha appena scoperto la propria indipendenza.
E quando la vedi marciare dritta verso una meta allora, per un attimo, puoi persino dirti di aver fatto un buon lavoro, pensare che valeva la pena di pulire vomiti notturni e misurare febbri, di cucinare piatti improbabili per superare le inappetenze e ripassare le tabelline per la millesima volta, di asciugare lacrime e dirimere bisticci. Perché adesso tua figlia si affianca a te, ti supera, ti distacca, si volta e ti aspetta.
Eccola là, la freccia di cui parlava Kahlil Gibran nella più melensa delle sue poesie, quella sui figli che non ci appartengono perché sono frecce viventi che si conficcano più avanti, in un futuro che non riusciamo a vedere. La mia mi aspettava ai piedi della scalinata che conduce al Parco Guell battendo il piedino imperiosa e impaziente come si conviene a ogni adolescente che si rispetti.
Mio marito si è allora voltato verso di me, ansimando lungo la salita, mormorando a bassa voce perché Erika non sentisse. “Glielo dici tu che avevamo programmato la gita per sabato e comprato già tutti i biglietti?”
Provo una grande felicità e leggerezza per te. Mi immagino come ti sei sentita felice e orgogliosa.
c’è stata una svolta, è vero. Adesso bisogna vedere quanto durerà ;D
Geniali, geniali. Guarda che se divorzi da tuo marito potrei valutare di sposarmelo io. Occhiello, baciamela tutta sta figlia, anche se lei non sa perché (puoi anche considerare di mandarmela ad Amsterdam fra un annetto, si fa un giro, sta da me)
promettimelo!
Ma di corsa, però deve parlare polacco, diglielo 🙂