Time out: istruzioni per l’uso

Il metodo del time out molto spesso viene mal interpretato. In alcune famiglie è noto come vattene-in-camera-tua-e-non-uscire-finché-te-lo-dico-io, altri lo chiamano l’angolino del cattivo che poi un tempo era il-dietro-la-lavagna nelle aule scolastiche, o la seggiolina del pestifero e tutte le sue variazioni. Metto insieme volutamente tutti questi aspetti perché mi sembrano differenti solo nel nome, ma la sostanza è la stessa: per sottolineare un comportamento scorretto si invia il bambino ad isolarsi per “riflettere” su quello che ha fatto.
time-out-bambini
Il genitore che utilizza il time out in questo modo, spera che il bambino si metta effettivamente a riflettere e possa capire che ha sbagliato non seguendo le regole. Io, forse per il fatto di avere un figlio come il Vikingo, non mi sono mai illusa di poterlo far ragionare da solo, nel silenzio della sua stanza sulla malefatta. Se mandassi il Vikingo in camera sua a riflettere da solo, mi ritroverei molto probabilmente una stanza smontata. Di fronte a quei genitori che mi dicono che mettono il figlio seduto su una sedia all’angolino resto esterrefatta e chiedo “e lui resta li seduto?”. No perché io credo sinceramente che il Vikingo non rimarrebbe seduto nemmeno un momento. Non resta seduto su una sedia nemmeno per mangiare o disegnare, figuriamoci se ci resta a pensare.
Ma anche ammesso che voi apparteniate a quella schiera di genitori i cui figli restano silenziosi all’angolino a riflettere, o si chiudono in camera buoni e zitti, ci sono alcune considerazioni da fare.

E’ provato infatti che il bambino che venga isolato a riflettere sulle sue malefatte nella speranza che si metta a pensare a come dovrebbe comportarsi bene la prossima volta, in realtà si mette a studiare come fare in modo di non farsi prendere la prossima volta. Si sente non capito, e accusato ingiustamente, e anche se lo avete mandato in camera sua perché stava cercando di impiccare il gatto per la coda, penserà di essere innocente e di essere stato accusato ingiustamente. Si sentirà non compreso, e aumenterà la distanza emotiva dal genitore. E nella peggiore delle ipotesi inizierà a meditare vendetta.

E poi diciamo la verità, che pensate di fare se vostro figlio ad un certo punto, magari tra qualche anno, nel pieno della fase adolescenziale vi dirà di andarci voi all’angolino a pensare? (e la sto mettendo giù gentile)
Ho letto su un libro, di cui non faccio nome perché non vorrei pubblicizzarlo, che in quei casi si dovrebbe procedere alla costrizione fisica. Ossia se tu non te ne stai seduto a guardare questo angolo, allora ti ci tengo io. Non so voi, ma a me tutto questo sembra assurdo. Io non ho nemmeno ora la forza di bloccare il Vikingo fisicamente, ed ha solo 4 anni, non penso proprio di farcela quando sarà alto il doppio di me. E in più non ne ho molta voglia. Ho voglia di trovare il modo di comunicare con lui, voglio che lui venga da me quando ha qualche problema. E sono certa che non riuscirò mai ad ottenere il suo rispetto e fiducia se lo costringo a sedere in un angolino.

Il time out invece dovrebbe essere, come dice la parola stessa, un momento di pausa. Che poi è proprio quello che si fa in ambito sportivo, ad esempio nella pallacanestro. Quando un’allenatore vede la propria squadra giocare male, chiama un time out per farli calmare e riportare la squadra a concentrarsi.
In questo senso il time out dovrebbe essere chiamato prima che scoppi la crisi, e non a posteriori. Quando si vede che il bambino inizia a perdere il controllo e la concentrazioni, si dovrebbe proporgli di fare una pausa. E’ una buona idea quella di rendere un luogo della casa adatto a questo scopo, scegliendo ad esempio una poltrona comoda, o anche una sedia in un angolo tranquillo purché l’accezione non sia negativa. Se il bambino è piccolo il momento di pausa deve essere fatto insieme al genitore. Starà a voi scegliere il modo per calmarvi insieme: potreste leggere un libro, parlare, cantare una canzone, recitare una filastrocca, o semplicemente starvene li zitti a pensare. La presenza del genitore è molto importante per non far sentire il bambino in punizione o in isolamento. Il messaggio che dobbiamo fargli arrivare è “Vedo che stai perdendo il controllo. Hai bisogno di un momento di pausa per riprendere la concentrazione e poter continuare a giocare. Io ti aiuterò a trovarlo”

E se avete perso il momento di intervenire prima dello scoppio della crisi? Ecco, direi che in questo sono un’esperta, visto che il Vikingo ha delle escalation emotive tali che il passaggio tra il giocare tranquillo e lo scoppiare a piangere non dura mediamente più di qualche minuto (e a volte ho l’impressione che si tratti proprio di secondi). Il problema è che tentare di applicare il metodo del time out con un bambino urlante è difficilissimo. Perché a differenza della squadra di pallacanestro il bambino non ha molta voglia di starsene in time out, soprattutto se ha 2 o 3 anni ed è nel pieno di una crisi emotiva.

La prima cosa da fare è far capire al bambino che ha bisogno di calmarsi.

Io normalmente procedo in questo modo. Mi piego alla sua altezza, per fargli capire che sono disposta ad ascoltarlo. Gli parlo con voce ferma e tranquilla, cercando di non alzare la voce (anche se la voglia di urlare in questi casi è molta). Lo invito a camarsi, anche se la maggior parte delle volte le mie parole cadono nel vuoto. Io ho spesso adottato la tecnica del finto tonto, dichiarando che non riesco nemmeno a capire cosa dice se continua ad urlare e piangere contemporaneamente. A quel punto mediamente smette di urlare, e tenta di spiegarsi tra i singhiozzi
Gli dico che capisco che si è arrabbiato proprio molto. Aggiungo esempi di quando anche io mi arrabbio. Poi gli spiego che per quanto possa essere arrabbiato, io non sono disposta a tollerare un comportamento simile. Che non si urla/picchia/spinge in quel modo. Una volta riacquistata la calma lo invito a fare una pausa. inizialmente non amava smettere di fare il suo gioco per calmarsi, però piano piano ha capito che non demordo, e il momento di calma è obbligatorio. Durante il time out cerco di capire se vuole che gli parli oppure no. A volte preferisce stare in silenzio, altre preferisce sentirmi parlare. Cerco di spiegargli cosa sta succedendo, perché ha reagito in quel modo, e lo spingo a ragionare su comportamenti alternativi più accettabili.
Ovviamente tutto ciò che dico è valido per il Vikingo, ma non è detto che sia lo stesso per vostro figlio, perché ogni bambino è diverso e ha modi diversi per calmarsi. Bambini estroversi vorranno parlare, quelli introversi preferiranno pensare in silenzio, e saranno invece disturbati dalle vostre chiacchiere. Voi conoscete vostro figlio e saprete certamente individuare l’atteggiamento più opportuno per voi.

Quindi il time out non è una punizione per un comportamento scorretto, ma un momento di pausa che permette al bambino di raccogliere le forze e la concentrazione necessarie ad andare avanti nel suo lavoro.
Che poi non è forse quello che facciamo noi adulti quando sentiamo che stiamo per scoppiare e interrompiamo il lavoro per andare a prenderci un caffè?

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14 thoughts on “Time out: istruzioni per l’uso”

  1. Ma il time out in italia lo conoscono in pochi credo…lo dimostra il fatto che ci sono pochissime risposte su questo articolo.
    Ma allora l’ articolo uscito su una rivista la mala education per cui si dice che i bambini italiani siano molto capricciosi e’ vera? Io vivo all estero e devo dire che i bambini sono piu tranquilli, dove le emozioni sono piu controllate ese controllate significa bambini piu educati allora mi piace. I time out sono fondamentale a casa nostra momento di aggressivita si cambia camera e si dice appena ti calmi ritorniamo la cosasi ripete un altro time out e se si e’ a casa di amici all estremo si torna a casa!

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  2. Ciao Serena grazie 😀 Adesso cerco il post sui terrori notturni.
    Mi sono detta che forse di notte cerca la mia presenza perché a volte basta la mia voce per calmarla, è che a volte lavoro fino a tardi e poi per non fare casino mi metto a dormire in un’altra stanza, forse lei si è svegliata e non sentendomi ha preso paura (mio marito sta via per lavoro metà settimana).

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  3. Ciao a tutti… non so bene dove collocarmi con questo problema.

    Allora mia figlia ha 14 mesi e fin da piccolissima (tipo 2 mesi) oscilla fra due estremi.
    Di base è pacifica, tranquilla e socievole. Ogni tanto, in contesti che non ho ancora ben capito – magari è un po’ stanca, ma non sempre – se non ottiene una cosa che desidera, parte con una specie di crisi di rabbia che dura circa una mezz’ora. Urla, piange, diventa paonazza, adesso che è più grandicella fa per graffiarsi il viso. Non serve a nulla proporle qualcos’altro né provare a fare quello che vuole. Se provo a prenderla in braccio rovescia la testa all’indietro e si divincola, insomma ho la sensazione di far peggio. Così avevo adottato come “soluzione” quella di prendere e andare in un’altra stanza. Di solito si calma in due minuti e: o si addormenta, o riesco ad avvicinarmi.

    I dubbi mi sono venuti per una cosa successa l’altra sera: ho notato che se si sveglia di notte, lei scoppia a piangere appena provo a rimetterla nel suo lettino e lotta letteralmente contro il sonno; ha avuto una delle sue crisi di rabbia e ho provato a tenerla stretta in braccio, lei ha incominciato a prendermi a sberle e “graffiarmi” (per fortuna non ci riesce ancora), sarà andata avanti almeno 20 minuti, finché non sono riuscita a mettermela accanto e farla dormire con me. Ha continuato a svegliarsi di soprassalto varie volte ma sentendomi accanto, si riaddormentava. Quindi mi sono domandata se non sia meglio sempre ‘tenerla stretta’ durante le crisi di rabbia.

    Domanda: qualcuno ha esperienza di crisi di rabbia? Cosa fate? Li tenete stretti o li lasciate?

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    • @closethedoor non tutti i bambini si lasciano tenere stretti durante le loro crisi di rabbia. Anche io usato la tecnica di portare il Vikingo in un’altra stanza per calmare, ma lui non si faceva toccare. In quei casi devi provare a dargli sicurezza usando un linguaggio dl corpo e un tono di voce accogliente ma fermo. Detto così sembra facile, eh?! Prova a considerarla semplicemente una capacità che deve ancora sviluppare e con il tuo aiuto ci riuscirà 🙂
      Le sveglie notturne mi fanno pensare ad incubi o terrori. Sei sicura che sia veramente sveglia? prova a leggere il post sui terrori notturni.

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  4. io provo a mettere in pratica questo metodo con mio figlio di quasi 3 anni, soprattutto quando è in piena crisi o quando sta perdendo il controllo, però non saprei cosa fare quando agisce come stamattina: lui era sul divano a leggere uno dei suoi libri preferiti e la sorellina in esplorazione per la sala, ad un certo punto arriva vicino al divano e si tira su vicino a lui, lui la guarda e caricando bene il libro aperto le ha dato una librata sui denti (ne ha 2)…io non c’ero, ho sentito lei urlare, c’era mio marito che ha preso su lei e me l’ha data e ha preso il grande el’ha portato in camera sua dicendogli: adesso ti siedi lì e pensi se quello che hai fatto è una cosa bella o brutta, e se ne voleva andare ma io dal corridoio gli ho sibilato di rimanere vicino perchè dal tipo di pianto capivo che aveva capito cosa aveva fatto e stava piangendo anche per quello, oltre che per la paura di fronte al suo gesto (suo di mio figlio) e per l’urlo di mio marito. Poi si è calmato, ha detto che era una cosa brutta e mio marito, un pò costringendolo, l’ha portato a chiedere scusa alla sorellina, cosa che ha fatto non molto convinto. Allora mi chiedo se possa andare “bene ” così, è che non si poteva prevenire + di tanto… anche se oggi è stata una giornata tutta all’insegna della gelosia, ogni cosa che la sorellina aveva in mano lui la toglieva (e io gli dico: ma a te piacerebbe? oppure aspetta il tuo turno, oppure questi giochi sono solo tuoi e quelli in comune, oppure lo distraggo proponendo un gioco oppure ne approfitto del sonnellino della piccola per portarlo in giro e stare solo io e lui), appena prendevo in braccio lei, lui iniziava un lamento o faceva qualcosa di provocatorio per attirare l’attenzione ed è stata veramente una prova di calma perchè l’avrei strozzat! lancia gli oggetti e fa finta come dice lui di dare le botte, alla sorellina e a me, questo forse perchè ha visto un video the practical pig, dove uno dei 3 porcellini costruisce una macchina che dà un sacco di botte al lupo, e lui ha un lupo che riempie di botte (letteralmente, e io penso che sia catartico) però poi lo fa anche con me e la sorellina, spesso molto piano ma io gli ripeto NO botte, è la regola (l’abbiamo anche dsegnata), però poi mi ritrovo a minacciare, a fare aut aut perchè non si ferma, è un continuo, anche se lo ignoro lui mi viene dietro e tac tac tac tac con un qualsiasi oggetto, stasera gli ho detto che se continuava andava a letto senza mangiare e che io non facevo la nanna con lui (è in fase che vuole solo me per addormentarsi ma da crisi istericase io vado un attimo in bagno…ma a parte questo mi sono detta: ma ti sembrano cose da dire???). Ecco scusa, sono partita col chiederti un consiglio e alla fine ho sfogato questa giornata, è che mi spiace perchè lo vedo che è una lotta contro i mulini a vento, lui è in continua difesa delle sue cose e io provo a fargli sfogare la rabbia facendolgi battere cose lecite, facendolo correre, anche urlare quando magari fa finta di usare il trapano…ma mi sembra un animo in pena e non so cosa fare per aiutarlo. Stasera dopo cena è stato a vedere una figura di un libro dove c’era un bambino nella culla e gli dava sberle e botte dicendo : gli dò le botte perchè è piccolo! E’ talmente mutevole, certi giorni è un angelo e presta i giochi volentieri (come dice lui), altri come oggi mi sembra che + sto con lui + lui ne vorrebbe di + quindi non accetta i momenti che dedico alla sorellina che riempirebbe letteralmente di botte.

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  5. da oggi sarai la mia WonderMum!!
    … quanto spesso ho cercato rimedi e Troppo spesso ho trovato consigli come la prima parte del tuo post…
    La seconda parte, quella in cui il Vikingo diventa molto simile ad Attila, oltre ad essre rincuorante è anche molto istruttivo…proverò!

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  6. Cara Serena,
    sicuramente hai ragione, io mi sforzo di non comportarmi con mia figlia “con il pilota automatico”, ma la tentazione di classificare i comportamenti è grande.
    Però…osservandola mi rivedo in alcuni dei suoi atteggiamenti e mi stupisco perché credo che sia ancora troppo piccola per averli assorbili da me, quindi deve proprio averli ereditati nel DNA.
    Fin da piccolissima ha sempre manifestato i suoi bisogni in maniera mooolto decisa. Ora che è un po’ cresciuta ha una bassissima tolleranza per gli insuccessi.
    Ad esempio, se non riesce a togliere un giocattolo dal contenitore si indispettisce; io la lascio provare e poi le dico: “se non ci riesci chiedi aiuto alla mamma e lo facciamo insieme”; lei ottiene il giocattolo ma rimane un po’ scocciata, per poco perché è una bambina curiosa e non perde troppo tempo a rimuginare.
    A me fa tanta tenerezza e un po’ mi inorgogliesce, mio marito si sente già in minoranza… 🙂
    Ciao

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  7. questo post sembra scritto per me. Credo di aver interpretato male la regola, io lo metto sul riduttore della sedia (parlo di Mattia) ma metto la sicura per non farlo scendere, e ovviamente lui la vede come una costrizione e non funziona per niente. Quando invece mio marito fa come dite voi, parla con calma, cerca di spiegare, le cose vanno diversamente… proverò, grazie!

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  8. Qui a casa di Mamma Cattiva funziona la parte qui ottimamente descritta da “Mi piego alla sua altezza…” a “e lo spingo a ragionare su comportamenti alternativi più accettabili.”
    Funziona con due figli incredibilmente diversi. E la cosa fondamentale, non sempre possibile, è mantenere la calma. Quella è il sentimento più rassicurante e meno umiliante. Ti dirò di più. Di regola sono contraria alle punizioni di mano. Non parlo delle botte ma anche dello schiaffo o della sculacciata. Eppure in certi momenti di massima escalation ammetto che la mano arrivava a prudere e facevo fatica a trattenermi. Ecco, con la pratica consapevole e ragionata del time-out ho imparato anche su me stessa a non arrivare più a quel punto. Riesco con una sorta di time-out su me stessa a non dover arrivare a quel momento di massima rabbia in cui alla fine distruggerei tutto il buon lavoro fatto. Ne usciamo vincenti tutti.

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  9. Per quanto surreale, con Meryem (quasi tre anni) il metodo del time out a volte funziona. La prima volta l’ho buttata là senza troppa convinzione. Lei aveva piantato un capriccio feroce di urla e pianti isterici. Io le ho detto, in tono deciso: “Così non si può ragionare. Ora vai in camera tua e torna quando ti sarai calmata”. Lei, singhiozzando, ci è andata. Si è seduta sul tappeto e dopo un paio di minuti ha smesso di piangere ed è tornata in salone con aria contrita. A quel punto l’ho abbarcciata forte e tutto è filato dritto. Non è che sia automatico e, ovviamente, non ricorro alla costrizione fisica. Ma le volte successive il tempo impiegato per calmarsi è stato anche inferiore.

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  10. Io ho una collega americana che potrei definire la “mia” finlandese del castello incantato: suo figlio ha la stessa età della mia (18 mesi), va la nido da quando ha 5 mesi, ha sempre dormito nel lettino, alla sera mette via i giochi, se fa i capricci lei lo mette in time out sulla poltroncina per 60 secondi e lui sta lì buono.
    Ma come fa??
    La mia Piccola Peste, quando non riesce a fare qualcosa o le porto via un oggetto con cui sta facendo danni, si butta per terra urlante. Io mi chino alla sua altezza (questo consiglio l’ho preso da te Serena ed è utilissimo!!), se riesco la abbraccio e le dico: “capricci, capricci…” a ripetizione. Poi le dico di scappare e le corro dietro gattonando, è il suo gioco preferito e di solito le passa.
    Anche al nido mi hanno detto che è permalosa, purtroppo ha preso da me. Ora è piccola ma mi chiedo cosa farà quando sarà più grande, sarà ancora più difficile? Intanto faccio tesoro dei vostri consigli sperando di saperli applicare al momento giusto.
    Ciao 🙂

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    • @ Lorenza purtroppo di finladesi del castello incantato al mondo ce ne sono molte 😉
      Attenzione alle etichette però, definire tua figlia permalosa a 18 mesi, forse è un po’ troppo? Se hai tempo dai un’occhiata qui non etichettiamo i nostri figli, please

      @Chiara che meraviglia! Sembra proprio che Meryem riesca a capire il senso del time out!

      @Mamma Cattiva in effetti il time out su noi stessi ha una doppia funzione: quella di calmarci e quella di far capire ai nostri figli che è una tecnica che usiamo anche noi, e quindi togliendole qualsiasi valore negativo.

      @ valewanda beh, dai, non è mai troppo tardi per cambiare metodo 😉

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