Paura del giudizio degli altri

paura_giudizio_mammePer crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, dice un antico proverbio.
Ben detto.
Ma non è detto che un neogenitore abbia la forza per sentire il parere dell’intero villaggio o peggio per reggerne il confronto o peggio i giudizi.

In realtà come spesso accade in principio la vergogna e il senso di colpa sono nati per un principio sano: riportano le eventuali tendenze del bambino a fare solo secondo i propri istinti alle tendenze accettate nel gruppo. E tutti sappiamo quanto sia un tratto distintivo dell’essere umano l’essere sociale, sentirsi parte di una propria comunità (e io un po’ credo che, a parte le derive descritte ieri, e la diffusione di tecnologie a bassocosto, la diffusione dei social network sia anche una ri-costruzione di comunità e legami laddove il mondo del lavoro della nuova economia basata sulla conoscenza tende a disperderci sul territorio).
Ma per un neogenitore la critica sociale può essere confusiva (laddove esempi, aneddoti, consigli giungano in maniera esagerata), nella migliore delle ipotesi, e talvolta dannosa se fomentando a dismisura insicurezze e presunte responsabilità diventa una gabbia.

Allora io oggi vorrei un po’ scrivere delle emozioni serpeggianti legate alla paura del giudizio degli altri, che possono apparire e sparire, con segnali deboli (ma non per questo meno disturbanti) quando stiamo ancora osservando le due fatidiche lineette rosa (si fa per dire: tutti i percorsi genitoriali hanno un loro inizio e che sia accolto con gioia, perplessità o paura, vedono serpeggiare il pensiero della comunità).

Come premettevo, credo sia naturale ci sia un intero villaggio e che sia molto sano che un pochino, riproducendosi, ci si riallacci alla cultura, alle storie, alle tradizioni e perché no ai giudizi dell’intero villaggio.
Se un uomo da solo, in una sorta di autarchia relazionale, può far finta di non aver bisogno degli altri e anche tutto sommato percorrere percorsi innovativi (e magari è per questo che innovatori e inventori spesso sono soli o trovano spazio in relazioni di coppia che consentono ampio respiro), quando il singolo, la coppia, si riproduce, accetta di perpetuare una specie: un dna familiare, una storia di famiglie, di quartieri, di società, una cultura con un’altra (il naso di zia Filomena, il brutto carattere di tua nonna, il sorriso di tua madre, le spalle larghe di mio padre, l’attitudine a bere dello zio Arturo, porterà avanti il coro della parrocchia, sarà un elettore coscienzioso, un poeta/santo/navigatore …).

La famiglia, la società, la cultura, allora proponendoci modelli e giudizi cerca di difendere se stessa: anche se l’elemento esterno è rappresentato solo dal fatto di non avere la canottiera, o di mettersi o meno il casco, fotografarsi nudi o farsi una canna, la tendenza del gruppo sarà di perpetuare il “s’è sempre fatto così” per preservarsi. Quindi: “o cielo, non gli hai messo la canottiera”.
Ma anche: “non giocare con Maurino, non vedi com’è strana la mamma? Non gli ha messo la canottiera”
Oppure: “mannaggia, non gli ho messo la canottiera, speriamo non se ne accorga nessuno, se no cosa penseranno di me?”
Credo che queste voci aumentino la loro intensità se prendono il colore di altre voci che parlano al nostro interno e che ci raccontano nostre storie, nostri rifiuti.

“Non è stato un Dio e neppure un Démone, a creare il mondo degli uomini. Ma solamente degli esseri umani, proprio come i nostri indaffarati vicini di casa, i nostri dirimpettai. Vivere in questo mondo creato da semplici uomini può essere sgradevole, ma dove emigrare? Dovremmo avventurarci in un luogo non umano, ammesso esista. Ma un tale luogo sarebbe ancora più inabitabile del mondo umano.” (Nasume Soseki, Guanciale d’erba)

Però credo anche che lo scarto, l’evoluzione, il cambiamento (che passi o meno dall’indossare la canottiera) facciano parte della natura umana e che ciascuno di noi, ogni tanto, possa mettere da parte la paura e compiere serenamente quello scarto personale e sociale che porta a scoprire che, è vero, si è sempre fatto così ma tutto sommato anche facendo cosà si arriva in qualche posto molto interessante.

Allora a che serve ascoltare quest’emozione così fastidiosa?
Intanto perché ascoltandola scopriamo da dove deriva e spesso evitiamo si amplifichi in una lotta interiore che poco ha a che fare con l’episodio che l’ha fatta scatuire.
Poi perché non siamo solo noi in ballo.
Se come genitori ci stiamo assumendo la responsabilità di crescere delle persone per il loro bene dobbiamo – io credo – essere in grado di discernere in quali casi stiamo scegliendo il vero bene per loro, dove il nostro bene, dove ancora un bene che è imposto dal contesto ma magari preferibile per un quieto vivere e anche in quali casi il bene alla fine non sia sensato conformarsi alle esigenze del gruppo e dove invece sia essere in grado di far sentire la propria voce autonoma.

Poi magari esagero e sono solo madre di bimbi piccoli ma credo che certi esempi vadano e possano essere fatti da subito.
L’estate scorsa mi trovai protagonista di uno scatto di nervi di cui mi vergogno molto e di cui, subito, un coro di madri mi fece vergognare. Mi porto ancora dietro il senso di colpa. Rivedendo la scena, mi rendo conto che in quel momento per quel gruppo, era accettabile che un bimbo più grande “facesse il prepotente” contro mio figlio più piccolo, mentre nella mia personale cultura, io sono responsabile dei miei figli anche quando a loro viene da imporre in modo poco ortodosso la propria volontà e pertanto credo tocchi a me intervenire piuttosto che lasciare il bimbo più debole o il suo genitore a dover decidere la linea di comportamento.
Ho quindi imparato che – per non soffrire troppo di un giudizio nei miei confronti che è persino ben fondato in quel contesto – e non violentare troppo la mia personale cultura, laddove noto questo genere di momenti “interculturali” interpongo dello spazio per evitare conflitti (in un senso e nell’altro).

“E’ comunque difficile vivere nel mondo degli uomini.
Quando il malessere di abitarvi s’aggrava, si desidera traslocare in un luogo in cui la vita sia più facile. Quando s’intuisce che abitare è arduo, ovunque ci si trasferisca, inizia la poesia, nasce la pittura.” (cit.)

Io credo che provare ad ascoltare le emozioni anche disturbanti che viviamo in relazione agli altri, ai nostri figli, con cui siamo in collegamento, e che ci portano a scoprire cose anche spiacevoli di noi stessi (distinguendo le loro voci dalle altre, più importanti, che formano il nostro coro interno), sia come tracciare ampie pennellate o microscopiche miniature su un’ampia tela.

Noi non siamo quel tratto di pennello sulla pitttura, quel graffio, quella miniatura, così come non siamo lo sbrocco, l’urlo, la patta, la risata di gola, lo struggimento protettivo quando qualcuno di indesiderato prova a prendere il nostro neonato dal nostro abbraccio. Anche se la loro “eccezionalità” (nel senso di diversità) per la società che ci circonda fa si che tutti le osservino con la lente di ingrandimento.

Le conteniamo tutte e assieme, io credo, producono una cosa meravigliosa. Basta, ogni tanto, osservare le cose dalla giusta distanza e capirne il senso “globale”: per noi, i nostri figli e la comunità a cui apparteniamo, a cui, ogni tanto, spetta di tollerare qualche piccolo (ma vitale) scarto.

– Silvietta di Qualcosa sta cambiando

Prova a leggere anche:

Previous

Combattere la dipendenza da internet

Separazione fai-da-te

Next

13 thoughts on “Paura del giudizio degli altri”

  1. Questo post mi riporta (con la consolazione e la gioia nello scoprire di non essere soli a questo mondo!) alla considerazione, che faccio di questi tempi, su quanto il non-detto (tutto quel patrimonio di cui tu parli) agisca su di noi più di quanto non stessi non immaginiamo… Fino al momento in cui noi stessi non decidiamo di svelarlo, per il bene dei nostri bimbi. Grazie per questo bel post!

    Reply
  2. @Suster: grazie!

    @Closethedoor: si, hai ragione. grazie dell’aggiunta all’articolo. Il ricatto morale, la richiesta implicita di colmare con il proprio “buon comportamento” le insicurezze dei figli è indubbiamente un aspetto che dovrebbe far riflettere ogni genitore su come acquisire quel pizzico di sana autostima per essere sereno nelle scelte che compie.
    grazie

    Reply
  3. Vorrei dire che questa sensazione di inadeguatezza come genitore non tocca solo il genitore, è una delle tante cose che lascia una forte ansia di prestazione nei figli. Cioè sapere che i tuoi genitori ti giudicano se fai una marachella è una cosa, sapere che loro stessi si sentono giudicati dal villaggio, è molto di più di giudizio, è un ricatto morale a cui è difficile sottrarsi. Non impossibile ovviamente 🙂

    Reply
  4. @Elena:grazie della tua chiosa. Ho in effetti utilizzato un po’ a modo mio il proverbio, mentre la tua riflessione ne dà la chiave fondamentale. Si, la variazione pericolosa sta proprio nel punto in cui si passa dall’osservazione alla critica, senza sentirsi coinvolti, lasciando le persone ancora più sole.
    grazie

    @Lorenza: grazie anche delle tue parole. Apprezzo in particolare la saggezza contenuta in ” se è così bravo dovrebbe anche essere talmente gentile da non farcelo pesare” 🙂
    grazie

    Reply
  5. Perché l’I-Pod mi mette i punti esclamativi quando commento qui proprio non lo so. Volevo scrivere affermativamente che la collega e’ saggia!

    Reply
  6. Lorenza saggia la mia collega????mi ricorda la mia analista e mentore! Che bello quando veniamo citati come fonte di buon senso, grazie

    Reply
  7. Eh, gli scarti, quanti se ne fanno…anche perché l’ortodossia mammesca/papesca è schizofrenica, le critiche non tanto dicono cosa dovresti fare, spesso dicono solo che dovresti fare il contrario: allatti? Non dovresti. Non allatti? Privi i figli del contatto materno. Vanno al nido? Poveri, abbandonati a estranei. Non vanno al nido? Mammoni! E via dicendo…
    Personalmente in genere abbozzo e me ne frego, in alcuni casi sono arrivata anche alla risposta un po’ seccata. Però poi nei momenti di stanchezza le voci tornano.
    Recentemente ho parlanto con una psicologa che mi ha detto le seguenti cose: 1) non si può fare tutto; 2) chi dice che fa tutto nel 99% dei casi mente; 3) del restante 1% dobbiamo imparare a fregarcene, perché se è così bravo dovrebbe anche essere talmente gentile da non farcelo pesare; 4) se i figli crescono felici e disegnano facce sorridenti con il sole, vuol dire che non va così male.
    Forse non saranno verità assolute, ma cerco di ricordarmelo quando mi viene da sbattere la testa al muro…

    Reply
  8. Bellissimo pezzo. Il detto però si riferisce alla responsabilità che la comunità ha verso tutti i piccoli: ad esempio se mi distraggo un attimo altri adulti prendono al volo il mio bimbo birichino che si sta tuffando in mare da solo e senza saper nuotare oppure lo accompagnano al posto di ritrovo se ci siamo perso nella confusione. Questo dovrebbe essere…invece è diventato critica e giudizio, senza sporcarsi le mani e questo ci rende doppiamente soli nel lavoro di genitori: giudicati nelle scelte anche più banali (se gli abbiamo messo il berretto oppure no) ma senza poterci più fidare del prossimo e desiderosi di farci credere gli occhi anche dietro la testa ????

    Reply
  9. questo antico proverbio è giustissimo ma per villaggi con poche persone!!
    scherzi a parte.
    con il primo figlio per me le critiche sono state devastanti e siccome ero giovane tutti volevano dirmi cosa dovevo e non dovevo fare creando in me un senso di inadeguatezza e confusione.
    aiutata da mio marito ho preso consapevolezza che ero in grado di badare benissimo al mio cucciolo e sapevo se mettere il body lungo o corto o se ci voleva il cappello o la coperta.
    le critiche sono sempre state ben accette purchè costruttive…. io sono calorosa e non ho mai vestito troppo i miei figli che ora sono 4, però devo dire che ogni tanto ho dovuto soffocare la mia indole per salvaguardare il mo cucciolo.
    il “villaggio” a volte ti etichetta per un tuo atteggiamento o per un tuo modo di fare e stop …..questo l’ho provato durante l’allattamento perchè se i miei figli avevano fame io li allattavo sia che fossi al parco o al supermercato o nel piazzale della chiesa ( sempre con comportamento rispettoso) e alcune mamme mi scansavano perchè non stava bene allattare i figli davanti a tutti…..
    ci sono rimasta male ma col tempo ho capito che ogni madre(padre) sa il meglio per il proprio figlio e le critiche sono ben accette se fatte in modo sano e rispettoso
    un po di disagio a volte ce creiamo da soli volendo semrpe essere perfette…ma la perfezione stanca e…. ognuno deve essere così come è
    veronica

    Reply

Leave a Comment