Mi continuo ad affannare dietro ogni cosa. E’ mattino, devo preparare la colazione ai bimbi, tirare il Vikingo fuori dal letto, vestirli e uscire di casa entro un orario ragionevole. Pollicino richiede la mia attenzione, gattona alle mie gambe e mi tira i pantaloni. “Vikiiingo? Sei ancora a lettooo? Vieni a fare colazione!” urlo dalla cucina sperando di smuovere il mio primogenito che ho svegliato già da dieci minuti buoni ed è rimasto a poltrire sotto le coperte. Nessuno risponde, ovviamente. Io infilo una tazza piena di latte nel microonde e apro lo sportello della lavastoviglie: naturalmente è da svuotare. Inizio a tirare fuori le stoviglie e lancio un altro urlo “Vikiiingo! Ci sei?” . Intanto il lamento di Pollicino diventa impossibile da ignorare, lo prendo in braccio e scopro che ha il pannolino carico. Mentre lo porto in camera per cambiarlo, mi affaccio nella stanza del Vikingo e lo vedo che gioca con i lego sul pavimento “Vikingo forza è tardi. Devi cambiarti. Prendi i vestiti da solo per favore.” Cambio Pollicino e ripasso davanti alla stanza del Vikingo mentre mi dirigo di nuovo in cucina. “Vikingo, hai sentito cosa ho detto? E’ tardi togliti il pigiama. Vestiti Forza” continuo verso la cucina dove il microonde martella il suo beep beep. Estraggo la tazza di latte caldo. Il pane è tostato. Metto Pollicino sul seggiolone con un biscotto in mano e poi torno dal Vikingo il quale è ancora impegnato nelle costruzioni. Entro nella sua stanza, apro gli scuri alle finestre e lo incito per l’ennessima volta ad agire. Intanto raccolgo un paio di calzini sporchi per terra, scavalco un dinosauro che giace sul pavimento, mi volto verso di lui e gli chiedo “Vikingo! Ma ci senti? Hai sentito che ti sto chiamando?” Mi avvicino, mi chino al suo livello, e gli tocco leggermente la spalla. Lui solleva lentamente lo sguardo verso di me e mi guarda come se solo in quel momento si fosse accorto della mia presenza.
Che mio figlio non abbia problemi di udito lo so per certo, visto che ha fatto delle prove audiometriche da poche settimane. Infatti si tratta di sordità selettiva. Ovvero, sente la mia voce ma non ritiene sia il caso prestare attenzione a quello che dico. Ora tutto questo potrebbe farmi arrabbiare, e non nego che spesso lo fa, ma mi basta osservarmi per un attimo per accorgermi che forse il problema è mio. E la domanda che mi pongo è: quanto è possibile aspettarsi da un quattrenne?
Mentre la mia voce lo sta chiamando, il linguaggio del mio corpo gli comunica tutt’altro. A parole gli comunico un’urgenza, dall’altro gli dico che la faccenda alla quale lo sto chiamando non è così importante visto che non mi prendo la briga di fargliela fare. Il messaggio è chiaramente contraddittorio. E quale dei due messaggi sceglie? Ovviamente quello che gli fa più comodo, ossia ignorare le mie richieste.
Avete anche voi la necessità di ripetere gli ordini più volte prima che i vostri figli si decidano ad ascoltarvi? A quale punto lo fanno, dopo che lo avete ripetuto 10 volte, o solo dopo che lo avete minacciato di portarlo dal medico a controllare le sue orecchie? O forse dopo che avete inziato ad urlare come aquile che se non si sbriga gliela farete pagare? E conto fino a tre! Ma poi che succede?
In un pomeriggio in cui io e Silvia abbiamo deciso temerarie di far giocare il Vikingo e il Sorcetto insieme, alla terza volta che ho inutilmente incitato il Vikingo a prepararsi per uscire, il Sorcetto (6 anni) mi ha gentilmente spiegato: “non è che non ci sente. E’ che non gli va di fare quello che gli dici, e quindi non lo fa.” Credo abbia aggiunto qualcosa del tipo “facciamo tutti così” ma non mi ricordo esattamente le parole.
Ora però a casa nostra ho deciso di cambiare. Abbiamo comunicato al Vikingo che da ora in poi le cose vogliamo dirle solo una volta. Se non lo fa subito, ci avviciniamo a lui, lo prendiamo per mano e lo accompagnamo a fare quello che gli abbiamo chiesto di fare. Perché quando gli dico di fare qualcosa, voglio dirlo non solo con le parole, ma anche con il linguaggio del corpo. Anche se questo significa dover interrompere la serie disordinata di gesti che si susseguono incessanti nel caos della mattina.
E solo smettendo di parlare e agendo posso essere certa che il messaggio arrivi forte e chiaro.
@ Lalla su GenitoriSbroccano
Volevo solo dare un input sulla distrazione e sordità selettiva.
Quand’ero in prima elementare la mia maestra si era spaventata perché a metà lezione iniziavo a ridere da sola fissando il muro. Poi parlando con mia mamma hanno capito che siccome io sapevo già leggere, in realtà mi stavo annoiando; con l’inizio del secondo semestre le lezioni sono diventate più difficili e non mi sono più incantata.
C’è da dire però che la distrazione e il fatto di “incantarmi” e sognare ad occhi aperti rimane un tratto del mio carattere anche oggi 😉
Ma si, certo che le richieste devono essere a misura di bimbo. Domenica pranzo con tutti adulti, la piccola (un anno sabato) l’ho lasciata a casa con la nonna, e con noi è venuta Sara (5 a giugno). Le ho chiesto di comportarsi bene, ma più di 5 ore a tavola non erano accettabili (quasi nemmeno per me) quindi libri, fogli da colorare, lavagnetta magnetica. Ho messo limiti chiari (stai qui vicino a noi, in terra va bene, ma vieni a tavola quando ti chiamo e assaggi almeno una volta quello che portano, poi scegli tu se mangiare o no). E’ stata bravissima e noi tranquillissimi, ovviamente le ho anche letto un libro e l’ho coccolata, ma direi che è stato un ottimo compromesso.
Domenica prossima si replica (mannaggia ai compleanni di chi non ha figli…) e la piccola sarà anche con noi. Certo da lei non posso aspettarmi niente e sono già pronta a un lungo pomeriggio passato a seguirla in mezzo ai tavoli…
Ecco, sono decisamente fuori argomento, ma per far capire che io chiedo, ma solo se so che è alla sua altezza, e una volta chiesto cerco di essere coerente.
Sono d’accordo: le minacce a vuoto sono una delle cose piu’ diseducative. Ho visto amici con figli di 4-5 anni lasciare il ristorante alla seconda ripresa “un avvertimento ci sta sempre” lasciando i soldi sul tavolo e pregando gli amici di rimanere per far vedere al figlio che si stava perdendo qualcosa (lui moriva dalla voglia di esserci, ma si era sovreccitato), come dice Daniela col sorriso sulle labbra e fornendo spiegazioni (“questi comportamenti al ristorante non sono accettabili. Se vuoi starci, devi comportarti secondo le regole, se non sei pronto ci riproviamo un’altra volta. Quando sarai in grado di comportarti come si deve al ristorante, potrai venirci e potrai fare tante altre belle cose”). E’ bastata quella volta: ho rivisto spesso il bimbo e bastava un avvertimento per rimetterlo in riga.
I bambini hanno bisogno di coerenza, siamo noi che a volte non vogliamo (e sentiamo di non potere, ma non e’ cosi’) fare compromessi. E lo paghiamo. Certo, si va per tentativi per vedere se sono pronti ad affrontare le situazioni, ma se non lo sono sta a noi prenderne atto e agire di conseguenza. Spero di riuscire anch’io ad essere coerente come quella coppia di miei amici. Nel frattempo, TopaGigia di 10 mesi al pranzo di Pasqua al ristorante coi parenti non ce l’ho portata (ma ammetto che non ne avevo assolutamente voglia, quindi l’ho usata anche un po’ come scusa…). Era chiaro che sarebbe stato un disastro.
Questo è uno dei pochi punti che riesco quasi a gestire…
Non sono per le bugie o le minacce a vuoto (vado via, sennò poi…) tanto funzionano poco e perdiamo credibilità.
Però sono per i fatti.
Fortunatamente non ho grossissimi problemi con Sara, al mattino ovviamente è una lotta, ma sinceramente non ho mai pensato che il problema fosse lei, anzi, come dice Serena siamo esagerati, è inevitabile, ma questi poveri bambini crescono con la fretta sulle spalle… Dovrebbero passare ore a fare niente e annoiarsi, e invece siamo sempre di corsa, e io il disco “forza, muoviti, è tardi, dai, dobbiamo fare presto, siamo in ritardo” l’ho acceso il giorno che siamo uscite dall’ospedale e non l’ho spento più 🙁
In ogni caso, al mattino gioco, per esempio le dico “ora vado in cucina poi vengo a cambiarti, guai a te se mi nascondi i vestiti che non li trovo più”, e lei si cambia e si nasconde sotto le coperte, io poi faccio tutta la pantomima del “ma dove sono? ma chi li ha mangiati? non li trovo…” finché lei salta fuori dal letto con un “buuuuhhhh”. Ecco, finché funziona chiedo, poi ripeto, poi provo col gioco.
Se non basta passo ai fatti. Abbiamo passato una settimana in cui non sentiva niente, una delle sue fasi, per ogni cosa mi sembrava di parlare con un fantasma, lei non c’era, era su una nuvola. Così le ho detto: da ora in poi le cose le dico una volta, e una le ripeto. POi basta.
All’asilo: Sara le scarpe. Niente. Sara, mamma ti ha detto di metterti le scarpe, questa è l’ultima volta che ti avviso. Ballava. Ho preso le scarpe e la giacca e le ho detto “andiamo” mentre mi sono avviata all’ascensore. Mi ha rincorso chiedendomi le scarpe, gliele ho date in macchina. 50 metri scalza hanno sporcato le calze ma le hanno fatto capire che non scherzavo. Idem a tavola: dua chiamate. Fra un po’ è pronto, quando ti chiamo subito le mani e a tavola (avviso sempre prima per tutto se posso). Poi la chiamo. Poi se ancora non c’è, le dico “è pronto, ci sei o tolgo il piatto?”. Ho tolto il piatto un paio di volte, saltato il pasto (ovviamente senza niente fino al pasto dopo) e non ho dovuto farlo più. Allo stesso modo è uscita senza giacca in pieno inverno, solo due metri di strada, ovvio, ma anche quello è bastato a farle capire che non sono disposta a litigare per ore per uscire
Ovvio che non è aria da caserma, cerco di essere sempre gentile e sorridente, le ho spiegato che se devo chiamarla tante volte mi arrabbio e così sto male io ma anche lei, e quindi non lo voglio fare, mi assicuro sempre che abbia sentito (se non risponde vado, le prendo le mani e glielo ripeto dicendole che aspetto una risposta), ma insomma, lei ha tutto il diritto di essere su una nuvola, e se posso la assecondo, e cerco di avere fretta il meno possibile, ma quando si deve interagire, una risposta serve… E così sembra un po’ duro come metodo (ma ripeto, sempre col sorriso durante, e anche dopo, quando le dò le scarpe per esempio, con un sorriso le dico “tienile tesoro, se ora le vuoi te le dò”) ma secondo me è molto meglio di tutto il tempo che passerei a chiederle urlando per decine di volte la stessa cosa (annoiandola pure).
Il linguaggio del corpo… voglio provarci, ma ogni tanto lo uso già, non sempre serve purtroppo.
Oh, cmq poi c’ho prestato attenzione e mi sono resa conto che magari è incomprensibile per Puzzola che io la inciti a sbrigarsi quando io invece faccio colazione con un orecchio a Rainews24: in realtà posso farlo anche perché poi ci metto 15′ a fare cose per le quali lei impiega mezz’ora, però l’ho “seguita” un po’ di più, o almeno ho alternato il seguirla con il lasciarla sola ed è andata un po’ meglio… Ah, e c’eravamo alzate mezz’ora in ritardo (ché se ci si sveglia alle 7.00 so’ bravi tutti ad essere pronti alle 8.00…)
BELLA!!!
ciao
Non posso che farti i migliori auguri Serena. Da tempo il linguaggio del corpo con l’erede non funziona più. Se decide di non sentire non c’è santo che tenga. Niente lo scalfisce: minacce grida, sguardo sguardo, premi, prevvisi… non resta che scuoterlo fisicamente dalla sua sordità e tirarlo su di peso. Senza essere violenti, ma molto risoluti. Quando sarà alto 1,80 e peserà non so quanti kili mi domando come farò.
Gloria tranquilla non mi illudo. Non basta certo fare così per ottenere sempre la loro attenzione. Forse possiamo essere tutti d’accordo con l fatto che il linguaggio del corpo è importante tanto quanto quello verbale nella comunicazione con i nostri figli (ma oserei dire nella comunicazione in generale). Con i più piccoli funziona anche molto bene il fatto di prenderli per mano e accompagnarli a sistemare i giochi, a lavarsi i denti, o a sedersi a tavola. Poi bisogna pensare ad un piano B per quando sono abbastanza grandi e forti da poter opporre resistenza fisica. Io un piano B ce l’ho, e ne parleremo insieme tra qualche giorno 😉
Il Sorcetto, come capite dal post di Serena, è addirittura un teorico della sordità selettiva. Per noi, quello che Serena chiama linguaggio del corpo, è sopravvienza: non c’è nulla da fare, se lui è perso nell’iperurano, è necessario mettersi all’altezza dei suoi occhi e ripetere la domanda o l’affermazione sintetizzandola in due o tre parole chiave. A quel punto può capitare che si svegli e che chieda di ripetere la domanda o il concetto per esteso
Se io continuo a sfaccendare o a parlare da una stanza all’altra (cosa che, ahimè, io faccio in continuazione), rinuncio semplicemente al fatto di essere ascoltata.
Fortunatamente è piuttosto ossessionato dall’idea di arrivare in ritardo (soprattutto a scuola!), quindi pronunciare ad alta voce la parola “ritardo” o “tardissimo”, normalmente lo scuote dalla trance.
Per la cena funziona il metodo Mammaemigrata: annuncio l’orario di cena con almeno cinque minuti di anticipo (do il tempo all’amplificato di rendere accettabile l’idea di transitare da un’attività all’altra) e poi basta. Poi c’è solo il piatto a tavola che si fredda… Incredibilmente è più efficace del decimo urlo.
Panz… la minaccia di lasciarlo in casa da solo non funziona da un bel pezzo. Risponde: ah, ok, allora io resto o VADO da nonna, ciao.
@Silvia sul sottolineare il concetto di ritardo voglio raccontarti un piccolo aneddoto al limite dell’imbarazzante. Giocando con la zia in questi giorni, il Vikingo ha deciso di impersonare il ruolo di padre della cuginetta (la Burrosa). Nel gioco lui, padre, portava la figlia all’asilo la mattina gridando che era tardi e bisognava sbrigarsi. Poi correva al lavoro e lavorava in modo frenetico tutto il giorno. Poi quando usciva per andare a prendere la figlia all’asilo arrivava tardi. E continuava a ripetere come un ossesso che era tardi per la cena, ed era tardi per andare a letto. E così via il giorno seguente. Insomma, temo che il concetto di essere in ritardo lo stiamo sottolineando un po’ troppo spesso 😉
Il Sorcio invece è paranoico di suo sui ritardi….
bah… chissà da chi avrà preso….?
🙂
Lo ammetto: sono una mamma sorda selettiva. E’ stato lo spirito di sopravvivenza. Nano in certi giorni chiama/urla “Mamma” dalle 500 alle 1.000 volte. l’80% inutilmente, per il semplice obiettivo di sapere dove sono (e viviamo in un appartamento, non posso fuggire!). Una volta alla milionesima domanda generica/universale ho arrischiato un distratto grugnito tipo “Umm” e lui mi ha redarguito dicendo che quella non era una risposta e che “Umm” non voleva dire niente. Se lui mi avesse risposto così io non avrei capito e quindi non lo potevo fare. Era serissimo.
Vorrei poter adottare la stessa filosofia con lui ma in realtà Nano non è mai sordo, le sue reazioni fisiche e verbali si contano in millesimi di secondo e ti dice esplicitamente se una certa cosa non la vuole fare, non la vuole fare da solo, la farà in un altro momento. E da lì inizia la negoziazione. Che fatica! Era meglio sordo, anzi muto!
Quello che dici è verissimo e capita anche a noi. Io al mattino corro come un’invasata da una parte all’altra della casa e nel frattempo chiedo a lui, amplificato duenne, di stare seduto in cucina a bere il latte…. Infatti si decide a bere solo quando io mi siedo accanto a lui con calma. Quando c’è anche papà a casa va meglio perché, dotato di molta più pazienza della sottoscritta, presta tutta, o quasi, l’attenzione del caso all’infante mentre e si occupa di preparare e sparecchiare la colazione.
Come Panz anch’io per indurlo a vestirsi/farsi vestire (qualcosa fa lui qualcosa io) per uscire di casa adotto la stessa tecnica e funziona perché il Tato starebbe sempre in giro… Tra l’altro lui tende ad essere abbastanza autonomo e appena riesce vuole fare le cose da solo; apprezzo molto questa spinta di autonomia perché io, al contrario, ero una bimba poco autonoma, però a volte si paga il prezzo di doverci mettere molto più tempo per calzarsi e vestirsi…Santa Pazienza…mi rendo conto che loro non possono capire sempre le sfumature del momento contingente e quindi sta a noi barcamenarci.
@StranaMamma penso che il correre come invasati al mattino sia una caratteristica comune a tutti noi genitori. Io quando sono intelligente mi sveglio un quarto d’ora prima, ed ho notato che quei 15 minuti fanno miracoli. Però troppo spesso mi scordo di essere intelligente, e preferisco poltrire un quarto d’ora in più per poi correre come un’invasata e non ottenere nulla da mio figlio. Che fatica!
@Marzia mamma sorda selettiva: come mi piacerebbe! 😉
Al momento con loro sono arrivata ad un quasi accordo: non mi fate ripetere le cose più di tre volte altrimenti…… e lascio cadere lì
per il momento 6 volte su di 10 funziona.
Non avevo però preso in considerazione il linguaggio del corpo da ora ci starò più attenta.
Però si anche loro sono delle sorde selettive.
E se lo facessimo anche noi genitori, soprattutto alla fine di una giornata estenuante dopo l’ennesimo MAMMAAAAAAAAAAA urlato con una voce che ti fa venire in mente Poltergeist e non il tuo angioletto??????
Io vado via. Le dico “Bon, evidentemente vuoi rimanere a casa da sola, allora io vado al lavoro” e faccio il gesto di uscire.
Non so quanto ancora funzionerà (prima o poi forse le andrà pure bene l’idea di rimanere a casa da sola ;-)) ma tant’è. Repetita iuvant sed stufant, diceva una mia prof al liceo. Stufant i genitori 😉
@Panz non vorrei deluderti, ma scoprono abbastanza in fretta che è una finta. Di fatto non lo faresti mai sul serio e loro lo sanno benissimo. Con il Vikingo non funziona più da un bel pezzo.
@Antonella altrimenti che? vedi risposta a Panzallaria. Ho l’impressione anche qui che sappiano perfettamente che l’altrimenti è una minaccia vuota. Ciò non toglie che “l’altrimenti” dia comunque il senso della fine della tua pazienza e le inciti a reagire.
Serena: si, non lo metto in dubbio ;D
Infatti quello di pretendere una risposta e’ un buon metodo: in quel modo gli dici anche: io ti sto dando tutta la mia attenzione e pretendo che tu mi dia la tua. Soprattutto le prime volte bisogna che sia articolata, ovvero: “che ti vuoi mettere oggi?” e pretendere la risposta “i pantaloni blu e la maglietta rossa”, cosa che oltretutto lo coinvolge nelle scelte. Dopotutto, e’ lui che deve vestirsi. Anche un “mamma scegli tu” va bene, l’importante e’ che si sia posto il problema e abbia dedicato due neuroni per 10 secondi alla faccenda. In questo modo non puo’ far finta di non aver sentito, ma anche in perfetta buona fede, lo hai fatto concentrare un attimo su una questione, che a questo punto dovrebbe occupare anche una minima parte del suo cervello.
Personalmente penso che sia giusto fino a un certo punto “accompagnarli” nelle cose che devono fare. Non per un fatto di comodo, e naturalmente non si puo’ pretendere che un 3-4enne sia in grado di prepararsi completamente da solo la mattina, pero’ vorrei che TopaGigia imparasse a diventare indipendente appena avra’ raggiunto l’eta’ per fare qualcosa da sola (adesso ha 11 mesi…). Insomma, sicuramente il fatto del linguaggio del corpo e’ giusto, ma forse una via di mezzo potrebbe essere la soluzione migliore: si dice al bambino quello che deve fare UNA volta, entrando nella sua stanza e facendogli vedere che siamo coinvolti in cio’ che lo riguarda. In questo modo gli comunichiamo anche l’importanza della richiesta. Poi, magari cercando uno scambio reciproco (“vuoi che ti aiuti? hai preferenze su quello che vuoi indossare oggi?”) al quale fare attenzione che lui RISPONDA (ho imparato che certe persone la mattina sono talmente distratte che devono essere portate a rispondere in modo sensato a qualcosa per svegliarsi), gli diciamo che mentre lui si veste noi siamo in cucina a preparargli la colazione, se ha bisogno di noi siamo di la’ e lo aspettiamo. Che ne dite?
Barbara era proprio quello che cercavo di dire nel post. Dire le cose una volta sola, nel modo giusto, coinvolgendo entrambi i linguaggi, verbale e del corpo, e poi accertarmi che lo faccia. Però ti garantisco che l’ultima parte, quella di accertarsi che lo faccia, non è affatto ovvia, soprattutto per chi ha sempre il cervello in movimento come il Vikingo che mentre ne fa una ne pensa altre cento. Nel percorso tra una stanza e un’altra è in grado di distrarsi un milione di volte.
Ah, noi ci siamo accorti di questa cosa con un esperimento facilissimo: Radiolina e Invasato di solito quando rientro a casa la sera sono nelle loro camere, una attaccata all’Ipod e l’altro perso nel suo mondo. Io arrivo, preparo la cena e cinque minuti prima che sia pronta, mi sgolo per chiamarli che vengano a preparare la tavola. Mi ci vogliono almeno 10 urli, di intensità crescente, che secondo me alla fine mi sentono anche i vicini che stanno in fondo alla strada. Siccome un po’ va bene ma il troppo stroppia, un giorno mi sono incavolata e non li ho proprio chiamati per niente. Nel momento in cui io e Pisolo ci sedevamo per mangiare, eccome se si sono precipitati, sentendo il rumore delle posate nei piatti! Da quella volta non li chiamo più! Ho detto loro che ogni sera la cena è pronta alla stessa ora, quindi pretendo che cinque minuti prima vengano a preparare. Chi è in ritardo non mangia, punto e basta.
Mammaemigrata splendido modo per fargli arrivare il messaggio che se vogliono mangiare l’interesse è il loro. E’ proprio quello che si vorrebbe avere: una sana divisione di responsabilità. Purtroppo il discorso del cibo è tra i più complessi, e ci sono bambini che piuttosto digiunerebbero il che metterebbe in crisi molti genitori. Ma il senso generale di far capire che è loro interesse fare qualcosa mi sembra una buona filosofia.
Agh! Ci mancava solo il linguaggio del corpo da coordinare con le indicazioni della voce… Sembra una proposta interessante ma, al solito, faticosa. E poi adatta per i più piccoli?
La mia Puzzola ne ha 8 di anni e a me sembra che quando, angosciata, le chiedo, intimo, sbraito, ecc di sbrigarsi perché IO sono in ritardo le faccia solo una gran rabbia che:
A. Io sia angosciata per qualcosa
B. Questo qualcosa non riguardi lei
Anche il fatto che LEI sia in ritardo la percepisce come una cosa che riguarda ME e non LEI: non riesco a trovare il modo di farle comprendere come sia importante arrivare puntuali e brutto far aspettare gli altri…
Nel mio caso le uniche soluzioni sembrano svegliarsi abbastanza presto da non giungere al livello di “angoscia”, oppure trovare una motivazione che spinga LEI a voler arrivare puntuale (per ora è successo una volta che ci eravamo prefissate di comperare le figurine prima di andare a scuola, ma mi rifiuto di legare ad un sorta di compenso il VALORE della puntualità!).
Che mi dite?
@Alessandra in realtà il discorso del linguaggio del corpo coordinato con la voce è estremamente importante soprattutto per i più piccoli, anche se poi in fondo è importante per tutti. Se ci pensi anche noi adulti valutiamo l’importanza di quello che ci viene detto da un amico o un collega anche sulla base di quello che ci dice il suo corpo. Una cosa è se ci parlano guardandoci negli occhi e dedicandoci tutta la loro attenzione, un’altra è se mentre parlano con noi sbrigano altre faccende.
Il senso di urgenza non è certo proprio dei bambini, e il fatto di fare tardi normalmente non li interessa molto, e come descrivi bene te, lo avvertono solo come una nostra esigenza (salvo quando vogliono fare qualcosa ORA e non ammettono ritardi). Ma non sto dicendo che non sia importante lavorare per farglielo capire. Prometto un mese pieno di idee e consigli anche su questo. Quindi armati di pazienza che arriveremo a coprire un po’ tutto.