Mi odio e poi mi amo e poi mi odio e poi mi amo

Fatemi aprire queste riflessioni che rimugino da qualche anno con una citazione del collega Gasparrini nel suo post sull’odio e alcuni aneddoti:

Opposto all’odio dunque – e forse, suo rimedio – è il sostegno, il complimento, l’esaltazione dell’identità altrui.”

  1. A 16 anni avevo scoperto e mi ero appropriata di un bellissimo paio di fuseaux vintage scovati in casa. Mi incrocia mia madre: “Ma quelli non erano i miei?” “Si, sono stupendi”. “Ma quindi io a 23 anni ci entravo dentro? E tuo padre vuole pure il terzo figlio? Ma io lo ammazzo”. Mia madre che è sempre stata bellissima senza saperlo a vent’anni era uno schianto, ma essendo stata sempre tendenziamente tondetta (e dopo le gravidanze decisamente sovrappeso) non lo ha mai saputo, perché sua madre le diceva sempre che era grassa, paragonandola alle sorelle. Mia zia da quando la conosco mangia da schifo e sta sempre a dieta, ma è elegantissima e si ama così.
  2. Al primo esame di russo all’università la mia amica Gabriella arrivò alle 8 di mattina perfettamente vestita, truccata e messimpiegata. Gabriella è sempre stata una ragazza dallo stile molto classico e discreto, ma mi spiegò che truccarsi con estrema cura la mattina dell’esame le serviva a volersi un po’ più bene del solito e che la aiutava contro lo stress. Fu un punto di vista che non avevo mai considerato prima e poi ho adottato. Ormai truccarmi è come farmi i disegni di guerra in faccia.
  3. Un’altra mia amica, col senno di poi e i forti sospetti durante, al liceo ebbe una botta di anoressia. Non mangiava più, le si erano interrotte le mestruazioni e ci chiedeva continuamente e ossessivamente se le vedevamo delle macchie in faccia (no) e il sedere grosso (era uno stecco con la conformazione a clessidra). Non sapevamo più cosa dirle, poi fortunatamente intervennero i suoi e la portarono dal medico.
  4. Da questo punto di vista sono quindi fortunata: pur essendo stata alle medie la racchia di classe (occhiali, acne, nasone, vestiti strani, capelli pazzi) ed essendomi portata dietro per decenni questa insicurezza di essere brutta, grassa, ecco, grassa non mi ci sono vista mai. Un po’ che fino ai 23 anni ero magrissima, longilinea e a un certo punto molto muscolosa, ma anche adesso che sono come minimo 24 kg sovrappeso, io mi guardo allo specchio e vedo l’adolescente ragnetto che ero e mi vesto di conseguenza. Solo in foto o video mi vedo e non mi riconosco, e un pochino mi spavento per la discrepanza tra come mi vedo in testa e come sono.
Foto Silvia Sala utilizzata con licenza Flickr CC

Parlando con tante persone che conosco mi sono fatta quindi l’idea che la vera differenza la fa quindi il modo in cui ci vediamo noi. Il bambino normopeso o grassoccio che siamo stati. Poi in seguito possiamo ingrassare, dimagrire, farci ricostruire dal chirurgo, nella nostra testa siamo i ragazzini che siamo stati. Siamo quello che ci dicevano a scuola per prenderci in giro, quando questo cortocircuitava con i messaggi a casa.

Per questo dobbiamo sempre stare molto, ma molto attenti a come parliamo con i figli, e in particolare con le figlie adolescenti, che ho l’impressione che le pressioni sociali sulle bambine di oggi siano infinitamente peggio che ai nostri tempi, che pure erano gli edonistici anni ’80. Basta leggersi “Ancora dalla parte delle bambine” per spaventarsi e riflettere.

Io mi ricordo ancora il senso continuo di inadeguatezza estetica che provavo da ragazzina con i vestiti smessi della zia (o vintage della mamma) quando tutte le mie compagne, o quasi, avevano i jeans Armani modello donna appena usciti. E la mia risposta allora era stata quella di ribellarmi ai canoni estetici da “femmina” anche se di mio adoro travestirmi. Ho cominciato a guardare con occhio estremamente critico a quello che siamo stati abituati a considerare esteticamente apprezzabile e/o sexy nell’abbigliamento femminile: tacchi, gonne a tubino e giacche con le spalle strette, biancheria scomoda, panza in dentro o si vede che sporge. Tutte cose, se ci pensiamo, che servono a non farti muovere bene, a non farti correre comoda, e non farti respirare come dovresti. Perché il messaggio che deve passare è: le donne devono stare zitte, ferme e indifese.

Magari sono cose che, vivaddio, crescendo passano: scopriamo che possiamo giocare con i vestiti, con il trucco, con gli stili, essere un giorno Mimì metallugica e quello dopo Mata Hari. Chi ce lo proibisce?

E se cominciamo a parlare con certe nostre amiche più grandi, ci accorgiamo che la vera liberazione è poter andare in giro col reggiseno senza ferretto, con le mutande che le chiappe te le abbracciano e non te le separano, o anche senza l’uno e l’altro, con i vestiti ampi, morbidi, colorati, smetterla di tingerci i capelli. Guardate quanti marchi di moda e quante riviste stanno andando in questa direzione: persino le ragazze giovani si tingono i capelli di grigio argento perché fa trendy.

E allora qualsiasi cosa decidiamo di adottare per noi e per i nostri figli, ricordiamoci che la frivolezza è anche un modo per volersi bene un po’ di più, che fare sport è una coccola per il nostro corpo perché ci riempie di endorfine della felicità, che i vestiti che scegliamo sono la nostra bandiera e ce la facciamo come ci pare, e che il conformismo della moda è un modo certe volte per farci anche volere un po’ bene dagli altri, dal nostro gruppo, per farci accettare, e se nel gruppo stiamo bene e non troppo scomodi, perché non adeguarsi?

E potendo, ora che le cose si sanno e i consigli di alimentazione sana ed equilibrata per i bambini in crescita ci sono, ricordiamoci che un bambino normopeso parte da noi, da come lo abituiamo a mangiare fin dallo svezzamento e soprattutto da come ci vede mangiare. Che una ragazzina che cresce già fa tanta fatica ad adeguarsi al proprio corpo che cambia, che non è bello che sia perennemente affamata e si faccia schifo per la fame naturale che prova. Che un pupo cicciobello, sarà tanto carino, paffuto e con le fossette, ma se diventa un bambino obeso per tutta la vita nella sua testa si sentirà cicciobombo e si muoverà sempre come un bambino grasso. Insomma, che anche le carote sono dolci, buone e coccolose e fino a che possiamo gestirle noi le bevande gassate e i cibi di sintesi ai figli, è bene abituarli subito.

Insomma, amarsi e odiarsi per il proprio corpo e i suoi cambiamenti è un attimo: anche senza adottare rimedi drastici, un po’ di consapevolezza in più da parte nostra e qualche osservazione in meno a bambini e ragazzi, che già spesso si sentono brutti di loro, può fare tutta la differenza del mondo. Io sarò pure sovrappeso, ma lo dico sempre che se mangiassi quello che mangiano i miei figli, e solo quello, sarei un figurino.

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5 thoughts on “Mi odio e poi mi amo e poi mi odio e poi mi amo”

  1. Bellissimo. Io mi curo molto poco, e la cosa più brutta è che so di dare un bruttissimo esempio a mia figlia di 10 anni. Grazie perché è un articolo pieno di significato

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  2. Ho trovato l’articolo bellissimo.
    La mia nonna (e poi la mia mamma), fin da quando avevo 13 anni ha iniziato a dirmi che per uscire “almeno un po’ di phard” lo dovevo mettere. Un giorno, a 20 anni (quando mi lasciai con il mio primo fidanzato serio), stavo per uscire a fare un giro da sola per deprimermi ulteriormente e mia mamma mi disse “ma non ti trucchi nemmeno un po’? Almeno gli occhi!”. Sentii sgorgare le lacrime, fino ad allora le giudicavo frivole, ma in quel momento capii che mia mamma voleva solo costringermi a volermi bene.
    Da allora mi trucco tutti i giorni, con cura, ormai sono esperta e ci metto anche poco. Uscire alla mattina truccata mi fa affrontare il mondo con più forza, perchè quei 5-6 minuti alla mattina li ho dedicati a me stessa.

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