La gelosia del fratello dei gemelli ha un sapore diverso. Esiste un’alleanza naturale tra i due che rende molto più difficile per il terzo trovare il suo posto in famiglia.
Nove anni fa, in una fredda giornata di gennaio, nasceva lui.
Era un bambino già grande, quattro chili e quaranta di guance paffute e gambe tornite. Il viso roseo senza segni di sofferenza, un cesareo programmato ed eseguito con maestria dal ginecologo a cui ho deciso di affidare con fiducia il mio corpo di donna e quello di madre.
Stava comodo tra le mie braccia, Mattia, beveva litri di latte lentamente, godendosi le mie carezze accoglienti e il mio sguardo pieno di amore. Piangeva poco, si adattava a tutto, stava ore sul passeggino a contemplare le nuvole, il sole, il prato verde del parco e i fiori rossi del giardino condominiale.
Era felice di stare al mondo, di guardare gli occhi dei grandi specchiandosi nei loro sorrisi.
Per due anni è stato figlio unico, infinita gioia dei nonni materni e piccola mascotte dei nonni paterni, già navigati con altri due nipoti.
Era un bambino tranquillo, storpiava le parole con simpatia, la farfalla era fafaca, il cane era bobò. Gli amici immaginari che chiamava il chitollo e la pucacca animavano la sua fantasia tonda e colorata.
Era allegro e sorridente, anche quando mi vedeva a letto, e ogni giorno con la manina toccava la mia pancia in esplosione, presagio di un cambiamento che neanche lui riusciva ancora a decifrare.
Una mattina vide entrare in casa un passeggino enorme, un catafalco lungo quasi due metri, piazzato vicino alla finestra del soggiorno a marcare il territorio.
Lo guardò, provo’ ad arrampicarcisi sopra, e passo’ le restanti ore del giorno a girarci intorno perplesso.
Era il 18 febbraio 2008.
Dopo un mese, alle nove e ventisette e alle nove e ventinove, nascevano i suoi due fratelli.
Non l’ho percepito subito, ma col tempo.
Inizialmente era guardingo, silenzioso, si avvicinava mentre li allattavo e poi usciva, quando vedeva che si contorcevano senza un perché, prima di esplodere in un catastrofico pianto.
Era infastidito da quest’unione forte, da cui si sentiva escluso, da questi due esseri più piccoli di lui che a un anno si trascinavano fino al tavolo del soggiorno, e senza colpo ferire gli buttavano a terra i pezzi di puzzle che lui, faticosamente, aveva assemblato.
Affinava ogni giorno le armi per spezzare questo naturale sodalizio, cercando un giorno l’approvazione dell’uno, un giorno dell’altro, entrambi in adorazione di questo fratello più grande, più esperto e scaltro di loro.
Intanto passavano i giorni, i mesi, la vita ha oltrepassato i confini, sfondato gli argini, ognuno dei miei bambini ha preso il suo cammino, ha iniziato un percorso, ha spento ogni anno le sue candeline.
Lui mi presenta quotidianamente il conto, da quel 18 marzo di sette anni fa.
Io sono la mamma, io ho messo al mondo queste due creature dopo di lui, questi due esseri nati lo stesso giorno con cui si trova a dividere gli spazi, gli affetti, le attenzioni.
“Perché me li hai fatti nascere mamma?”.
Dice così, a volte, nella notte, quando la rabbia lo avvolge in una foschia tetra, scura, disarmante.
La parolina me, due lettere soltanto, è la chiave di tutto il suo ragionamento, di quel sentimento che talvolta non gli dà pace. La sua mamma, che l’ha tenuto in pancia nove mesi, gli ha dato la vita, l’ha tenuto tra le braccia milioni di volte, gli ha fatto nascere altri due fratelli, tutto d’un colpo, all’improvviso.
Due insieme, a lui, a lui, (perché) proprio a lui?
“Si poteva stare anche senza fratelli no?”, prosegue, prima di chiudersi dentro al cuscino e trattenermi a sé per la sua dose di carezze.
Non ho fratelli io, sono figlia unica, e mi rendo conto che mi è difficile capire. L’avrei voluta una sorella, in certi momenti della mia vita. Tre anni fa, per esempio, quando tristemente accompagnavo mio padre lungo il fiume scuro della sua triste malattia.
Avrei voluto un fratello in cui poter affondare le mie lacrime, le mie tristezze, i miei tormenti.
Quando guardo mio figlio grande penso questo, mentre lui si siede alla sua scrivania a fare i compiti.
Da solo.
Abbasso lo sguardo quando conta le fragole che a fine cena distribuisco nelle coppette. “Sono sette mamma, quelle di Tommaso, io ne ho solo sei per me”.
Alzo le mani quando verso nei loro bicchieri un po’ di aranciata, e lo vedo abbassare la testa per scrutarne attento il livello.
“Riccardo ne ha di più, una tacca in più, non vedi mamma?”.
Guardo fuori dalla finestra quando mi fanno tre ritratti, e dopo averli lodati con entusiasmo sento dire sempre le solite parole.
“Lo vedo che il loro ti è piaciuto di più, è sempre così d’altronde”.
Eppure l’inflessione della mia voce è la stessa, sto attenta al suono delle mie parole, ai sorrisi, alle carezze che equamente mi pare di distribuire.
“E il mio voto sul diario l’hai firmato?”
“Certo, sei stato bravissimo”.
“Ma a loro lo dici diversamente”.
A loro, i gemelli, i fratellini, quelli che appena nati veniva a vedere insieme ai nonni al reparto maternità.
Da dietro la nursery li scrutava, li osservava, e poi correva via. I primi due giorni era curioso di vedere questi due nuovi arrivati, maschi come lui, magari futuri compagni di giochi.
Il terzo giorno, arrivato alla sponda del mio letto, dopo avermi visto ancora acciaccata dai postumi del cesareo, si era avvicinato nel silenzio generale e aveva blaterato:
“Fratellini basta”.
E con quella frase aveva tagliato l’aria, lanciando le premesse di una gelosia senza fine, che da sette anni va avanti lenta, ininterrotta, costante, lasciandomi spiazzata.
E lo vorrei tenere stretto a me, quando prima di dormire, abbracciato a uno dei suoi pupazzi, allunga la sua mano, la stringe alla mia, e con la voce prossima al sonno, cattura sempre il mio cuore.
“Mamma, non andare via, non ancora, fammi ancora tante delle tue carezze”.
Io ho 50 anni
Sono sorella maggiore di 4 anni di due gemelli maschi
Sono sempre stata gelosa di loro
Li detesto ancora oggi 😂
Carolina è nata 11 mesi dopo le gemelle. È molto diversa da loro, fisicamente e caratterialmente (loro sono identiche, ma caratterialmente molto diverse). Carolina, non so se sia gelosa, ma pare di no. Però è una che cerca attenzioni, che scalpita letteralmente come un toro, con le braccia incrociate ed esagerazioni varie. Una prima donna, che spesso oscura Camilla che è un capolavoro di posatezza ed equilibrio e Lucia, che è simpatica come un’attrice comica.
Una volta a tavola ho chiesto: “Carolina, ti piacerebbe avere una persona identica a te?” e Lucia, una delle gemelle, ha risposto: “Perché, chi è che ha una persona identica a sé?”.
@raffaele, hai ragione, a volte forse non lo facciamo abbastanza, e’ un circolo vizioso. Lui è’ il più grande, viene sgridato perché stuzzica agli altri due, si innervosisce, continua a farlo, continua a essere sgridato. Altre volte succede quello che dici tu, si divertono insieme, si alleano trasversalmente, un gemello con il grande, o l’altro gemello sempre con il grande. Sanno anche fare dei giochi bellissimi. Ma la gelosia resta, scava, si insinua, e’ una cosa che in parte logora e c’è. Forse ci sarà sempre e va accettata come componente del loro rapporto, non voglio colpevolizzarmi troppo, sarei ingiusta con me stessa. L’ho fatto, tanto, tantissimo, fino all’anno scorso, poi ho imparato che non sempre può essere colpa mia se succedono queste cose.
Maria ha una storia simile a Mattia, ma ha ancora meno differenza d’età. Quando la sua mamma era incinta non capiva bene e la differenza fra due e uno, a quindici mesi non è facile da capire. La portai in un posto dove c’erano tanti letti e tanti bambini. Ogni mamma ne aveva uno. E lei capì. Quello che non capì è che al piano di sotto c’era un altro fratellino, nato più piccolino, che sarebbe tornato a casa qualche giorno più tardi. Ricordo la notte che ci fece passare insonni, forse l’unica che è dipesa da lei, quando Pietro ritornò a casa. Con Giacomo, una settimana prima non era successo. Forse capì di essere definitivamente in minoranza, forse temeva che il gioco fosse portarne a casa uno ogni cinque giorni. Fatto sta che se ne fece una ragiona. Ed oggi, al massimo, arriva a dire le frasi che dice Mattia: “a loro lo dici in modo diverso”. Come ti capisco, Valentina.
@el gae, grazie di averlo scritto, la solidarietà e’ importante, fa sentire meno solo. E’ così, Mattia su queste cose e’ maniacale, quando controlla il livello del frullato che verso nei bicchieri davvero capisco che ha una fissa difficile da scardinare. E le da davvero queste cose, non sono invenzioni per scrivere il post. Lo fa, tutto quello che ho scritto lo fa, studia ogni minimo accenno della mia voce per venire a dirmi che per loro, sempre, ho parole in più. Va rassicurato, elogiato e apprezzato per quello che è, coccolato, rassicurato, ma più di questo davvero non si può fare. Lui sa di essere amato, me l’hanno sempre detto anche le maestre, non posso darmi le bastonate a vita come se dovessi sempre fare qualcosa in più. E’ una componente del loro essere fratelli anche, a parer mio, bisogna anche accettarlo. L’ho imparato, col tempo, con difficoltà, con un grande lavoro su me stessa, per scrollarmi di dosso un’infinità di sensi di colpa che non servono a niente.
Ehi, proprio come te ho un figlio e poi due gemelli di 2 anni più piccoli! La gelosia che ha provato il più grande nei primi anni è stata fortissima e sicuramente lascia ancora tracce nel suo frequente confrontarsi con i fratelli e lamentarsi di sentirsi trattato peggio.
Da qualche mese sta succedendo qualcosa di importante: li sta scoprendo come compagni di gioco, ritagliandosi spesso il ruolo di capo banda, e si divertono davvero tanto tutti insieme.
Farlo sentire importante e amato da parte di mia e di mia moglie è sicuramente importante, ma credo non sia sufficiente: sento che è davvero determinante dargli tanta fiducia di riuscire a trovare il giusto rapporto con i suoi fratelli per considerarli il più possibile come compagni di gioco e di avventura piuttosto che come rivali che gli tolgono sempre qualcosa.