Come ci si deve comportare per difendere i propri figli dalle aggressioni di coetanei? E’ giusto intervenire oppure bisogna lasciare che i bambini se la sbrighino da soli?
Ovviamente la risposta dipende dall’età dei bambini, e dalla loro relazione, però io sono assolutamente positiva all’intervento. Lo so che sono in molti a dire che i bambini devono imparare a cavarsela da soli, ma io non sono totalmente d’accordo. Io credo che ai bambini debba essere detto cosa è giusto e cosa è sbagliato, offrendo loro gli strumenti per imparare a cavarsela da soli.
Un bambino di 2 anni è ancora troppo piccolo e ha bisogno di tutto il supporto e la guida possibili. I bambini di quell’età ragionano in un solo modo: mi piace, è mio. Non stanno li a farsi troppe domande sull’etichetta ed è per questo che bisogna assolutamente agire, sia come genitore dell’aggressore che dell’aggredito.
Mi è capitato proprio oggi al parco, con Pollicino e la sua palla gialla di cui va particolarmente fiero. Una bimbetta di 2 anni si è avvicinata e l’ha presa. Lui, dall’alto dei suoi 3 anni e 10 cm di più, è semplicemente scoppiato a piangere. Lui è sempre stato così, anzi diciamo che è migliorato, prima sarebbe rimasto impassibile pur rimanendoci male, ma avrebbe lasciato stare. Ora, finalmente, piange.
Io in questi casi cerco di aspettare la reazione del genitore del bambino “aggressore” (sto usando in modo improprio questo aggettivo), se non succede nulla, allora mi avvicino al bimbo e gli dico “Ti piace molto la palla! Però vedi come piange, questa è la sua palla.” a quel punto provo ad offrire un’altro gioco in cambio. Non è facile perché c’è sempre il rischio che l’altro genitore si offenda però mantenendo un tono di voce dolce e non di rimprovero, normalmente si ottiene la reazione opposto, e il genitore inizia a sentirsi in colpa per non essere intervenuto per primo. In realtà io non faccio molta fatica a rimanere gentile in questi casi perché credo veramente che queste sia fasi normalissime delle crescita necessarie alla comprensione dello spazio personale e lo spazio degli altri, intesi anche come proprietà degli oggetti.
Certo è importante intervenire con il propio figlio se è vittima di frequente di questi episodi, spiegandogli che se un bimbo viene a prendersi uno dei suoi giochi è giusto che lui se li riprenda. Però magari si può provare a giocare anche sul livello della condivisione: “La bimba ha preso la tua palla in prestito ma poi te la riporta. Ora invece possiamo giocare con uno dei suoi giochi.” e vedere che succede. La scelta di come intervenire a questa età è certamente dipendente dal carattere del proprio figlio (se si comporta sempre da aggressore o da aggredito) per cercare di aggiustare il tiro di conseguenza.
Cosa fare però quando i nostri figli vengono esclusi dal gioco di un altro bambino e si mettono a piangere o ne restano visibilmente dispiaciuti?
Non è facile vedere il nostro piccolino piangere a causa del comportamento di un altro, e la nostra voglia di protezione può facilmente trasformarsi in aggressione nei confronti del bambino antipatico in questione. Però cerchiamo di mantenere la calma. Per quanto noi possiamo adorare nostro figlio, e accoglierlo e accettarlo in qualsiasi situazione e momento della giornata, il resto delle persone che incontrerà non farà lo stesso. Essere rifiutati da un coetaneo è un momento di presa di coscienza enorme per un bambino piccolo, un momento in cui impara a separare se stesso dagli altri. Il nostro compito quindi non è quello di proteggere nostro figlio dal rifiuto, ma di imparare a conviverci e a superarlo.
E’ importante spiegare che in quel momento l’altro bimbo non ha voglia di giocare insieme, forse perché è preso in qualcos’altro, magari si possono fare esempi di quando anche a lui non va di giocare con altri o di condividere i suoi giocattoli, in questo modo lo si aiuta a trovare una chiave di lettura del comportamento degli altri, lo si educa all’empatia, ed è una buona occasione per fare un po’ di allenamento emotivo “vedo che questa cosa ti fa arrabbiare molto!”.
Si tratta di dargli strumenti per gestire il rifiuto, invece di proteggerlo dicendo all’altro bimbo che non si fa. Questo è importante perché magari la prossima volta non ci sarete voi a toglierlo dalle grane.
E’ un processo, che in alcuni casi può durare anni, ma che vale la pena intraprendere, perché imparare a reagire ad un rifiuto è una cosa difficilissima.
Mio figlio grande qualche giorno fa si è trovato per la terza volta nel giro di pochi giorni escluso dal gioco, perché il suo amico ha preferito giocare con un altro bambino. L’ho osservato studiare il suo amico, l’ho visto arrabbiarsi dentro e stare lì a rimuginare, e quando pensavo stesse per scoppiare ha semplicemente esclamato: “L. è un mio amico ma non è un vero amico. I veri amici non si comportano così.” E anche se l’unica cosa che avrei voluto fare era di portarlo via di lì e proteggerlo, allo stesso tempo l’ho visto uscire da questo momento con una consapevolezza che lo ha reso più forte e più sicuro di sè. E se qualcuno me lo avesse raccontato qualche anno fa, sarei scoppiata a ridere (o forse a piangere).
@vittore purtroppo conosco bene il problema, anche mi afiglia è la più piccola della classe e a quest’età essere piccoli è un peccato mortale. Quando succede io le dico di rispondere “si è vero sono più piccola, ma sono brava quanto te a fare quello da cui mi vuoi tenere lontana” o cose del genere. Io una parolina a quei bambini l’avrei detta, comunque. Non ai genitori, ma direttamente ai bambini (spernado che i genitori recepissero il messaggio), facendo notare che si può giocare tutti insieme e se qualcuno viene messo in mezzo non è proprio un bel gioco.
Penso che non dobbiamo mai dimenticare che siamo d’esempio. Al parco spesso bambini più grandi (TopaGigia ha tre anni) cercano di saltare la fila, alcuni addirittura spintonano i più piccoli per salire sullo scivolo o accedere ad alcuni giochi. Spessissimo sono accompagnati non dai genitori, ma da baby sitter trattate in modo veramente dispotico dai bambini, e allora non ci si può aspettare da loro un intervento autorevole. Quando capita, io cerco di intervenire mantenendo la calma e dico “bimbo, scusa ma c’è la fila”, “non si spintonano gli altri, specialmente se più piccoli” e cose così. Insisto, se serve, arrivo a volte a trattenerli di peso, ma sempre senza strillare cercando di far vedere a mia figlia che il più delle volte con la fermezza e le parole giuste la situazione si risolve.
Credo sia molto importante intervenire sempre, laddove un bambino non riesca da solo né a capire né ad agire. Uno strumento di comprensione va sempre dato, e non solo dei fenomeni esterni: va fatto capire, in qualche modo, anche al proprio figlio se e come la sua reazione è adeguata ed efficace. E’ difficile, ma più dei gesti e delle parole non ho.
Personalmente poi condanno senz’appello qualunque gesto adulto che non vada in questa direzione di comprensione reciproca. All’insegnante che trovava il mio Ivan un po’ troppo sensibile ho spiegato che fa parte del suo lavoro anche adeguarsi alle sensibilità diverse, e che quindi trovasse il modo di regolarsi opportunamente prima che lui decidesse di chiudere i rapporti di comunicazione con chicchessia. Ai genitori indifferenti o menefreghisti mi premuro sempre di farmi accompagnare da loro dal figlio e gli spiego gentilmente che il mio non ha bisogno di imparare dal loro certi comportamenti. Alla consorte che ironizza sulle mie reazioni (o su quelle di uno dei nostri figli, chiamandole vittimismo) ricordo sempre che ad abituare i bambini alla “durezza” o al sarcasmo c’è il rischio di crescerli insensibili e prepotenti.
Continuo a preferire il pianterello all’indifferenza.
Vi racconto un’episodio che mi è capitato.
Qualche domenica fa per Beatrice (4 anni) era una giornata speciale: era stata invitata alla festa di compleanno di una delle sue migliori amichette.
Giunti alla casa della festeggiata i bimbi invitati hanno subito iniziato un gioco libero in attesa dell’animatrice, mentre noi genitori ci siamo messi a chiacchierare del più e del meno.
Ad un certo punto Beatrice esce dalla cameretta piangente, inseguita dagli altri cinque bambini che le urlano che è piccola (Bea, nel gruppetto di bimbe effettivamente è, per un mese la più giovane di tutte). L’istinto del genitore protettivo mi ha spinto subito ad abbracciarla, ma nel tentativo di relativizzare mi sono limitato a dirle di non frignare perchè si trattava semplicemente di un gioco e di reagire (o forse dovevo dirle di far finta di nulla e imitare Ghandi?). Dentro di me però ribollivo: era un gioco scemo e se un bimbo piange tra l’indifferenza degli altri significa che è un gioco che non funziona, ma questo era un dato che doveva – questa è la mia opinione – essere in qualche modo evidenziato dagli altri genitori presenti. Invece nulla, indifferenza e silenzio sull’episodio come se alla fine il problema fosse il pianto inopportuno di mia figlia, non il gioco inutilmente cattivo che si erano inventati. Avrei voluto dire ai bambini che se un gioco fa star male qualcun altro non è più un gioco e lo avrei voluto fare con fermezza. Ma il contesto in quel momento mi ha trattenuto.
Tutto si è comunque risolto in un attimo, l’arrivo dell’animatrice a ricondotto il tutto alla festa di compleanno e Beatrice si è ributtata nella festa senza problemi. Festa poi riuscitissima con tutti i bambini molto contenti dell’esito.
Anche dopo, nel tornare a casa, mi è rimasto un groppo che ho fatto fatica a mandare giù: raramente in pubblico difendo i mei figli, anzi spesso al parco quando giocano con altri bimbi se ci sono piccoli screzi non intervengo mai perchè credo nella loro capacità di risolvere il problemi per conto loro, e spesso funziona. Se però vedo che i mei accennano a prepotenze o a inutili capricci ho pronta la ramanzina di rito senza sconti. Quello che faccio davvero fatica a tollerare è l’inutile “prevaricazione” o le piccole malignità gratuite che a volte bimbi coalizzati sanno indirizzare con particolare efficacia verso la “vittima” designata. E se è a prevaricare fosse mia figlia “la ramanzina energica scatta d’obbilgo”. Ma ancor di più mi irrita il silenzio di alcuni genitori, come se non fosse mai necessario intervenire.
Sono un papà sbagliato? Meglio, vista la completa sintonia sul tema, siamo genitori sbagliati?
E’ un tema a cui sono sensibile e sono d’accordo con te. Nel mio caso – almeno nella prima infanzia – io ero la mamma dell’aggressore e fare finta di nulla sarebbe stato semplicemente impossibile. Salvo poi sentirmi dire da una psicologa tempo dopo che il bambino non aveva potuto “esplorare tutti i suoi limiti” a causa dei nostri interventi. La teoria è bellissima ma la pratica che ho vissuto io non l’avrei saputa affrontare in modo diverso, almeno non rinunciando ad intervenire perchè mio figlio davvero non riusciva a relazionarsi in modo adeguato.
Adesso le cose sono molto diverse, mio figlio è quello che subisce e che soffre per non riuscire a partecipare attivamente ai giochi dei suoi coetanei. In questo caso, a parte i regolari colloqui con la maestra e il sostegno “a distanza” per lui, non posso fare molto di più. Sono rimasta colpita dalla reazione del Vikingo perchè sono quasi le stesse parole che mi ha detto Ale poco tempo fa, deluso dal suo “migliore amico”.
In ogni caso, fare finta di niente non la considero tra le scelte auspicabili.
@barbara & silvia : ne abbiamo riparlato più volte dell’episodio delle lacrime di mia moglie e ne abbiamo riso tutti insieme … il bimbo ne parla eccome di quello che succede a scuola, sul pulmino, a musica ecc. ecc. Lui è davvero uno dei bersagli preferiti dei “simpatici lazzi” dei coetanei, soprattutto perchè se la prende e reagisce male, ma anche perchè è più piccolo( è andato a scuola un anno prima) e, nel relazionarsi, più immaturo. Impossibile cambiare la tipica simpatia toscana, l’unica è cercare di renderlo più forte o meglio elastico… siamo sulla buona strada, o meglio, al momento siamo in un periodo buono, va volentieri a scuola, a giocare al parchino del paese.
Quanto alla maestra, Silvia questa tua frase mi fa davvero sorridere
“Magari avrebbe potuto mettere insieme le informazioni e cercare una linea comune da applicare insieme a voi genitori per rassicurarlo a scuola e per invitarvi a insegnargli a prendere le cose in modo più leggero.”, non perchè sia buffa l’idea di per sè, ma applicata alla realtà di una classe di 25 alunni di cui solo 7 femmine, che definire casinisti è davvero usare un eufemismo, a delle maestre che puntano alla mera sopravvivenza e vuota ostentazione di esecuzione del programma ministeriale, preferisco sorridere che arrabbiarmi 😉
(a tal proposito mi piacerebbe mandarvi la scansione di quello che loro chiamano “verifica di storia”, dove mio figlio ha preso 10 … non mandarvela per farvi vedere il 10 di mio figlio, ovviamente 🙂 ma perchè mi piacerebbe sapere se pensate sia adeguata ad una verifica di fine anno di una quarta elementare… o se considerano i loro alunni dei completi deficienti)
@Kiara non gliela spiegare!!!! Se lui (ancora) non la sente la differenza, perchè complicargli la vita anzitempo?
sono d’accordo con l’intervento intelligente assolutamente non sono d’accordo con quel non intervento che è disinteresse che vedo regolarmente ai giardinetti da parte di molti genitori. e mi sento a disagio a dover intervenire su bimbi che non sono i miei, soprattutto quando sei obbligata a richiamarli. es. il mio duenne è stato prima spintonato due volte a terra da due bimbi di circa 4 anni, perchè lui li stava guardando mentre giocavano e io non sono intervenuta, per vedere cosa succedeva e visto che lui non si è messo a piangere e non si è allontanato i 2 quattrenni hanno pensato di prenderlo a calci! ovviamente sono intervenuta, ho alzato la voce e ho guardato brutto le mamme sedute che si facevano i fatti loro…..il risultato è che mi sono presa della madre isterica dalle mamme della panchina! ero allibita!!!!! invece il mio quattrenne patisce di essere escluso dalle bambine, sia alla materna che ai giardinetti. chissà come si articola il suo pensiero sulla differenza di genere!!! e come glielo spiego?hihihi
@silvia si, infatti, e comunque questa mia amica è chiamata “zia” da TopaGigia e io sono la “zia” delle sue gemelle. Insomma il rapporto è davvero stretto. Quando si è reso necessario l’intervento di entrambe, non ricordo un solo caso in cui siamo state in disaccordo. Meglio che a casa 🙂
@marcello tra l’altro non ti è venuto il dubbio che tuo figlio non ne parli più a casa di queste difficoltà perchè quando ne ha parlato il risultato è stato di far piangere sua mamma? Non voglio fare l’uccello del malaugurio e sono certa che saprete leggere bene gli altri eventuali segnali “silenziosi” lanciati da vostro figlio, ma se fosse capitato a me cercherei di riparlarne con lui di tant in tanto…
E’ vero, Barbara, potersi fidare dell’intervento anche degli altri adulti è davvero un vantaggio. Poi ognuno interpreta come crede la specifica situazione, magari dice una frase diversa da quella che avremmo penato noi, ma è proprio questo che aiuta i bambini a relazionarsi anche con adulti diversi dai genitori e sentirsi accudito anche da loro.
“mia moglie, dimostrando grande fermezza di carattere e razionalità, è scoppiata in lacrime.” Marcello, immagino che tua moglie sarebbe contentissima di sentirti così ironico nei suoi confronti!
Penso sinceramente che la maestra, dicendogliene “di tutti i colori” su vostro figlio, non abbia dimostrato grande ampiezza di vedute. Sapendo che un bambino è comunque a disagio, anche in modo serio, perchè rifiuta di andare a scuola, ha pensato di denigrarlo agli occhi dei genitori?! Insomma, il carico da 11!
Magari avrebbe potuto mettere insieme le informazioni e cercare una linea comune da applicare insieme a voi genitori per rassicurarlo a scuola e per invitarvi a insegnargli a prendere le cose in modo più leggero.
Sarebbe venuto da piangere anche a me… (mi verrebbe da aggiungere che deve essere una questione di genere, ma dai, vabbè… lasciam perdere! 🙂 )
TopaGigia è sempre stata mingherlina, e in classe è la più piccola. Tutti i “violenti” se la sono sempre presa con lei, e lei piangeva. Piangeva e non reagiva. Io le ho sempre detto che con le botte non si risolve nulla, e non volevo che le desse a nessuno. Poi un giorno, a casa di un amichetto col quale il rapporto di amore-odio è particolarmente forte in entrambi i sensi, l’abbiamo spinta a reagire. Lei gli ha dato una spinta ed è rifiorita, si è completamente liberata. Purtroppo il risultato è che ora cerca di usare le mani appena si sente sulla difensiva, e dobbiamo riequilibrare dall’altra parte.
Comunque la necessità di intervento, e il tipo di intervento, dipendono in modo pazzesco dal carattere del bambino, e a volte bisogna anche passare un pò sopra le proprie convinzioni se lo vediamo star male.
Adesso che ha tre anni, se scatta il litigio con gli amici più stretti, vige fra noi mamme-amiche che chiunque di noi può intervenire gestendo la situazione come meglio crede, e devo dire che cerchiamo sempre di assegnare a ciascuno le proprie responsabilità. Insomma, in genere la sgridata se la prendono in due. Sono fortunata ad avere amiche delle quali mi posso fidare in situazioni del genere, sono la prima a dirlo (ma è anche un rapporto che ci siamo costruite da quando le bimbe erano nelle rispettive pance…)
Molto d’accordo. Anche io ho un duenne in casa e non posso certo pretendere che se la cavi da solo quando viene “aggredito” da un coetaneo. Fino ad ora situazioni particolarmente problematiche non me ne sono capitate, ma già mi piange il cuore quando mio figlio chiede a un bambino “Vuoi giocare con me?” e quello neppure lo considera. Ecco, imparare a gestire il rifiuto credo sia fondamentale, come spieghi benissimo tu, ed è importante dare al bambino strumenti per interpretare nell’immediato il comportamento dell’altro (l’antipatico di turno, che prima o poi sarà proprio nostro figlio…), mostrandoci totalmente serene mentre lo facciamo.
Temo che nel mio caso il problema si presenterà presto tra le mura domestiche, perché il duenne ha un fratello unenne (???) che comincia a disturbarlo, talvolta anche parecchio, in qualsiasi attività lui decida di intraprendere.Qualche spinta già se la danno, ma ho paura che tra poco passeranno alle vie di fatto…come intervenire? A parte evitare che si facciano del male, cosa è giusto fare/non fare? Coinvolgerli in attività diverse? Non dare ragione a nessuno dei due? Insegnare al grande a condividere e al piccolo a non rompere?!
Intervenire il meno possibile ma fare sentire di esserci sempre, all’occorrenza.
Episodio recente : mio figlio (quarta elementare) si è lamentato che in classe alcuni gli danno il tormento, gli fanno i dispetti, lo distraggono, lo spintonano ecc. ecc. morale una mattina ha fatto dei capricci pazzeschi perchè non voleva andare a scuola, mia moglie ha deciso di accompagnarlo e cercare di parlare con la maestra prima delle lezioni. Beh, il risultato è stato che secondo la maestra è troppo permaloso, che si incavola pure se gli sfiorano lo zaino, che fa una tragedia per ogni cosa, che è intollerante, troppo solitario … insomma gliene ha dette di tutti i colori e mia moglie, dimostrando grande fermezza di carattere e razionalità, è scoppiata in lacrime.
Intervento finito in drammi e tragedie (a parte che quando ho sentito le due versioni, quella di mia moglie prima e quella di mio figlio poi, ho riso per due giorni) ma, il bimbo ha apprezzato in ogni caso, e anche se non credo che la situazione in classe sia migliorata, lui non ha più accennato manifestazioni di vittimismo stile Calimero.
Altro episodio risale all’estate scorsa, mi sono incavolato perchè un gruppo di bambini, tutti più grandi, capeggiati da mia nipote, gli hanno fatto uno scherzo pesante… in breve mi sono fatto una litigata con mio fratello, con tanto di urlacciata pubblica e sguardi di disapprovazione del tipo “ma chi sono i bambini?”
Un altro pessimo intervento ma il mio bimbo ha apprezzato, tanto che è andato a fare parte del suo repertorio di aneddoti.
Con le bimbe… boh, è tutta un’altra storia. Sin da piccolissime hanno sempre avuto un atteggiamento molto dolce in un contesto di loro coetanei, probabilmente sviluppato per bilanciare il carattere tutto spigoli del fratello più grande. Al parco giochi, o in spiaggia, faccio fatica a ricordarmi di qualche litigio o situazione imbarazzate.
Comunque per tornare al tema, mi è piaciuto molto quanto hai scritto:
“E anche se l’unica cosa che avrei voluto fare era di portarlo via di lì e proteggerlo, allo stesso tempo l’ho visto uscire da questo momento con una consapevolezza che lo ha reso più forte e più sicuro di sè. E se qualcuno me lo avesse raccontato qualche anno fa, sarei scoppiata a ridere (o forse a piangere).”
… anche se fisicamente non l’hai portato via, l’hai protetto, anzi meglio, gli hai fornito gli strumenti per proteggersi, primo fra tutti quello di sentirti vicino, che avevi capito ed eri partecipe della sua frustrazione.