Quando l’aborto terapeutico non è possibile

medicoQuesta storia ce la racconta un papà. E forse già per questo ha un sapore speciale. E’ la storia di quando l’aborto lo si vorrebbe fare il più in fretta possibile, eppure non ti è concesso. Io questo papà lo conosco di persona, e conosco anche R. e il loro piccolo G. e gli sarò eternamente grata per aver scelto di raccontare la loro storia sul nostro sito.

– E’ stato un periodo molto difficile per voi. Due aborti spontanei mettono a dura prova molte coppie. Poi finalmente arriva la gravidanza, quella che funziona, che sembra funzionare. Raccontateci questo momento di gioia. 
Si, in effetti è stato un momento di gioia, anche se soffocata dalla preoccupazione di perderlo di nuovo, infatti R. non ha mai avuto problemi a rimanere incinta, piuttosto a portare avanti le gravidanze successive alla prima. Per questo abbiamo deciso di non dirlo a G. fino all’amniocentesi, quindi non ne potevamo parlare liberamente, abbiamo evitato gesti semplici, ma belli (come l’accarezzare la pancia) e poi abbiamo dovuto fare i conti da subito con la sensazione di R. che qualcosa non andasse per il verso giusto (non sappiamo se fosse un “segno premonitore”, un mezzo che la natura mette a disposizione delle mamme o semplicemente la cicatrice emotiva dei precedenti aborti).

– Poi è arrivato il momento della morfologica. Eravate li tutti insieme, voi due e vostro figlio. Cosa è successo?
Qualche giorno prima avevamo ricevuto i risultati definitivi dell’amniocentesi, era tutto OK! Non stavamo più nella pelle, volevamo comunicarlo a G., e l’abbiamo fatto. Lui è stato contentissimo di questo nuovo arrivo, anche perchè nei mesi precedenti avevamo fatto un lavoro di preparazione senza pari. Appena saputo che era un maschietto, G. ha deciso che si sarebbe chiamato Valerio (ci è andata anche bene, visti i nomi che certi fratellini danno…) e voleva a tutti i costi vederlo (forse per essere sicuro di quello che dicevamo o per la difficoltà di concretizzare un qualcosa che non conosceva). Gli proponiamo di venire con noi all’ecografia morfologica: non vede l’ora!!! In più in quei giorni, tutti e tre, abbiamo dato libero sfogo ai nostri gesti d’affetto nei confronti del nascituro: la pancia di R. era diventata la meta preferita delle carezze di G., cercava di sentire i movimenti del piccolo all’interno (devo dire con più difficoltà di quanto era successo durante la gravidanza di G., però ci siamo detti “ogni gravidanza è a se”), la usava come una radio: “Pesciolino (chiamavamo così G. prima di decidere il nome ed è rimasto il suo “nick name” fra di noi) a Pesciolino…”!
Ora immagina la scena: arriviamo dal ginecologo, con cui abbiamo molta confidenza, gli spieghiamo il perché della presenza di G. e lui ci dice che gli è arrivato da pochi giorni un nuovo ecografo 3D, sarà emozionante vedere il bimbo. Dopo aver scoperto la pancia di R. poggia la sonda, ma si fa subito scuro in volto, gli domandiamo se c’era qualche problema e lui dice: “ragazzi butta male!!!” Non c’è liquido e non cresce da almeno quindici giorni. Una sentenza! Cerchiamo di non far capire niente a G. e di distoglierlo dal fatto che non avrebbe visto il fratellino (immaginate quanto è stato difficile) e andiamo in ospedale.
Doveva essere una festa… è stato l’inizio della fine!

– Tre settimane nel limbo. Quale è stato il vostro stato d’animo in questo momento: la rabbia, la tristezza, la difficoltà di capire cosa stava succedendo? Cosa vi ha aiutato e cosa vi è sembrato impossibile da sostenere. 
La disperazione ed il senso di abbandono da parte dei ginecologi (tranne uno) che vedevano il nostro caso come una patata bollente da rimpallarsi per evitare denunce e problemi, fino a quando non fossero scaduti i tempi di legge per l’aborto terapeutico. Perché questo era la realtà! Ci è stato detto tutto ed il contrario di tutto: che la situazione non era abbastanza grave da permettere l’interruzione della gravidanza, che non si trattava di una malformazione genetica “sarrebbe stato più facile se fosse stato down”, che non c’erano posti letto liberi, che in realtà la condizione era seria, ma sarebbe comunque potuto arrivare alla 28° settimana e nascere (con quali prospettive di vita, visto che polmoni, reni, intestino e chissà cos’altro erano compromessi?), che la situazione era talmente seria che era inutile intervenire, tanto si sarebbe risolta da sola a breve. Nessuno (o quasi) si è preso la responsabilità di dirci come stessero veramente le cose, ad oggi non sappiamo quale sia stata la causa della rottura del sacco amniotico e dell’interruzione dello sviluppo del feto, anche qui ognuno dice la sua (l’amniocentesi, una disfunzione placentare, un’infezione…), capiamo che la medicina non è una scienza esatta, però…

I momenti più brutti per R. sono stati due. Il primo è stato in quello che chiama il “reparto macelleria”, il primo centro per l’interruzione della gravidanza (ne abbiamo girati 4 prima di desistere). È stata trattata come una bestia dalla responsabile, per il semplice fatto che non avessero posti letto e noi le avevamo chiesto aiuto. Una situazione allucinante nel dramma che stavamo vivendo, difficile da credere che una donna-medico possa trattare così violentemente un’altra donna in quello stato di fragilità emotiva, senza nemmeno provare a capirla. Il secondo alla fine della nostra disavventura, quando dopo aver comunque dovuto passare i dolori del parto, non ha avuto niente da stringere nelle braccia, da attaccare al seno…

Io la disperazione l’ho raggiunta nel secondo dei centri per l’interruzione, quando ho capito che nessuno ci avrebbe aiutato e che la “migliore delle ipotesi” era di aspettare che nostro figlio morisse prima di nascere: dilaniante per un genitore, ma l’altra possibilità era vederlo nascere, rianimare e sopravvivere per due giorni, una settimana, forse qualche mese, intubato ed in dialisi fino alla fine dei suoi giorni con le conseguenze che tutto ciò avrebbe inoltre avuto su G.

– E vostro figlio? Come si spiega ad un bambino quello che sta succedendo? Voi come vi siete comportati?
G. è stato sempre al centro dei nostri pensieri, sia perchè dovevamo mantenere un certo “contegno” in sua presenza, questo ci ha aiutati a reagire, sia perchè dovevamo avere ben chiara la strada da prendere: non potevamo dare una vita che non consideriamo tale al bimbo che aspettavamo ed un’infanzia infelice a G., magari con la mamma dedicata completamente ad accudire (oltretutto invano) il più debole. Come si spiega ad un bambino di cinque anni quello che è incomprensibile per un adulto? Non lo sappiamo. Abbiamo cercato, come facciamo sempre, di spiegare quello che stava accadendo, ma non potevamo dirgli tutta la verità. Per giustificare le continue visite in ospedale ed i due ricoveri gli abbiamo detto che la mamma aveva mal di schiena, ma lui continuava a chiedere del fratellino. A volte i bambini hanno più di un sesto senso… dovevamo dargli una spiegazione che non gli permettesse di colpevolizzare R. e che non potesse fargli avere la paura che lui stesso sarebbe potuto morire o ammalare gravemente, nello stesso tempo doveva capire che il fratellino non sarebbe mai nato e che sarebbe potuto rimanere figlio unico. Così R. ha preso il coraggio a quattro mani e gli ha detto che il dottore che ci aveva fatto vedere la foto del fratellino si era sbagliato, che quello era il bimbo della signora prima di noi e che nella pancia di mamma non c’era mai stato nessun bimbo. Pianti e urla di delusione e di rabbia, ma poi si è calmato ha fatto molte domande a cui abbiamo risposto coerentemente con la versione data e cercando di fargli capire che la sua pediatra ed i dottori che di solito frequentiamo sono molto bravi e solo quel dottore aveva commesso un errore grave per cui era stato punito. Abbiamo fatto bene? Non lo sappiamo. Abbiamo fatto quello che potevamo in un momento già difficile e che sarebbe potuto complicarsi ancora di più. Ad oggi G. non ha avuto reazioni strane o sospette, le maestre (molto attente) ci dicono che anche a scuola si comporta normalmente, disegna e gioca come al solito. Sicuramente psichiatri infantili ed insigni professori avrebbero trovato soluzioni migliori, noi abbiamo agito seguendo il cuore.

– Gli altri, i famigliari, gli estranei con le loro domande inopportune. Cosa non si dovrebbe mai dire in questi casi? C’è qualcuno che ha detto la cosa giusta, quella che vi ha fatto stare meglio?
Alcuni hanno fatto veramente molto, tutti ci sono stati vicini e hanno fatto tutto quello che potevano per aiutarci: partecipando al compleanno di G., che non abbiamo voluto saltare, e supportandoci nel gestire G., nel riferirci esperienze di altri e le soluzioni che avevano trovato, dandoci contatti con medici, centri all’estero o in altre regioni, offrendosi per consulenze mediche ed altro ancora. Anche solo una parola di affetto, un abbraccio e perfino un silenzio sono espressioni di solidarietà, quando non c’è una cosa giusta da dire. Nessuno ha detto niente di inopportuno, tutti hanno avuto una delicatezza ed un’attenzione incommensurabili, anche se a volte il dover aggiornare tutti è stato emotivamente impegnativo. Gli unici commenti sgradevoli sono stati quelli di chi (pochi per fortuna), senza nemmeno sapere quello che stavamo passando e la difficoltà di certe scelte, le criticava a priori.

– Cosa vorreste dire agli altri genitori? 
È difficile dire qualcosa a chi vive questo tipo di esperienza, perché sappiamo quanto siano duri ed assurdi questi momenti. Vorremmo fare qualcosa di concreto per aiutarli, ma non ci viene in mente qualcosa di valido. Visto il così ampio numero di lettori di questo blog, vi chiedo di darci un suggerimento, sono sicuro che usciranno fuori molte belle idee. A tutti gli altri possiamo dire che per noi è stato fondamentale trovare i riferimenti medici giusti: persone che ci hanno semplicemente detto, a parole e nei fatti, “non vi abbandono”. È importante farlo in tempi non sospetti, perché in quei momenti il tempo stringe e può non essere abbastanza per allacciare certi rapporti e si possono commettere sbagli clamorosi. La fretta, la disperazione, qualche consiglio sbagliato ed una legislazione medioevale, per certi aspetti, possono far fare scelte non corrette.

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38 thoughts on “Quando l’aborto terapeutico non è possibile”

  1. vorrei poter scrivere qualcosa…ma ancora mi riesce molto difficile….per il momento mi limito a leggervi, piangendo e forse, trovando un po’ di conforto…

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  2. Quello che mi sorprende di queste discussioni, ne abbiamo fatte tante qui su gc e io personalmente ne ho fatte tante in altri modi e luoghi pur non essendo stata direttamente interessata al problema, è il tono. E purtroppo o per fortuna i toni di accusa, offesa e giudizio vengono da una parte sola. Avere delle convinzioni e portare avanti delle scelte va benissimo, ma sentirsi su un piedistallo (non voglio indagare di che genere) e in diritto di giudicare gente che oltretutto non si conosce no. Noto poi con grande fastidio che queste persone che giudicano fanno paragoni a volte assolutamente inconsistenti con la realtà e l’argomento di cui stiamo discutendo, quasi a paragonare un aborto terapeutico ad una interruzione volontaria post-termine-di-legge (che è comunque illegale).
    Qui si parla di gente a cui è stato detto di aspettare che il figlio gli morisse letteralmente in grembo, o diagnosi di aspettative di vita di qualche giorno o qualche mese, sempre solo con l’ausilio di macchinari medici, bambini che non avrebbero mai potuto vedere la propria casa. E il cui dolore non sappiamo stimare, ma di questo non vi preoccupate? A chi parla di egoismo, vorrei chiedere se non trova egoista condannare un bambino ad una breve vita di dolore, con aghi ovunque, magari un respiratore in gola e quant’altro, per le proprie convinzioni. E magari ci sono fratelli e sorelle maggiori, che vengono sottoposti a un grande stress e di cui noi genitori siamo altrettanto responsabili.
    Ma soprattutto, non pensate che qualunque genitore si sia trovato in una situazione simile queste domande non se le sia fatte? Pensate che alla diagnosi al 7mo mese di un qualunque problema (tipo labbro leporino o piede torto, come cita ila) la prima reazione sia “come faccio a richiedere un aborto terapeutico?” o “dottore mi dica che significa, può avere una vita felice?”. Ai genitori che subiscono destini come questi viene dato tutto il tempo di provare tutte le possibile sfumature di dolore e indecisione, state tranquilli, e se non ci credete leggete sopra.
    Non abbiamo mai letto attacchi o giudizi su chi ritiene che la vita sia un valore primario in qualunque sua forma, ma volendo ce ne sarebbe da dire. La scelta di portare avanti una gravidanza e far nascere un bambino malato ricade su tutta la società, non solo sulla famiglia. Sono io la prima a dire che sia giusto così, e che la libertà di scelta dei genitori vada rispettata e appoggiata, chiedo solo che in cambio le stesse persone che si ritengono così amorevoli e altruiste e capaci di un amore più forte lo dimostrino evitando di giudicare chi esercita la propria, di libertà di scelta. Che in questo ambito di dolore poi stona proprio.
    Chiedo scusa alle padrone di casa di gc se il mio tono viene giudicato troppo duro, spero di essere riuscita a non offendere nessuno esprimendo la mia opinione personale.

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  3. mi chiedo Ila cosa ti spinge a scrivere su questo blog…mi chiedo da dove ti vegano parole tante dure e insensibili. Io ho salvato mio figlio da una vita da vegetale e tu dici che è come se lo avessi buttato dalla finestra….perdonami ma non te lo permetto. Non scrivere più di cose che non conosci perchè solo chi conosce capisce e solo chi capisce soffre.

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  4. Purtroppo non ho letto la risposta di Ila, comunque sarei curiosa di sapere chi conosce che ha abortito un figlio per un labbro leporino o un piede torto.
    Ma a parte questo, Ila ti sei resa conto di aver sparato un giudizio su una famiglia che ha fatto i conti con una diagnosi _incompatibile_con_la_vita_? Portare avanti una gravidanza sapendo che tuo figlio morirà dopo qualche ora o dopo qualche mese, è una scelta così personale che trovo allucinante l’etichetta di “egoismo” su chi non se la sente di farla.

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  5. Beh, @ila non è che vado in ospedale e dico di voler fare un’ivg al 7mo mese e me la fanno fare, per fare un aborto terapeutico ci vuole fior fiore di dichiarazioni mediche, e come vedi dall’intervista qui sopra in genere non è facile.
    Posso sapere da quali fonti puoi dichiarare che molte mamme abortiscono per un labbro leporino o un piede torto? E’ il “molte” che mi sorprende, anche perchè conosco 2 bambini nati col piede torto (uno diagnosticato in gravidanza, l’altro no fino alla fine nonostante fosse più accentuato) e una con il labbro leporino di cui si sono accorti solo alla nascita. Insomma mi sorprende che sia legale, come dici tu.

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