No, non si tratta di un post sponsorizzato da una nota marca di cosmetici, però il loro noto slogan è una frase che mi ritrovo spesso a ripetere a mio figlio.
“Prenditi cura di te.”
Sì, parlo (anche) di indipendenza, ma non è tutto lì il senso.
Già introducevo questo argomento nel post di presentazione del tema del mese: ad un certo punto della loro crescita, i bambini, dovrebbero avere la possibilità di prendersi cura di se stessi, del loro tempo e del loro spirito. Dovrebbero in qualche modo poter partecipare attivamente alla loro crescita.
Vorrei portarvi come esempio una storia che mi è stata raccontata da una conoscente che ha un figlio, oggi un ragazzo, autentico amplificato doc. La scuola elementare era stata molto complicata: una montagna russa di alti e bassi. Il bambino era piuttosto brillante, ma incostante e con tendenza a “puntare i piedi”, a rifiutare alcune attività e magari ad impegnarsi solo su quelle preferite. Dopo qualche mese di prima media, chiese ai genitori di poter evitare di fare i compiti nel pomeriggio. Sosteneva che lui si sentiva proprio male fisicamente a rimanere in casa a studiare pensando che fuori c’era luce e sole (vivono in un paese piccolo con molto verde e una certa libertà per i ragazzini, visto l’ambiente circoscritto). Propose così di dargli la possibilità di provare: lui si sarebbe segnato a due sport, avrebbe giocato il pomeriggio e sarebbe sempre rincasato verso le 18,30/19,00 per studiare e fare i compiti, che avrebbe continuato anche un po’ dopo cena. I genitori erano un po’ sgomenti: non poteva farcela. Però, avendo ormai capito che con lui muro contro muro non funzionava, decisero di dargli fiducia e di concedergli un mese di prova. Se i voti fossero calati, si sarebbe tornati alla solita routine.
Il ragazzino si impegnò secondo i suoi orari: sport e attività all’aperto tutto il pomeriggio e studio dalle 19 in poi. Non andava mai a dormire dopo le 22 e, ogni tanto si svegliava un’oretta prima la mattina per ripassare. In breve i suoi voti a scuola ebbero un’impennata e divennero eccellenti e lui stesso appariva meno stanco e non era mai svogliato, anche rispetto alle materie meno amate. Ha sempre tenuto questo ritmo e ora è all’università, dove studia, ovviamente, di sera.
E’ una storia che mi ha colpita, prima di tutto perchè vedo gli undicenni di adesso, con atteggiamenti molto “da grandi”, ma con pochissima indipendenza “vera”. Mi sono stupita di un ragazzino che è riuscito a elaborare con tanta chiarezza quale fosse il motivo del suo malcontento ed ha avuto la lucidità di progettare una soluzione alternativa e di proporla ai suoi genitori.
Mi sembra che questo undicenne abbia realmente partecipato in modo attivo alla sua crescita. Si sia preso cura del suo benessere e lo abbia perseguito in modo sano e costruttivo.
E i suoi genitori? Gli hanno dato fiducia, ma senza nessun gesto “eroico”: in fondo doveva far funzionare il suo metodo in un mese. Un mese di eventuale sfacelo scolastico, si recupera sempre. Credo però che avessero lavorato bene da tempo, che avessero cresciuto un individuo abituato a pensare e a conoscere se stesso. E anche loro, di certo, conoscevano bene il figlio che avevano cresciuto. Sapevano che quel malessere quasi fisico che provava nel dover rimanere fermo a studiare quando fuori era ancora giorno, era reale. In fondo ci avevano fatto i conti per cinque anni di scuola elementare, senza trovare una soluzione tanto brillante!
ConoscerSI. Conoscersi è un primo passo per aver cura di se stessi. Lo sforzo di conoscere i nostri figli come persone, come individui altri-da-noi e diversi da ciò che vorremmo che fossero, è uno dei nostri compiti principali. Se noi li RI-conosciamo come persone, loro impareranno a conoscersi, distinguendosi dagli altri. E, di conseguenza, ad aver cura del proprio essere singolari, autonomi, unici, a considerare questa unicità come un bene prezioso da curare.
Come insegnare a un bambino ad aver cura di sè, senza prima insegnargli che è necessario conoscersi?
Tempo fa ho chiesto al Piccolo Jedi (in preda alla tipica, fastidiosissima, svogliatezza e apatia che gli prende quando c’è da lavarsi, vestirsi e prepararsi) chi fosse la persona che gli voleva più bene. Ha capito che c’era aria di domanda a trabocchetto e, dopo un po’ di esitazione, ha buttato là un diplomatico “tu (?!)“. “Sbagliato! La persona che ti vuole più bene non puoi che essere tu, poi vengono gli altri. Tu devi volerti bene e avere cura di te, altrimenti non lo faranno neanche gli altri.”
Sei tu che devi sapere cosa ti piace e cosa ti infastidisce, di cosa hai bisogno, cosa ti fa bene, cosa ti fa stare bene, cosa è necessario per la tua cura e per il tuo benessere. (In quel caso volevo semplicemente dire che se non ti lavi i denti, le carie vengono a te, mica a me, ma ogni tanto allargare i discorsi fa bene).
Sei tu il primo responsabile di te stesso e questo bisogna iniziare a capirlo da piccoli. E’ questa consapevolezza che ti tiene lontano dal pericolo, che sia uno scivolo troppo ripido o una roba strana che ti offrono fuori da scuola. E’ questa consapevolezza che ti dà quel po’ di autonomia dal gruppo e che ti permette di tirati fuori quando qualcosa non ti quadra più, che sia una corsa in bici in un posto troppo scosceso o una corsa in macchina dopo aver bevuto.
Ma perchè un bambino metta fuoco quali sono le sue preferenze, i suoi gusti, le sue necessità, i suoi doveri e le sue responsabilità verso se stesso e gli altri, ci deve essere stato un genitore che gli ha chiesto, qualche volta, di parlare di sè e che gli ha insegnato le parole per raccontarsi.
Questo episodio racconta esattamente come vorrei che fosse fra me e mia figlia. La fiducia mia, la capacità sua di esprimere un bisogno, e ciliegina sulla torta la soluzione che viene da lei. E anche il risultato non guasta, ammettiamolo…
Bisogna cominciare presto a responsabilizzarli, ma non come una punizione, piuttosto come la costruzione della conoscenza di sè. TopaGigia fa tre anni dopodomani, e io sto cominciando a farle gestire la sua borsa (che sarebbe la borsa di scuola ma in realtà diventa sempre anche quella di tutto il pomeriggio). A volte mi sembra di essere un orco quando mi chiede qualcosa che la mattina non ci abbiamo messo dentro, ma poi cerco di trovare con lei una soluzione: non abbiamo preso la borraccia e ora hai sete? se vuoi interrompiamo il gioco e andiamo alla fontanella. Domani però cerca di ricordarti la borraccia, così non avrai questo problema. Cose così insomma. Spero che servano come buona base…
Tanti spunti davvero interessanti!Prendersi cura di sè, rispettarsi, imparare a conoscersi e a volersi bene credo siano alla base non solo dell’autostima personale, ma anche dello stare bene con gli altri. I miei bimbi sono piccoli, un anno e due anni e mezzo, ma il grande comincia a esprimere spesso le sue preferenze, anche con parole molto precise! Io cerco di stimolarlo a conoscersi meglio chiedendogli cosa gli piace e cosa no, e perchè, oppure incitandolo a riprovare quando non riesce a fare una cosa e magari mi dice “ma io non sono bravo!”. L’equilibrio tra protezione e stimolo non è sempre facile da trovare…nel mio piccolo, ne ho parlato anche sul mio blog
http://www.mammeimperfette.com/2012/04/si-sono-capace.html
A volte ci dimentichiamo che i nostri figli non sono come noi, e nemmeno esattamente come noi li vorremmo! Riconoscere la loro unicità è fondamentale per renderli protagonisti del loro percorso di crescita. Insomma, c’è molto da fare! 🙂
Bellissime riflessioni. Mi ci ritrovo nel percorso che sto facendo, e qualche risultato in effetti arriva. Nel nostro caso – oltre che conoscersi – c’è il conseguente accettarsi, con le proprie caratteristiche e i propri tempi, senza avere la tentazione di cambiarsi. Questa è la sfida che mi propongo, comunicare con l’esempio e tanto ascolto dando a mio figlio l’opportunità di cercarsi le soluzioni. In un anno la sua capacità di esternare sentimenti e bisogni è aumentata immensamente e anche la mia di tacere di fronte ai suoi problemi. Il “corso” che ha seguito questo inverno sulle emozioni è stato davvero utilissimo, soprattutto perchè vissuto con altri bambini che come lui hanno difficoltà ad esprimerle e – soprattutto – da solo (ossia senza genitori a fare da filtro). Spero che presto riesca anche a portare fuori di casa la fermezza e la lucidità che mostra a me, che un pò di corazza in più non gli farebbe male.
molto vero. molto vero anche quello dell’apparire grandi e poi non essere in grado di fare le minime cose in modo indipendente, che è la base dell’autostima. importante il fatto di coltivare un dialogo profondo con se stessi, che ti mette al riparo da tante cose, o almeno ti aiuta ad affrontarle meglio. bella riflessione.
Silvia, riflessioni fantastiche! Penso servano a tutti noi…sia x i figli sia per noi stessi! GRAZIE!
Articolo molto bello. Uno dei miei gemelli potrebbe essere un bimbo amplificato (sono andato a ritroso a rileggermi tutti gli articoli linkati). Mi è venuta un po’ di ansia, però anche il messaggio di speranza è passato. Grazie
Bellissimo veramente. E sempre più difficile…
Un articolo bello e interessante. E’ importante che i genitori diano fiducia ai figli senza però perdere il controllo della situazione. Perchè impararino a conoscersi e a capire i propri limiti, bisogna che venga concessa loro la possibilità di sperimentare e di mettersi alla prova. Anche sbagliare ma facendo di testa propria ha un suo valore.
Ancora non lo leggevo stamani, ma figlio grande in preda al solito mal di pancia del mattino in cui andiamo a scuola ha protestato dicendo che noi siamo convinti sia psicosomatico ma lui c’ è la sempre e insomma, magari vuol dire qualcosa. Dal medico, interrogato ha risposto o potrebbe, forse potrebbe, avere un parassita. Lo analizzano. Io penso improvvisamente che anche un’ intolleranza al frumento o celiachia non sarebbe impossibile. Insomma, chi vivrà vedra, fra un paio di settimane vi confermo se è proprio un paravento di suo o se a volte conviene starli a sentire.
Leggere questo post ha rafforzato tantissime mie convinzioni… “Impara a conoscerti” è un qualcosa che dico spessissimo a mio figlio, prendi coscienza dei tuoi pregi, dei tuoi difetti, dei tuoi limiti ma anche delle tue possibilità è l’unico strumento possibile per vivere meglio con te stesso e anche con gli altri. Beh, magari glielo spiego in modo meno articolato di così, ma il senso è questo. E lui riesce a comprendere il concetto, non sempre per carità, ma la maggior parte delle volte sì. Splendide riflessioni, Silvia e soprattutto originali. Credo che sia la prima in volta in assoluto che una mamma solleva certe argomentazioni in uno spazio dedicato ai genitori, almeno per quella che è la mia esperienza.
Mi hai dato degli spunti davvero interessanti su cui riflettere!
Grazie!
complimenti, è un articolo splendido!
insegnare ai propri figli ad amarsi è una della cose più belle e utili che un genitore possa fare!
Non è giusto Silvia, mi hai commossa. E non si fa di lunedì mattina, non si fa :-*
se poi capisci come si fa con piccolo Jedi, mi fai un corso accelerato? No, non per i boys, quelli secondo me se la cavano, no proprio per me.
Il figlio della tua conoscente sembra mio figlio. Uno dei due a caso, ma soprattutto il piccolo, che è uno che parla pure poco e rimugina, poi salta fuori con una frase che racchiude problema, soluzione e loro mondi paralleli (ha il dono della sintesi che manca a me).
La seconda volta che lo stavo portando dalla terapeuta, al semaforo prima di arrivare mi fa: sai, io con Monique non è che mi sento già di giocarci, in fondo la conosco poco, io nel frattempo che ci conosciamo meglio preferirei soltanto parlarci. Cioè, la terapeuta lo fa giocare per capire come funziona e lui è disposto a dirglielo direttamente così si spicciano. Mi ha fatto rotolare questa cosa, ma ero al semaforo e non potevo.