Pur essendo nel 2014, nel ricco Veneto (o ex ricco) capita ancora che i Servizi Sociali, entità dipinta di fosche tinte nere e minacciose dai film americani, si accorgano che esistono persone ormai adulte, se non quasi anziane, in condizione di svantaggio (di solito malattia mentale o disabilità) che vivono con i genitori senza mai essere venute a contato con qualche centro, specialista o progetto di integrazione sociale.
E non parlo di persone segregate o nascoste in casa, ma di figli curati e coccolati da mamma e papà fino a che uno dei due o entrambi hanno avuto il fiato per farlo e, mancando quest’ultimo, qualche parente o vicino di casa si è preoccupato del futuro di queste creature, allertando chi di dovere (per questo mi fanno ridere i servizi sociali che si attivano autonomamente nei film americani).
Non è raro che in queste situazioni la madre novantenne si sia fatta vanto del fatto di essere riuscita a crescere il figlio nonostante tutto, senza dover ricorrrere a quelle strutture là, senza doverlo “mettere via”.
Sempre in queste situazioni mi vengono in mente le scene de “La Meglio Gioventù”, prima il manicomio da dove i due sciagurati protagonisti decidono di far fuggire la giovane Giorgia, poi la casa di cura privata, alcuni anni dopo, dove la stessa Giorgia è trovata legata al letto in stato catatonico e in condizioni igieniche pietose.
Ho sempre pensato che fosse importante rassicurare le famiglie che quelle strutture non esistono più, che ora ci sono regolamenti, ci sono persone formate adeguatamente per il lavoro che dovranno fare con i loro figli, che l’integrazione ha fatto passi da gigante e ormai non ha più senso l’istituto carcere dove le persone vengono rinchiuse e “dimenticate”.
Poi arrivano notizie come quelle di questi ultimi giorni: i maltrattamenti nei confronti di alcuni ospiti di un istituto per persone con disabilità grave e sembra che il lavoro di anni venga messo in discussione in un secondo da operatori criminali, dai tagli alle risorse che non permettono il personale adeguato o da entrambe le cose insieme.
Può essere vero, in effetti, e mi spaventa.
Ma mi spaventa ancora di più che si sia persa la capacità di indignarsi, che non scatti immediatamente la solidarietà e l’appoggio di noi genitori “senza svantaggio”, che si deleghi la parte di dolore che spetterebbe a noi. Perché una società che non sa essere inclusiva è una società che svantaggia anche i nostri figli, e tanto, anche.
Qualcuno mi dirà che nulla possiamo fare per un istituto rodigino dove picchiano i disabili, soprattutto se in quell’istituto nemmeno ti lasciano entrare a trovare un tuo parente se è lì ricoverato.
Vero, rispondo.
Ma pensiamo al ragazzino con la sindrome di Down escluso dai centri estivi del suo quartiere, le notizie che girano sono sempre piuttosto parziali e danno la chiave di lettura dei genitori, ma mettiamo che effettivamente altri genitori potessero lamentatarsi per la vicinanza con il ragazzino disabile. Quanti degli altri genitori si sono mossi per rassicurare il coordinatore che questo non sarebbe accaduto?
Tempo fa un’amica mi chiamò perché dalla materna dove portava sua figlia, le avevano inviato una richiesta di permesso di far partecipare la bimba a delle attività con un “compagno speciale” (vabbè, lasciamo perdere l’opportunità di alcuni eufemismi che peggiorano le cose).
Era piuttosto interdetta, la mia amica: “Ma come, davvero come genitore posso oppormi all’integrazione scolastica di un bambino disabile?”.
In teoria no, infatti il direttore le spiegò che è necessario informare i genitori se i figli fanno attività fuori dalla classe. Ok, informare è diverso da chiedere l’autorizzazione, ma non è questo il punto; parlando con altri genitori scoprì che in molti erano rimasti perplessi dalla goffa comunicazione del direttore ma che nessuno, a parte lei, aveva preso nessun tipo di iniziativa, nemmeno la semplice telefonata all’insegnante per chiedere un chiarimento.
“Il problema è che c’è qualcuno che solleva sempre rogne”, le ha detto il direttore.
Ecco, a volte sarebbe bello che avessimo uno scatto di orgoglio, un rigurgito di senso civile, al limite un conato di vomito e riconsegnassimo il giusto valore, anche numerico, al pronome “qualcuno”.
Beh, chiedere il permesso mi sembra una cosa idiota. Però sapere cosa rispondere alla banda bassotti quando chiede informazioni è utile…
p.s. forse ho rapportato la situazione che hai descritto alla scuola dove vanno i pupi: siamo noi genitori a gestire la sorveglianza durante la mensa, per esempio, e avere informazioni può essere vitale…
🙂
@ Claudia & Topastro: anche nella scuola dei miei figli esiste l’integrazione. Almeno penso. Tu sei sicura che i bimbi con disabilità giochino insieme ai tuoi? La mia amica ne era convinta fino a quando non le è arrivata quella richiesta.
@ barbara: ma perché non provare a fidarsi delle maestre, ad esempio? Io penso che non si sognerebbero mai di far giocare i bambini assieme ad un compagno che possa far loro del male (è triste, ma ci sono anche queste situazioni, a volte, con alcuni disturbi del comportamento). E poi saperlo è comunque diverso da dare il permesso.
@ Polly: la mia amica è stata coraggiosa perché è andata a far presente la cosa, senza clamore, alla direttrice. I titoli sul giornale non sarebbero serviti a nessuno. La cosa più triste è che è stata l’unica a farlo (almeno penso, come lei non lo ha detto agli altri, potrebbe essere che gli altri non lo abbiano detto a lei).
@ la staccata: devo stare attento a non scivolare nella retorica anche io. Per fortuna su questi temi mi viene in aiuto l’esperienza. Grazie mille, in ogni caso.
Finora sono stata fortunata, mio figlio ha frequentato scuole, (nido, materna e elementari e centro estivo), in cui esiste integrazione e non c’è mai stato bisogno di chiedere il permesso per far giocare insieme i bambini.
Sarei sicuramente rimasta perplessa del sistema, tuttavia nel caso ci fossero bambini con esigenze particolari preferirei comunque saperlo per poter chiedere maggiori informazioni su come comportarsi. Spesso credendo di essere d’aiuto si rischia di far peggio, se non si hanno le informazioni corrette…
Io mi sono indignata una sola volta, ovvero quando una compagna di asilo che stava giocando con mia figlia mandò via una terza bambina arrivata perché “marroncina”.
Se mi avessero chiesto per iscritto la possibilità di far giocare mia figlia con un disabile, sarei stata triste e arrabbiata come la tua amica.
Quello che adoro di te, Gaetano, è che riesci a raccontare temi che molti tuffano nella retorica senza mai scadere nella banalità.
Grazie per questo post.