Fatti i buoni propositi per il nuovo anno? Cosa avete pensato di fare nel 2016? Io ho soprattutto ripassato mentalmente cosa non fare tipo, non urlare ai bambini, non procrastinare fino allo stremo soprattutto la palestra, non mangiare troppe schifezze. Insomma io mi trovo spesso a pensare al cambiamento in antitesi al passato, come se la necessità di tagliare i ponti sia più forte della voglia di qualcosa di nuovo.
Da qualche settimana mi frullano delle domande nella testa. Quando decidiamo di essere chi siamo e smettiamo di essere quello che i nostri genitori hanno pensato per noi? Quando tagliamo il cordone ombelicale con il nostro passato? Cosa guida le nostre scelte quanto ci troviamo in situazioni sbagliate? Ed è davvero una nostra scelta? E quelle situazioni sono obiettivamente sbagliate o è la nostra visione, ispirata dal mondo da cui proveniamo, a dipingerle con i colori cupi dell’errore?
A volte penso all’equilibrio instabile tra predestinazione e libero arbitrio, tra quello che stabilisce il nostro DNA, o molto di più la nostra educazione, e quello che possiamo fare noi per essere padroni della nostra vita. Alla voglia che abbiamo di essere mamme e papà diverse dalle madri e dai padri che abbiamo avuto, per evitare gli stessi errori, mentre poi un giorno ci guardiamo allo specchio e riconosciamo lo stesso volto, le stesse rughe, gli stessi malumori nascosti sotto la pelle.
Quanto spazio abbiamo per autodeterminarci? Quanto spazio lasciamo ai figli per autodeterminarsi?
Un’amica ci raccontava che, per tutto un anno, mentre le sembrava che la vita le cambiasse attorno fuori dal suo controllo e le cose accadessero da sole, le risuonava in testa una frase: posso farlo succedere. E l’importante era quel verbo: “posso”, come pronunciato da una persona che parla a sé e di sé, non “puoi”, come se si parlasse a se stessi dall’esterno. L’essenziale era quella prima persona singolare e il coraggio di pensare e vivere ogni giorno in quella dimensione di prima persona singolare. Solo in quel momento aveva capito che le cose non stavano accadendo, ma stava determinando la sua vita, con scelte quotidiane.
L’autodeterminazione è coniugare i verbi alla prima persona singolare.
E quando sono i nostri figli a voler coniugare i verbi delle loro azioni alla prima persona singolare? Non accade solo quando sono grandi e prendono davvero la loro strada, ma accade per ogni “no” che pronunciano, anche a due anni. No è forse la parole che più esprime l’autodeterminazione, il taglio del cordone tra noi e loro.
E noi lì a ricordarci che per ogni no, loro crescono, si rendono indipendenti, anche se dentro soffochiamo rabbia e frustrazione e ci domandiamo dove abbiamo sbagliato.
O forse ci domandiamo dove loro sbaglieranno, a quali errori li porterà l’autodeterminazione e sentiamo un brivido gelido lungo la schiena, al pensiero che quegli errori possano essere troppo grandi da ripararli con il nostro aiuto.
Perché non temiamo che prendano la loro strada, ma che ne prendano una sbagliata. Eppure, distinguiamo giusto e sbagliato con le nostre teste e i nostri cuori, senza mai renderci davvero conto che loro avranno altri canoni per decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, per loro.
Della nostra autodeterminazione, invece, cosa resta? Quando diventiamo genitori quella prima persona singolare sembra ormai un miraggio. Quante volte possiamo realmente pronunciare “io”, piuttosto che “noi” o “loro”. Quanto volte ci sembra giusto soffocare quell’io, perché non è più tempo, non è più stagione.
E quanto invece torna fuori un bel giorno, quando appunto ci guardiamo allo specchio e scopriamo lo stesso volto, le stesse rughe, gli stessi malumori nascosti sotto la pelle, ma che non sono nostri: ce li ha messi lì qualcun’altro, un altro io che non riconosciamo.
Abbiamo fatto scelte sbagliate? Ci si sono chiuse alle spalle delle sliding doors che non si riapriranno mai più? Abbiamo scelto? E quelle scelte come sono state, giuste o sbagliate?
Sono state le nostre.
Mi stavo preoccupando un po’ per questo silenzio prolungato, ma stavate preparando un temone importante!
Come sempre molti spunti su cui riflettere.
“Aveva capito che le cose non stavano accadendo, ma stava determinando la sua vita, con scelte quotidiane” questa mi fa riflettere… In questo periodo, complice la stanchezza, mi sembra molto di lasciarmi vivere, di percorrere un binario prefissato. Colazioni, asilo, lavoro, cena, sonno.
Ma anche le non-scelte sono scelte.
Grazie e ciao!