Natale con i tuoi … Pasqua con chi vuoi, diceva il famoso proverbio, filastrocca cantilenante che volente o nolente conoscono tutti.
Per molto tempo non mi sono sottratta a questa tradizione, e ogni anno a Natale mi sono messa in fila a sfornare prelibatezze per il classico pranzo a casa di mia mamma, o di mia suocera. Messa di mezzanotte, scambio di regali, tintinnio di bicchieri e occhi che luccicano nella fredda notte della vigilia.
Oggi questi riti fanno parte delle mie belle abitudini, del mio quotidiano caldo e colorato che a dicembre da libero sfogo all’accoglienza e alla creatività.
La mia casa si riempie di carta da regalo e nastro rosso, decorazioni sfavillanti e renne, luci a intermittenza e profumo di zenzero e cannella. Dal forno tiro fuori a ore improbabili della notte biscottini di panpepato e arance candite, torte al profumo di lavanda e lasagne da mangiare nei giorni di festa.
Eppure c’è stato un momento in cui tutto questo non mi apparteneva più, e mi sentivo in balia di abitudini e riti portati avanti più per dovere che per il piacere di condividere questo tempo.
Quindici anni fa non avevo ancora figli, io e mio marito eravamo due sposini entusiasti della vita, desiderosi di scoprire e sperimentare e perché no, anche di infrangere qualche tradizione.
E così fu che qualche Natale andammo a sciare in solitudine e qualche altro prendemmo l’aereo e ce ne fuggimmo via.
“Ma non potete partire a Capodanno?”, osarono dire qualche volta i nostri genitori, un po’ increduli circa il nostro desiderio di evasione.
La risposta era no, perché l’intenzione era proprio quella di non essere a Milano i giorni di Natale.
Quell’anno partimmo il 23 dicembre, uno di quei viaggi fai da te organizzati in due giorni con la guida alla mano. La meta erano i Caraibi ma non quelli da resort e spiagge tutto compreso, bensì un piccolo paese dimenticato dal mondo, zaino in spalla e scoperta delle zone vicine con i pullman del posto, popolati solo da abitanti dell’isola.
Per cercare una casa in cui dormire ricordo un giro turistico del luogo fatto con un pescatore in infradito dallo sguardo allegro e la pelle scura segnata dal vento e dalla salsedine.
Ci portava dentro cortili improbabili popolati da bambini scalzi e galline spelacchiate, arricchiti da colorati panni stesi ad asciugare al sole. Un tripudio di voci e di profumi ci accoglieva con spontaneità, e donne sorridenti ci indicavano stanze a nostra disposizione.
Alla fine scegliemmo un piccolo appartamento a ridosso della spiaggia gestito da una coppia tedesca che in spagnolo un po’ arrangiato ci raccontò un pezzo della sua vita. Dalla Germania, questi due bizzarri signori dalla pelle bianchissima, diversi da tutti gli altri, avevano preso baracche e burattini e avevano deciso di trasferirsi lì, con una nidiata di figli al seguito e una suocera anziana rimasta sulla porta di casa incapace di proferire parola.
Di quel Natale ricordo una pennellata di particolari: affiorano come stelle ora che sto completando la scrittura di questo post.
Ripenso alla sabbia bianca in cui affondavo le mani, respirando a pieni polmoni e guardando la distesa di mare azzurro davanti. Ricordo le renne di legno con le sciarpe colorate allineate sulla spiaggia, sorridevo a guardarle pensando alla neve di Milano in quell’inverno freddo e pungente.
Le renne al tramonto e il clima caldo sono un’accoppiata bizzarra nel mio immaginario, e tuttora ne conservo un ricordo dolce e felice.
Così come indelebile e’ l’immagine di noi due alla messa di mezzanotte, nel silenzio della preghiera si sentiva nitido il rumore delle onde dietro la chiesa illuminata a festa. Ripenso alla stretta di mano per scambiarsi la pace, rivedo lo sguardo incuriosito di una vecchia dal viso stanco che si chiedeva chi fossero questi due forestieri, unici stranieri alla messa di quel piccolo paese incantato.
Mani che si stringono e canti che si innalzano al cielo, in quella notte stellata diversa dalle altre, lontano da tutto, di cui conservo intatto il ricordo con un po’ di nostalgia.