Sentivamo da un po’ la necessità di trattare questo tema, che non sembra immediatamente connesso a dinamiche familiari, ma che secondo noi è il cuore culturale di questi anni.
Prima di tutto c’è da interrogarsi: questa nuova questione femminile esiste? Sta succedendo realmente qualcosa? Ci sono nuove esigenze e nuove urgenze che premono per rivoluzionare le dinamiche sociali o sono vecchie questioni ancora irrisolte? E queste domande nuove se le pongono solo le donne o c’è bisogno di una vera rivoluzione culturale che coinvolga tutti: uomini e donne, adulti e individui in crescita (non solo bambini, ma adolescenti e giovani)?
E se questa nuova questione femminile esiste, da dove nasce? Cosa l’ha generata? Quali cambiamenti sociali, economici e culturali l’hanno fatta emergere? E come incide e inciderà nella vita delle famiglie?
Oddio… che progetto ambizioso questo mese… In fondo noi che strumenti abbiamo per rispondere a queste domande? E poi ci sono risposte definite e certe?
Sicuramente noi abbiamo un osservatorio privilegiato: questa finestra sulla vita delle famiglie che è genitoricrescono. Da qui abbiamo visto nascere molti spunti che coinvolgono la vita delle donne, delle madri, delle lavoratrici, delle compagne di vita. Abbiamo visto temi nascere e svilupparsi e ci siamo accorte che ci sono molte esigenze che appartengono a tutte, a tutte le donne e a tutte le persone.
E poi, frequentando la vita della rete, abbiamo visto nascere conversazioni e discussioni, confronti e luoghi di aggregazione come difficilmente avviene altrove. La nuova questione femminile ha trovato nella rete il suo spazio di discussione, il suo territorio di confronto. La rete sta insegnando alle donne l’aggregazione e il confronto, da sostituire alla competizione e all’individualismo autoreferenziale. E le donne sul web fanno gruppo, si ascoltano e si parlano.
Ma non è nel web che questa “nuova” questione femminile può rimanere confinata. Le riflessioni e le spinte propulsive nate nella rete, stanno premendo, come un’esigenza primaria, stanno diventando una voce politica, nel senso più pieno del termine: che il governo della cosa pubblica, guardi a tutti i suoi membri, uomini e donne, adulti e giovani.
C’è bisogno di trattare i temi della conciliazione tra famiglia e lavoro, di flessibilità e di precarietà, temi che coinvolgono non solo il lavoro delle donne, ma quello di tutti, soprattutto dei più giovani. C’è bisogno di trattare i temi della scuola e del suo ruolo nella cultura e nella crescita di questo Paese, perchè una buona scuola permette alle famiglie di essere libere nelle scelte. C’è bisogno di ricostruire l’immagine femminile nella sua interezza, perchè possa essere il patrimonio culturale dei nostri figli. C’è bisogno di cancellare molti errori e di crescere figli che non ne facciano di uguali.
Proviamo a parlare di donne, per parlare di tutti, del nostro presente e del futuro dei nostri figli e delle nostre figlie.
Al di là degli spinosissimi discorsi sul welfare, lavoro femminile, rapporto Stato-donna, visione di gender in italia etc, mi pare si fosse partiti da una piccolina che guardandosi allo specchio diceva che il suo naso non le piaceva proprio! Io ho da poco letto – grazie a GC – il libro della Maxwell sul discorso del sesso ai bambini (il titolo lo trovate nella sezione del sito che consiglia tante belle letture). E, essendo madre di un maschio di soltanto due anni e di una femmina di (soltanto) uno, il libro mi ha fatto più che altro riflettere su come la società (non quella italiana, ma quella globale nella quale viviamo immersi, volenti o nolenti)influisce sull’educazione che ricevono i nostri figli. A volte facciamo cose, quando parliamo con i nostri bambini, quando stiamo con loro, quando facciamo cose per loro, che hanno un’influenza sessuata sul loro futuro comportamento. Quante di noi hanno comperato una magliettina alla nostra bambina con una scritta o un disegnino da “più grande” o che rimandi a discorsi che solo gli adulti possono capire e non una bimba (o un bimbo ) di uno, due anni? chessò, un elefantino carino su t-shirt rosa con una scritta in inglese “sono il tuo dolce regalino”. Non allude forse questo a qualcosa di vagamente sessuale? e a chi è rivolto il messaggio sulla magliettina? di certo non alla mamma o al papà! su questo come su altri pone l’accento il libro e mi ha fatto pensare a quanto la questione femminile venga infiltrata nella testa di una bambina (e, anche se in maniera diversa, in quella di un bambino) dal mondo in cui viviamo, dai consumi, dagli “imput” che arrivano comunque, anche quando si è genitori consapevoli e attenti.
questi temi non passano mai di moda. è imporatnet continuare a scriverci su, parlarne, confrontarsi, alzare la voce. grazie di quetsa vetrina!
Ciao a tutte!! Per me l’argomento “questione femminile” si riassume in una semplice frase: SIAMO ANCORA ALL’ETA’ DELLA PIETRA!
Il solo fatto che esista un ministero per le pari opportunità la dice lunga. Essere madri e fare carriera è un’impresa titanica.
Ho lavorato in posto dove venivano spedite mail con i “validi motivi per cui è meglio non avere figli” e dove le mie quotazioni sono cadute a picco il giorno che ho detto che mi sposavo!! Se questa non è preistoria!
E sto parlando della realtà italiana, perchè se guardiamo oltre c’è anche di peggio!!
Secondo me voler lavorare non vuol per forza dire che una voglia essere una donna in carriera. Vuole semplicemente lavorare! La cosa più giusta sarebbe che lo Stato garantisca la possibilità a chi vuole di poter lavorare e a chi decide in maniera diversa di farlo.
Io lavoro 8 ore al giorno, il mio compagno lo stesso, abbiamo due bambine di 3 e 9 anni e sinceramente non mi sembra di non dedicare tempo a loro. Entrambe sono andate all’asilo nido (purtroppo solo dopo aver compiuto l’anno, perchè dove abito è così) hanno giocato con i loro amici e al rientro sono state con la mamma e il babbo, anche perchè non abbiamo parenti a cui appoggiarci.
Ribadisco per dare libertà di scelta occorrono servizi adeguati per dare modo a tutte e tutti di poter scegliere cosa fare: lavorare o meno, senza per questo dover rinunciare a fare i genitori.
Per me….semplicemente perché lo voglio io nel senso che io voglio dedicarmi a mio figlio a discapito del lavoro….perché ho capito che mi rende più felice essere mamma che donna in carriera. Fare la donna in carriera vuol dire lavorare tanto….e sottrarre del tempo al proprio figlio (così come fare l’uomo in carriera). Se quello che vuoi è fare la donna in carriera sono d’accordo con te che tale scelta vada condivisa con il papà e trovare insieme una soluzione che accontenti tutti.
Moonlitgirl
@Moonlitgirl, capisco perfettamente e rispetto totalmente il tuo punto di vista, ma per me la questione è: è giusto che questo sia un problema solo femminile? Perchè devi sentirti in colpa a togliere tempo a tuo figlio lavorando a tempo pieno se il papà questa remora non ce l’ha? Insomma perchè questo debba essere un problema non paritario fra uomini e donne? Ovviamente intendo socialmente parlando, che a casa proprio ognuno è libero di organizzarsi la vita come vuole.