Il post con cui riprendiamo l’emersione momentanea di emozioni sommerse si permette di partire con uno dei versi poetici più noti, anche se solo in traduzione. “Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei e molte anzitempo all’Orbo generose travolse alme d’eroi” . Se siate classicisti e pure un po’ topi di biblioteca come me, o semplicemente vittime del libro di Epica delle scuole medie, non potete non aver mai sentito questi versi, da cui già emerge gran parte del giudizio con cui comunemente viene considerata l’emozione protagonista di oggi.
L’ira, o rabbia, o furore non gode di gran fama. A quella di Achille si attribuiscono niente meno che tutti gli eroi greci e troiani morti durante la guerra di Troia. Alla faccia del senso di colpa, si potrebbe dire: per uno sbrocchetto da niente, ti parte la strage. Non sta bene arrabbiarsi, dicono. Bisogna essere assertivi ma non aggressivi, suggeriscono dall’altra parte. Infine, se siete cresciute “da femmine” è molto probabile che vi sia stato proposto come modello di riferimento Cenerentola, o Pollyanna piuttosto che “il giustiziere della notte”. Insomma, fa tanta paura la rabbia da rischiare di farci spaventare spesso anche della nostra.
La rabbia è una emozione positiva
Come ho scritto qui e là in diversi post, però, la rabbia è un’emozione fortemente positiva. Ci protegge, facendoci reagire, dalle aggressioni, ma soprattutto, spesso, ha l’ingrato compito – con la sua energia “vulcanica” – di far fuoriuscire alla luce altre emozioni giudicate negative o comunque lasciate sobbollire nelle nostre profondità e non ascoltate. Non so quali emozioni voi abbiate immagazzinato sotto terra. Le mie sono spesso banali: qualche no non detto per apparire gentile, un po’ di tristezza o di paure (tipo quelle descritte nei precedenti post) messe da parte perché non sono belle da tirar fuori, soprattutto quando ti vengono i lucciconi a raccontare un pezzo di storia personale e ad osservarti e ascoltarti hai di fronte due paia di occhioni tondi tondi, pronti a vedere vacillare il proprio universo se quelli di mamma diventano tristi, e una svariata di minuscoli e infinitesimali bisogni che, presi uno per volta, fanno ridere (godersi una doccia calda senza interruzioni, finire il caffé finché è caldo, avere il tempo di terminare con calma quello che stai facendo senza essere interrotta per la milionesima volta, fare la spesa senza dribblare tra le corsie…) ma tutti assieme poi possono portare all’inevitabile, vergognoso e biasimevole sbrocco.
L’avete già sentita? E’ che, diciamocelo: da genitore le occasioni perdute che si immagazzinano sono tante, sta nel gioco di prendersi cura di qualcuno che ha un bisogno assoluto; nello stesso tempo aumenta, in qualche modo, la rete di relazioni che ti circonda, con gli inevitabili giudizi, proiezioni (“io facevo così se no…”) e legami a doppio taglio (“devo accettarlo perché mi aiuta con … a…”) e può persino accadere che si sentano giudizi del tipo “eh, ma adesso sei mamma, non puoi certo più parlare / comportarti così” “perché ha fatto dei figli per poi fare ….” “chi glieli ha fatti fare, se poi lavora tutto il tempo?”
Il peso dei doveri
Come una pentola a pressione, aumentano i doveri dentro la vostra pentola, raddoppiano le emozioni “difficili” a gestirsi (paura, tristezza: credo sia naturale che con un figlio ci si senta maggiormente collegati alla storia personale o familiare o globale e intervengano paure ancestrali e altri dubbi o angosce difficili a governarsi), e probabilmente dall’esterno vi chiedono di sorridere più di prima (“sei una mamma così bella e fortunata, che hai da fare quella faccia?”). Sapete che succede se chiudete la valvola e alzate il fuoco sotto la pentola a pressione, no? Bene. Sapete che cos’è? Un’ottima cosa.
Uno sbrocco non è un’onta. Non è un delitto capitale. Non è una macchia indelebile nell’anima di vostro figlio. Se non esistessero gli sbrocchi, la rabbia, la sensazione pesante e di fuoco dentro di noi ci dimenticheremmo di tantissime emozioni che lasciamo a comprimersi nella pancia pur di non guardarle, visto che sono bruttine, e ci costruiremmo di noi un’immagine perfetta ma irreale. Perfetta nel suo essere inscalfibile dai cambiamenti, dai movimenti che sono inevitabili nella vita, se tale vuol essere. Con questo non voglio assolutamente giustificare azioni o parole aggressive o violente dette a causa dell’ira. E’ diverso. Un conto agire in preda alla rabbia, all’ira. Un conto accettarla, ascoltarla. Non si tratta di alzare le mani. Ma di sapere che se ti viene voglia di far partire uno schiaffo non è che sei sbagliato ma che magari c’è qualcosa di sbagliato: non dormi da mesi, hai paura di essere sola, hai bisogno di un’amica, di una doccia, di piangere un po’, di confrontarti. Oppure emozioni del passato sono diventate delle voci interiori e ti stanno parlando negli sguardi e nei comportamenti di persone che non c’entrano nulla.
Il senso di ineguatezza
Tra una gravidanza e l’altra avevo letto un libro frivolo che era basato anche su questo: a suon di convincersi che la suocera facesse a gara per la torta migliore o la cosa fatta a mano più genuina una nuora si era frustrata e sentita inadeguata fino al midollo senza accorgersi che la suocera l’ammirava e l’apprezzava molto per aver fatto carriera e stava solo cercando di dare il proprio contributo con quello che sapeva fare. Ma ovviamente, la nuora (e protagonista) deve arrivare a comprendere che cosa significano parole e gesti nel mondo nell’altro, non nel proprio. E per farlo, deve disattivare le proprie voci negative. La rabbia, a volte, serve anche a farci disattivare meccanismi preconfezionati con cui interpretiamo la realtà che ci circonda. Sto divagando, ma neanche troppo.
Quando proviamo emozioni spiacevoli è facile che le si metta da parte, invece di farci amicizia. Più facile lanciarsi in sproloqui contro gli atteggiamenti che derivano da emozioni spiacevoli piuttosto che tessere amicizia con esse. Le emozioni che provo, spesso, non sono bellissime, non sono come buone amicizie da sbandierare in giro, ma sono mie, mi parlano di me. E io sono convinta che ai nostri figli non serva solo la nostra luce ma anche e soprattutto la nostra capacità di attraversare le nostre ombre. La rabbia contiene tantissima energia: può farci fare, per reazione, cose che non avremmo mai voluto fare. Oppure, ascoltandola, può aiutarci a entrare in contatto con le tante cose preziose di noi che abbiamo relegato tra le ombre. E darci la forza di cambiare. A nostro “vantaggio” o almeno in maniera più consona a quello che siamo. Ma d’altra parte, come persone e anche come genitori (da qualche parte devo aver scritto “la madre perfetta sei tu”) chi siamo chiamati ad essere se non esattamente noi stessi al 100%?
per Cate, che scrive in una pagina dove non posso commentare: è vero, sono tutte sfumature difficili e impegnative, quelle che descrivi. Ma il punto è proprio quello. Hai presente le fiabe, tipo Bella e la Bestia? o altre alleanze misteriose che funzionano nonostante l’apparenza fosse tutt’altra? ecco, il punto sta li. nonostante sembrino emozioni orribili e forse proprio perché sono orribili sono le tue migliori alleate e ti difenderanno da pericoli più grandi.
buon proseguimento!!
@francesca r grazie a te!
@MammainOriente grazie, hai aggiunto un ulteriore tassello, perdonarsi e accettare la particolarità dei figli e delle relazioni con loro. grazie
A volte è veramente difficile accettare la nostra rabbia..
Io che per la mia natura fondamentalmente timida ho quasi difficoltà ad alzare la voce, io che da ragazzina quando c’era da gridare per scherzo o per gioco, dovevo lottare con la mia indole e sforzarmi per farlo uscire quel grido imbarazzato, mi sono trovata più volte ad urlare con il mio primogenito con un’intensità che nemmeno sapevo di avere, fino a farmi venire il bruciore alla gola. Ci sono figli che riescono a tirar fuori il peggio di te. Poi ti senti in colpa, ogni singola parola detta ti logora, ma accettarlo è il regalo più grande che tu possa fare a te stessa, anche se il percorso, come quello di Marzia, è difficile e lungo. Poi arrivano figli che ti riconciliano con la maternità per la loro dolcezza e facilità d’interpretazione e capisci che non sei tu che sei sbagliata, ma hai solo un figlio particolare che ti mette a dura prova ogni giorno, ma che poi ti sa regalare anche soddisfazioni incredibili perché spesso i bimbi più difficili sono quelli che hanno l’argento vivo dentro e una marcia in più su tanti fronti. Lui ora ha quasi 6 anni e so che non è finita e non finirà forse mai perchè ogni età avrà i suoi problemi. L’importante è sì riflettere, ma anche perdonarsi ed andare avanti…