In casa ho il dodicenne che ha le idee molto chiare sul suo voler essere genitore.
In questi giorni, o camminando, o andando e tornando da scuola, abbiamo più momenti core a core del solito in cui confidarci. Vi regalo alcune sue riflessioni perché danno da pensare pure a me, a volte, e mi fa piacere quando lui coglie il momento adatto.
Abbiamo iniziato un giorno, mentre stavo cercando di schiodarlo dalla visione di un video del suo youtuber preferito (entrambi i miei figli da grandi vogliono fare lo youtuber, creare video da mettere su youtube e vivere dei proventi pubblicitari).
“Stavo pensando, se quando avrò un figlio, mi conviene affittarmi un ufficio fuori casa o smettere per un po’ di lavorare“.
(Gioia, ho pensato io intenerita, già si pone il problema della conciliazione lavoro e famiglia, dai, dai, allora forse un esempio troppo disastroso non glielo stiamo ancora dando. Che una cerca di consolarsi come può dal senso di colpa fisso del genitore indaffarato).
“Si, perché tutti gli youtubers dicono spesso delle parolacce e secondo me al bambino non fa bene sentirmi“.
C’è da dire che il nostro maggior conflitto circa la visione dei suoi youtuber preferiti è che certi urlano e imprecano come dei carrettieri, e anche se li ascolta in inglese (e devo dire che ha imparato molto della lingua) all’ennesimo B****! io mi scoccio e gli impongo di ascoltarli senza audio, che odio quella parola e chi la usa.
“Però potresti anche specializzarti nel diventare lo youtuber che NON dice parolacce, avresti un enorme successo tra i genitori che incoraggerebbero i propri figli a guardare te e non gli altri, e insomma, potresti farne il tuo Unique Selling Point, il tuo marchio“.
“Eh, ma quelli che dicono le parolacce hanno un sacco di follower. Però in effetti ne seguo un paio che non le dicono” comincia a smanettare fra i vari canali You Tube, “Vedi, X che non le dice ha solo due milioni di followers rispetto ai 10 di quell’altro“.
Pensa in silenzio.
“Che poi due milioni di followers neanche sono pochi“, conclude.
“Siiii” mi fa Silvia, che io in tempo reale aggiorno le amiche su facebook, “Già me lo vedo nei filmini col pupo in collo, assolutamente, incoraggialo“.
Insomma, che a lui piacerebbe fare il padre lo dice spesso, una volta ha anche aggiunto che ai suoi amici non è che lo dica, ma che a lui piace proprio l’idea di sposarsi e mettere su famiglia.
“Solo che se faccio un figlio a 20 anni, poi devo aspettare fino a 38 anni per andare avanti con la mia carriera“.
“Guarda che io e tuo padre i figli li abbiamo cominciati a fare a 35 anni, dopo averla avviata la nostra carriera dei sogni. Vedi un po’, ognuno si regola, tuo zio e i tuoi nonni in effetti i figli li hanno fatti a 20 anni e dopo hanno avuto un sacco di tempo e libertà per cambiarla di nuovo, la carriera. Ci sono pro e contro.”
E ieri, visto che la progenie evidentemente è un suo pensiero serio, ci riprova:
“Ma papà si chiama B. come il nonno, vero? Perché io se avessi un figlio allora lo vorrei chiamare B., ma ne abbiamo avuto anche altri in famiglia, no?”
“Si, tre“.
“Quindi mio figlio sarebbe B. quarto?”
“Bè, dipende anche da cosa ne pensa la madre di tuo figlio, no? Che ne sai se a lei piace un altro nome, dovrete deciderlo insieme“.
“E cos’è la J. nel nome di B.?”
“Johannes, era il nome del fratello di nonno B., zio Jo, che non si è sposato e non aveva figli, per cui tuo nonno evidentemente ha pensato che fosse carino ricordare anche lui.”
“Ma è bellissimo, quindi io potrei dare a mio figlio anche il nome di zio A. che non ha figli?”
“Certo, anzi, sappi che la versione femminile del suo nome stava nella nostra lista se avessimo avuto una bambina.”
“Certo che avere figli è dura. A parte che i bambini, come peraltro gli animali domestici, costano un sacco di soldi, poi hanno bisogno di cure intensive, bisogna stargli tanto dietro. Certo che i figli sono un sacco di stress.”
Taccio.
“Però è anche vero che i figli ti danno tanta gioia, ti rendono felice“.
E come faccio a non dargli tanta ragione, sia per l’uno che per l’altro?
Un paio di volte mio marito ha sospirato provando a chiedersi come sarebbe stata la nostra vita se non avessimo avuto figli. Premetto che abbiamo avuto due figli meravigliosi e faticosissimi, ne cominciamo a uscire un pochino ora e siamo sfiniti. Io mi sono incazzata. In quel periodo le cose erano estremamente pesanti e non potevo in alcun modo permettermi il dubbio di una vita diversa perché tutte le mie poche energie mi servivano per uscire dal vortice corrente.
Poi dopo, a mente fresca, ho provato a ricordarmi la nostra vita senza figli e come staremmo ora, 15 anni dopo, se non li avessimo avuti. E penso che si, forse avrei fatto tante belle cose per la carriera, avremmo sicuramente fatto bellissimi viaggi, mi sarei inventata cose fantastiche per il lavoro, a quest’ora mi vedevate in TV col mio programma di cucina.
Ma mi sarei persa tante occasioni di crescita, di dubbio, e di sforzo per migliorare il mio carattere a cui i figli vuoi o non vuoi mi hanno costretta. E mi sarei persa tanta gioia. Tanto orgoglio. Tanto senso di divinità. Tante occasioni per dirmi: cara mia, se hai superato splendidamente anche questa, non ti ammazza più nessuno, altroché. Tante occasioni per scoprirmi a fianco di mio marito come un team con una missione, quella più importante nella vita, superare insieme momenti di stress che noi umani non sapevamo potessero esistere. Forse, lo dico sinceramente, ci saremmo potuti anche lasciare da quanto stavamo bene. Se avessi divorziato senza figli, col cavolo che restavo in Olanda.
E non mi sarei sentita dire da figlio grande, pure lui quando aveva 12 anni e a scuola partecipavano a un progetto che comprendeva domande su se stessi, la scuola i genitori e il futuro:
“Ci hanno chiesto se la maestra era brava e simpatica, ma come gli viene in mente? Sono domande da farsi? Per forza che tutti hanno detto che si, abbiamo la migliore maestra del mondo“.
“Ma non era anonimo, quel questionario? Proprio per farvi dire sinceramente quello che pensate?”
“Si, ma non l’ha fatto nessuno. E ci hanno anche chiesto se da grandi, avremmo voluto tirare su i nostri figli come hanno fatto i nostri genitori o se pensavamo di cambiare qualcosa“.
“E tu che hai detto?”
“Che a parte qualche piccola cosa pensavo di fare esattamente come voi“.
Inutile farsi problemi: se con i figli facciamo bene o facciamo male, diceva sempre mio padre, lo scopri solo dopo 30 anni, se ti va bene.
Intanto però fa piacere sentirsi dire che in fondo tanto tremendi non siamo.