E’ vero che l’asilo nido rende più intelligenti i bambini? Ma non è meglio stare con la mamma fino all’inizio della scuola materna? Ecco alcune riflessioni che possono aiutarvi, qualsiasi sia la vostra scelta.
Ho avuto il colloquio all’asilo per entrambi i figli la scorsa settimana e come spesso avviene mi ritrovo a riflettere sulle tante caratteristiche che li distinguono. Sono tornata a casa con un sacco di pensieri in testa, dall’evidente differenza di temperamento tra i figli, all’effetto che la frequentazione dell’asilo sta avendo su di loro.
Ci sono due scuole di pensiero riguardo all’asilo nido. Quelli del si, e quelli del no. Anzi scusate, ci sono anche quelli del magari!. Cioè magari ne trovassi uno che non mi costi un rene, e anche magari ne trovassi uno buono, ma anche solo magari ne trovassi uno. Ma ammettiamo per un momento che di asili nido ce ne fossero a volontà, e fossero accessibili anche dal punto di vista economico, e che fossero di un buon livello con educatrici preparate e in un ambiente accogliente e sereno. Restano sempre le due scuole di pensiero: asilo nido si, e asilo nido no. E la discussione accende sempre gli animi perché, diciamo la verità, dipende. Dipende da un sacco di cose.
Ultimamente è uscito un articolo che riporta i risultati di uno studio effettuato dalla fondazione Agnelli sugli effetti della frequentazione del nido sul rendimento scolastico. I risultati in sintesi sono che chi ha frequentato l’asilo nido va meglio in italiano e matematica quando si trova in seconda elementare, di chi non lo ha frequentato. La mia prima reazione in questi casi come sempre è quella di chiedermi come hanno fatto ad escludere altri fattori, quali la classe sociale di provenienza o il livello di educazione dei genitori, oltre a tutte le altre possibili ed immaginabili, fratelli o sorelle, nonni disponibili o meno eccetera.
Sono andata a cercarmi lo studio, che si trova sul sito della fondazione Agnelli e ho visto che in effetti hanno preso in considerazione molti di questi fattori per normalizzare i dati e quindi da questo punto di vista mi sembra un buon lavoro. Purtroppo non ho trovato il dato rispetto all’incertezza sulla misura, cioè quando mi dicono che in media i bambini che hanno frequentato al nido hanno 1 punto e mezzo più degli altri, se non mi dicono quanto variano i risultati all’interno di ciascun campione non ho sufficienti informazioni per capire se questo è importante oppure no.
E allora torno alla mia esperienza diretta, anche se mi trovo in un sistema svedese e non italiano. Ogni volta che vedo i progressi che fanno i miei figli grazie al nido sono estremamente contenta e so per certo che se fossi stata io a dover lavorare su certi aspetti non sarei riuscita altrettanto bene e tantomeno altrettanto in fretta. Se andranno meglio in italiano o matematica in seconda elementare mi importa molto poco, e sono consapevole che questo è solo un parametro per misurare l’effetto che il nido può avere sui loro piccoli cervelli. Però io vedo dei vantaggi già nell’immediato.
Pollicino è al nido da quando ha 16 mesi, quindi non prestissimo, e questo grazie ad un buon sistema di congedi parentali in Svezia che ci ha permesso di prenderci cura di lui così a lungo. Da quando ha iniziato il nido però ha fatto dei passi avanti da gigante. Ha voglia di fare da solo più di prima, ama interagire con altri bambini, è più sicuro di se. Ovviamente ci sono aspetti che maturano con l’età e non sto parlando di questo. Sto parlando del fatto che all’asilo nido riescono a fargli fare cose che io a casa non potrei mai fare. E la spinta più forte è data dalla presenza di altri bambini.
La socializzazione. Cosa significa socializzare per un bambino di 1 o 2 anni? A questa età i bambini fanno spesso giochi paralleli e non collaborano, quindi parlare di socializzazione nel senso in cui spesso lo intendiamo noi è sicuramente prematuro. Ma io vedo che la spinta della presenza di altri bambini intorno che fanno cose diverse da quelle che fanno loro gli fa venire l’idea di provare. Cosa che magari io a casa non riuscirei a fare perché non sono un bambino, ma sono un adulto. Nel mondo bambinocentrico l’adulto è quello che fa le cose perché le sa fare e basta e il bambino si affida totalmente all’adulto in questione. Quando il bambino è al nido insieme ad altri bambini è continuamente spinto dal suo istinto a fare quello che fanno gli altri, che sia mangiare con la forchetta da solo, sedersi sul vasino, addormentarsi per il riposino, mettere a posto i giochi dopo averli usati.
Quando un bambino è a casa con la mamma (o con i nonni) fino a 3 anni perde questa grande opportunità di confronto con altri bambini. E non perché se ne sta chiuso in casa e non gli capita di incontrarne, perché lo so bene che uno i bambini li fa uscire e li fa stare ai giardini a giocare o li porta dai cuginetti. Ma non è la stessa cosa. Una cosa è la condivisione di routine che comprendono anche il mangiare, il dormire e tutto il resto oltre al gioco, un’altra è incontrare un amichetto per giocare.
Le relazioni affettive. I sostenitori del no affermano che un bambino che va all’asilo nido subisce un senso di sdradicamento rispetto agli affetti famigliari, gli viene a mancare l’abbraccio caldo della mamma, che lo protegge e lo coccola e lo fa crescere sicuro. Io però vedo anche che i bambini al nido si creano delle bellissime relazioni affettive con il personale che si prende cura di loro e anche con gli altri bambini. Il loro mondo affettivo diventa più ampio e più ricco. Imparano a sentirsi più sicuri anche in gruppo e a cercare delle relazioni diverse con i diversi individui che li circondano. Credo che per compensare questo effetto tenendo il bambino a casa fino a 3 anni bisogna fare molto sforzo per riuscire a dargli quella stessa possibilità creando degli incontri ad-hoc. Non è impossibile, ma è più difficile.
Poi qui entra in gioco il fattore nonni, ma quello è un’altro capitolo, che dipende dai nonni, dalla loro età, dai conflitti in famiglia, dalla disponibilità, e per ora non voglio entrarci. Comunque mandare i figli al nido mica vuol dire che i nonni non li vede mai, no?
L’indipendenza.Uno dei lavori più importanti del nido è quello della spinta all’indipendenza. Un po’ perché un adulto che si deve occupare di 5 o 6 bambini al di sotto dei 3 anni non può fare tutto da solo, un po’ perché fa parte dell’aspetto pedagogico (vedi Montessori ad esempio). Un bambino di 13 mesi può mangiare da solo, uno di 18 mesi può infilarsi i pantaloni da solo, uno di 2 anni può lavarsi le mani da solo, uno di 2 anni e mezzo può usare il coltello per tagliare il cibo da solo (magari no una fiorentina al sangue!) Mediamente queste possibilità a casa non gli sono date. E qui mi ci metto anche io. Primo, io non ho pazienza e spesso nella fretta finisce che le cose le faccio io così ci si sbriga. Secondo perché magari non mi viene in mente. Pollicino su queste cose è abbastanza pigro e si lascia fare tutto. E io lo faccio. E poi scopro che all’asilo lo fa da solo e resto basita. Certo ci si può chiedere se sia così importante che faccia questi passi quando è in grado di farli. Per me è importante nel senso che stimola l’autostima e una formazione di una coscienza di se stessi come individui. Quando Pollicino riesce a fare una cosa e si batte le mani felice è molto più importante di quando io mi sbrigo a farla per lui. Ora è vero che anche questo si può fare a casa, lasciandoli provare e rispettando i loro tempi, ma quanti sono a farlo? E quanti continuano ad imboccare i figli fino ai 2 anni? (io ne conosco!)
Queste sono solo alcune riflessioni che mi sono venute in seguito ai colloqui e alla lettura dell’articolo di Repubblica. Credo che sia importante pensare bene anche al tipo di bambino che si ha, perché i bambini sono diversi e magari si adattano meglio o peggio all’ambiente dell’asilo nido. Ma la mia esperienza per entrambi i figli (diversissimi) è stata assolutamente positiva, e mi sentirei di raccomandarla a chiunque, magari non prestissimo (il Vikingo ha iniziato a 13 mesi), e magari con un orario ridotto in modo da garantire anche del tempo di qualità con i genitori, che nel mio mondo ideale farebbero i turni per andare a prendere i figli al nido. E poi ovviamente bisogna pensare a che tipo di genitore si è, perché si può fare tutto o quasi anche a casa, ma con molta più fatica, e se certi aspetti vengono salvaguardati meglio all’interno delle mura domestiche, altri vengono sottovalutati o dimenticati, tendendo magari a proteggere un po’ più del necessario. Per me non è un problema di delega educativa, ma di offrire una possibilità educativa più ampia, che prenda il meglio di quello che io, genitore, posso offrire, e il meglio di quello che un asilo nido può offrire.
Voi che ne pensate?
Sono anche io convinta che sia una questione molto personale. Dipende dal carattere del bambino e da quello dei genitori (se si tratta di una scelta libera da obblighi di lavoro, ovviamente). Io non lavoro, ma una giornata intera da sola con TopaGigia sfianca lei e me. E’ una bambina che ha bisogno di molti stimoli, di cambiare aria almeno due volte al giorno e di muoversi parecchio. E’ di quelli che vanno “a mille” e poi crollano nel sonno dei giusti. Quando era a casa tutto il giorno io arrivavo alla sera cotta, e l’addormentamento era nervoso e decisamente non piacevole, per me ma soprattutto per lei. Adesso va al nido fino a dopo pranzo, e il pomeriggio sta con me o con la nonna se io ho impegni. Va molto meglio, il tempo che trascorro con lei è di qualità decisamente più alta.
Vorrei solo dire che c’è anche l’opzione tata (che qui costa poco più di un asilo privato ed è disponibile anche in caso di malattia e altre calamità), che noi abbiamo preso in considerazione a suo tempo e che per alcuni bambini può essere la soluzione migliore, tipo i miei nipoti che essendo più tranquilli e mammoni di TopaGigia hanno decisamente gradito una persona dedicata esclusivamente a loro per un primo periodo e poi hanno cominciato il nido dopo l’anno e mezzo. Noi per TopaGigia abbiamo pensato che invece un ambiente più ludico e attivo e meno dedicato esclusivamente a lei fosse più adatto, e credo abbiamo fatto la scelta giusta, ma ripeto che questo è vero per lei, non necessariamente per tutti.
Sono assolutamente favorevole al nido dall’anno in poi. I bambini senza di “noi”, e senza il tempestivo intervento della mamma per forza di cose un po’ chioccia, acquisiscono molta più sicurezza e intraprendenza. Per mia figlia l’esperienza è stata senza dubbio positiva, e anche il distacco paradossalmente è stato meno traumatico di quanto lo sarebbe stato ora a 3 anni..con le dovute modifiche che ha avuto il suo carattere nel frattempo. Ha cominciato la materna senza alcun problema, pur avendo cambiato scuola e avendo con se solo qualche vecchio compagno di nido. La scuola la rende felice come il fine settimana con noi…e questo mi fa stare bene e mi fa vivere il lavoro e il “mio” distacco da lei con più serenità! Ho visto figli di amici approdare direttamente alla materna con tanti problemi di inserimento e di distacco..meno gestibili che a 13 mesi. ma so che non si può fare di tutta l’erba in fascio. La scuola da un qualcosa in più, quel qualcosa che resta utile anche a genitori e nonni…troppo innamorati dei figli e nipoti per chiedere loro di mettersi in gioco..nel grande divertimento che è la corsa all’indipendenza…
Io mi trovo un pò a metà strada. Tra il nido-sì e il nido-no.
Ogni genitore si trova a dover fare i conti con la propria situazione familiare/personale, e in generale penso che ogni scelta consapevole, giusta o sbagliata che sia, comporti qualche rinuncia e qualche arricchimento, e i nostri figli cresceranno forti anche di questo.
Quando, dopo la maternità, è arrivato per me il momento di tornare al lavoro, abbiamo affidato mia figlia ai nonni. I nonni materni. I miei genitori. Ma prima abbiamo valutato i pro e i contro. E abbiamo fatto la nostra scelta, di cui ora come ora siamo soddisfatti.. In questa scelta hanno pesato alcuni fattori: prima di tutto la predisposizione naturale dei miei genitori ad essere nonni speciali, propositivi e stimolanti, nonchè rispettosi delle nostre regole e quindi persone di famiglia e di fiducia. In secondo luogo, la nostra mentalità, che forse potrà essere ritenuta retrograda, ma che ci ha sempre portati ad apprezzare i pro e i contro di ogni epoca. Gli asili nido sono strutture relativamente “moderne”, frutto delle esigenze di genitori lavoratori, in passato i bimbi stavano con le mamme fino alla scuola materna, alcuni addirittura fino alla prima elementare… sicuramente eravamo meno stimolati, ma tutto sommato siamo riusciti a far tutto nella vita….. “Tempo al tempo” diceva mia nonna….
In virtù di ciò, abbiamo ritenuto che in fin dei conti la stimolazione della socializzazione, dell’apprendimento e della solidarietà con i coetanei potesse essere tranquillamente rimandata ai tre anni, a noi sembrava che lo stare con i nonni portasse un valore aggiunto che recuperare negli anni successivi sarebbe stato poi impossibile…
Però… c’è un però….. siccome siamo figli della nostra epoca e i servizi offerti dalla nostra società sono molteplici (non in assoluto, eh…. ma dico rispetto al passato), d’accordo con i miei genitori l’abbiamo subito iscritta in una ludoteca, dove la portavano due mattine a settimana e dove con l’aiuto di alcune educatrici, ha potuto imparare alcuni meccanismi dello stare insieme e familiarizzare con l’ambiente “scolastico”, il tutto in maniera naturale ed indolore, una sorta di “nido in pillole”, che ci sembrava un ottimo compromesso. Questo le è servito per fare un ottimo inserimento il primo anno di scuola materna, e adesso (che è all’ultimo anno) è perfettamente in linea con i suoi coetanei che hanno frequentato il nido. Su come affronterà la scuola primaria non posso ancora esprimermi, ma se sarà più o meno brava non credo che ormai dipenderà dalla mancanza del nido nel suo curriculum scolastico.
Ho avuto la fortuna di poter contare su un nido di ottimo livello per entrambi anche se i temperamenti, i tempi di adattamento e le reazioni sono state molto diverse anche nel mio caso. Sono contenta e rifarei il percorso con alcuni aggiustamenti che si possono sintetizzare con quello che hai detto tu: inserimenti non troppo precoci, iniziali orari ridotti e graduali allungamenti di orario. Ho cercato compatibilmente alle mie possibilità organizzative il più possibile di fare così ma se avessi potuto avrei allungato il periodo di permanenza a casa che è stato per entrambi di circa otto-nove mesi (ed è già lungo rispetto a moltissimi casi). A parte esigenze materiali di rientro al lavoro su cui difficilmente è possibile contrattare (almeno in Italia) credo che il fatto centrale che deve orientare questo tipo di scelta sia il livello di tenuta emotiva che ha il bambino. Durante l’inserimento della figlia più piccola (con carattere molto stabile, “facile” e solare) se non avessi avuto la consapevolezza che creare una classe di nido è un percorso con un certo grado di complessità e se non mi fossi fidata molto delle educatrici che avevo di fronte, probabilmente l’avrei ritirata all’istante nonostante mia figlia non presentasse alcuna difficoltà perchè in certi momenti il grado di tensione e il senso di “assenza” della mamma in molti bambini era molto alto o almeno io lo percepivo così. D’altra parte vedere lo stesso gruppo di bambini ora così “competenti” e sereni mi fa capire che davvero ognuno deve scegliere la strada che più gli si addice fissando le proprie priorità e consapevole delle proprie esigenze organizzative materiali, lavorative ecc. Io, nonostante momenti difficili, continue malattie iniziali ecc. ho sicuramente imparato molto da questa esperienza che mi ha dato sui miei figli un punto di vista completamente diverso da quello che sarei riuscita a maturare senza.
Anch’io sono una sostenitrice del nido, lavorando a tempo pieno abbiamo di non appoggiarci esageratamente alla nonna e di mandare la piccola al nido quando aveva 11 mesi per farla stare con altri bambini.
Devo dire che siamo stati molto fortunati perché il nido vicino a casa nostra (privato, il comunale è un sogno irraggiungibile) ci è piaciuto molto e poi sono molto flessibili negli orari e sono sempre aperti.
Siamo stati fortunati anche perché la Piccola si è trovata bene subito, in caso contrario forse avremmo cercato di arrivare alla materna.
Personalmente non credo che frequentare il nido faccia la differenza in termini di rendimento scolastico, io non ho frequentato né il nido né l’asilo e a scuola andavo bene. Però a posteriori credo mi sia mancato qualcosa in termini relazionali, l’asilo avrebbe forse smussato la mia tendenza all’individualismo.
Resta comunque una scelta personale, da prendere in base al proprio carattere, alle proprie esigenze e a quelle del bambino.
Grazie Serena per la lucidità con cui al solito esponi pro e contro. Mi piace soprattutto l’analisi del tema socializzazione. Come ho già detto per noi ha scelto il caso: laPulce va mezza giornata al micronido poi sta con noi o col nonno e io sono felicissima,vedo i progressi dati dal confronto ma anche la sicurezza data dal saperci sempre presenti (e da averla tenuta a casa fino a 17 mesi). In più,rispetto al nido godiamo di tanta flessibilità :-)! Per ilPulcino credo proprio ci affretteremo a fare le iscrizioni!
Oh comunque – scusate poi mi sto zitta – ho dato un’occhiata veloce allo studio e ogni risultato ha l’indicazione dell’incertezza statistica (forse Serena ti eri fermata alla prima tabella 😉 ero tentata anch’io, in effetti). Adesso non ho tempo di spulciarlo nei dettagli, ma lo stampo e me lo leggo.
Premetto che ogni scelta è giusta basta che non sia una scelta obbligata e che l’importante è essere consapevoli di quello che si sceglie, che sia nido o che non lo sia. La mia motivazione nel nido non sta certo nel punto e mezzo di differenza in seconda elementare (che sono convinta sia inesistente alla fine delle primarie!), non penso nemmeno che il nido renda più intelligenti, tutt’altro però… onestamente l’idea di far vivere l’infanzia a mio figlio in un mondo di soli adulti non mi va per niente e non sono affatto convinta che se mio figlio fosse affidato esclusivamente alle mie cure (o a quelle della nonna) potremmo fare un lavoro migliore delle educatrici. Certo, se nostro figlio all’ingresso del nido ogni mattina facesse delle scene apocalittiche, se capissi che la cosa proprio non gli va giù forse farei retromarcia (ma forse il problema si ripresenterebbe a scuola e questi figli non possono sempre stare attaccati alla mamma), ma lui è proprio contento di andarci segno evidente che anche per lui è una cosa positiva e che lo arricchisce, no? Olre questo, riguardo ai nonni, mia suocera è una nonna estremamente in gamba a cui affido nostro figlio in totale serenità (altrettanto non potrei dire di mia madre, non foss’altro per l’età avanzata) e che fa con lui un ottimo lavoro. Un lavoro da nonna, però che non è e non può essere sovrapponibile a quello delle educatrici. L’amore che gli da’ è indiscusso, ma di sicuro non “insegna” come del resto non faccio nemmeno io (posso educare – e penso sia questo il mio compito – ma non sono una brava insegnante). Certo che c’è un tempo per tutto e tutti alla fine impariamo a parlare e camminare, ma il compito del nido non è FORZARE le cose, ma stimolarle. Oltre a questo, io personalmente non sono andata nemmeno alla materna, e pur avendo una sorella maggiore, ho risentito moltissimo della mancanza di contatto coi miei coetanei.
Aggiungo: indipendentemente dalla mia esperienza personale, non posso fare a meno di chiedermi: questo studio, a che pro?
@Claudia che io sono contenta che questi studi si facciano, perchè hanno lo scopo di monitorare il funzionamento di uno stato civile. Questo genere di studi si fanno regolarmente in altri paesi per sapere se si deve spendere soldi per i nidi oppure per far stare a casa le madri con i figli. Se ci fossero delle differenze notevoli sarebbe una decisione importante per le politiche della famiglia. In uno stato civile. Comunque ho visto anche io che le altre tabelle hanno l’errore di misura, ma quella più importante non ce l’ha 🙂
Vogliamo dargli fiducia e assumere che quel punto e mezzo sia un valore significativo? 😉
@Claudia io sono contenta che questi studi si facciano, perchè hanno lo scopo di monitorare il funzionamento di uno stato civile. Questo genere di studi si fanno regolarmente in altri paesi per sapere se si deve spendere soldi per i nidi oppure per far stare a casa le madri con i figli. Se ci fossero delle differenze notevoli sarebbe una decisione importante per le politiche della famiglia. In uno stato civile. Comunque ho visto anche io che le altre tabelle hanno l’errore di misura, ma quella più importante non ce l’ha 🙂
Vogliamo dargli fiducia e assumere che quel punto e mezzo sia un valore significativo? 😉
Sarebbe interessante sapere se questa differenza di un punto e mezzo (che senza barra di errore, come dici giustamente tu, è un dato che non dice molto) poi viene mantenuta, oppure se dopo un po’ scompare. E io a naso direi che sarà difficile, a parità di condizioni al contorno, distinguere un decenne che ha fatto il nido da un decenne che non lo ha fatto. Considerato che è un investimento di diverse centinaia di euro al mese per almeno un anno, un anno e mezzo… per essere efficace come suggerisce il titolo dello studio, dovrebbe produrre una differenza significativa nei risultati scolastici almeno fino all’università! 😀
Detto ciò, io sono assolutamente pro-nido, mia figlia ci va praticamente da sempre e si trova benissimo, e sì a quest’età (due e mezzo) la differenza tra un bimbo che va al nido e uno che sta a casa si vede. Però, e mi unisco al commento di Letizia, è così importante?
Il nido ha anche tanti “contro” che incidono soprattutto sul livello di stress dei genitori (per esempio, la rigidità – assolutamente necessaria e comprensibile, ma comunque snervante – nei confronti delle innumerevoli malattie dei bambini).
Ecco, io sono del fronte dei voltagabbana, potrei avere un futuro in parlamento!
All’inizio con la mia prima figlia ero per il NO: nel mio paese non c’è un nido comunale, i due privati non mi convincevano (e su uno dei due sbagliavo), credevo che la soluzione tata fosse più flessibile. Essendo precaria e con genitori che lavorano tuttora, la soluzione “mamma a casa” o “nonni” non era praticabile. E francamente non trovo neanche giusto che un paese civile si appoggi a queste due opzioni, ma non divaghiamo.
A 16 mesi di Amelia, orripilata dalla tata scelta, ho optato per il nido (su consiglio di un’altra mamma che lo frequentava) e mi sarei data le martellate sui piedi per non esserci andata prima.
Con Ettore ho puntato sul nido senza indecisioni, dai 7 mesi. Pian piano, però, mi sono accorta che con due figli la musica cambia: potrebbero benissimo stare a casa a giocare insieme e svilupperebbero la maggior parte delle capacità che di solito si acquisiscono al nido.
Però, anche se non sono più precaria, resta il problema di cosa mettere sotto i denti e quindi, a parte i periodi di congedo che sto cercando di dilazionare il più possibile, mentre io sono al lavoro i miei figli devono pur andare a scuola e/o al nido.
Ora Ettore, da gennaio, andrà alla materna come anticipatario. Cosa molto bella dal punto di vista economico (il nido costava 500 euro più mensa), ma so perfettamente che le persone del nido, con la loro passione e il loro affetto per i miei bambini, mi mancheranno.
Serena,
faccio sempre fatica a commentare (e di solito mi astengo) perché esponi sempre al meglio un po’ tutte le voci possibili. Inoltre è difficile esprimere la propria idea in pochissime righe.
Io lavoro, ma ho scelto di NON mandare Pagnotta , 2 anni, al nido.
Con ciò mi permetto un appunto: non sono retrograda! Tutt’altro.
Ho valutato la sua indole, per ora introversa, riservata, molto attaccato a me e ho visitato i nidi a disposizione. Non è un bimbo facile, mansueto, collaborativo.
Mi sono chiesta se mandarlo al nido non lo avrebbe aiutato in tal senso a sviluppare un po’ di senso di autonomia e indipendenza e a “separarlo” un po’ di più da me. A fargli sviluppare il movimento ed il linguaggio (in cui è pigro). Sì probabilmente lo avrebbe fatto. Ma è poi così strettamente necessario che avvenga entro i 2 anni? So che c’è un’età per tutto e che tutti arriveranno al superamento di alcune tappe fisse. Ecco mi sembrava di voler precorrere i tempi, i tempi per Pagnotta, i suoi personali. E mi sono risposta che potevamo aspettare. Aspettare che la voglia di socializzare arrivi ai 3 anni come accade, per esempio. Vederli “bravi” a eseguire tutti gesti quotidiani: “lavarsi le mani”,”mangiare da soli”,”fare pipì nel water” non credo siano presupposti necessari, e non sono stati motivi abbastanza validi per spingermi a sceglie il nido.
Peraltro insieme agli atteggiamenti positivi assimilano, per imitazione, anche quelli negativi: urlare, strappare i giochi di mano, spingere, alzare lemani ecc ecc
Si ammalano spessissimo, questo è vero; e da noi difficilmente vanno all’aria aperta appena comincia l’inverno (e il freddo si sa che è nemico dei germi).
Mio figlio sa lavarsi le mani e i denti da solo lo stesso, come mangiare da solo (anche se a volte vuole farsi imboccare, è vero, però non siamo noi obbligati a farlo no?)
Insomma i pro e i contro ci sono sia da un lato che dall’altro.
Inoltre Pagnotta ha i nonni e io mi sono sentita sicura a lasciarlo ai mie genitori perché sono persone che lo stimolano molto, non sono assillanti, lo Ascoltano, sono il più possibile fuori in giro, a contatto con la natura. Li posso sgridare se fanno della stupidaggini con lui sulle quali io non sono d’accordo (vedi guardare alcuni cartoni in TV). Mettono in pratica i miei suggerimenti “obbligati“ nell’alimentazione, visto che ci tengo ad una alimentazione sana e naturale. Al nido da noi gli danno una caramella di zucchero ogni mattina quando fanno una sorta di appello (solo un esempio)! del tutto superfluo. Il mio non sa nemmeno cosa sono le caramelle.
L’ho iscritto però quest anno ad un servizio sempre del nido, per bimbi accompagnati, 3 pomeriggi a settimana, dalle h 16.30 alle h 18.30 e in effetti si sta sciogliendo un po’.
Vorrei aggiungere tanto altro…ma è già troppo lungo. :o)
Grazie
la penso esattamente come te.
penso che chi è per il NO ha una mentalità retrograda, la società di oggi è diversa da quella di 20/30 anni fa. non mandare un bambino al nido (per scelta, non perchè non ce lo si può permettere, e qui si dovrebbe aprire tutto un discorso sull’arretratezza culturale e politica del nostro paese ma si va fuori tema) è come precludergli un’esperienza, chiuderlo di fronte al mondo com’è oggi, negargli l’opportunità di crescita e interazione con i coetanei e con altre persone. non penso che i bambini che vanno al nido siano ‘più intelligenti’ e non credo fosse quello il risultato spiegato dall’articolo. penso però che abbiano maturato delle capacità in più e possano essere più portati a studiare e a concentrarsi, da grandi. le educatrici del nido oltre ad essere competenti ed a sapere come ‘educare’ un bambino piccolo lasciandolo libero di esprimersi, per esempio attravero il disegno, o altre attività creative, sanno anche consigliarci su come comportarci al meglio con i nostri figli. il fatto che un bambino frequenti il nido ci rende anche meno apprensivi nei suoi confronti. soprattutto poi in una società dove si fanno 1.2 figli a famiglia e dove i figli unici sono la maggioranza, frequentare il nido insegna ai nostri figli che non sono gli unici bambini sulla faccia della terra, che non sono sempre tutti pronti ai loro comodi, che bisogna rispettare gli altri, che non è tutto di loro proprietà, ecc. un bambino che è abituato a vedere accontentato ogni desiderio fino ai 3 anni di età si sentirà con buona probabilità frustrato quando inizia la scuola materna. e potrei aggiungere altre mille cose ma mi fermo qui perchè ho già scritto troppo.
io condivido praticamente tutto quello che hai scritto e posso portare la mia esperienza di figlio unico ma soprattutto quella di una mia amica che di figli ne ha 3 e pur avendo scelto di fare la mamma a tempo pieno, ha anche scelto di mandare i due figli più piccoli al nido mezza giornata. Certo non dall’età di 6 mesi come siamo stati costretti a fare noi, ma comunque l’ha fatto pur non avendone la necessità “lavorativa” perchè si è resa conto che i bambini ne avevano giovamento in termini di socialità, di autonomia, di apprendimento. Eppure essendo in 3 (nati a breve distanza tra di loro, non più di 2 anni di differenza) non gli mancano certo le occasioni di stare con altri bambini.
Personalmente sono felicissima dell’esperienza nido, sia di quello comunale che Lorenzo frequentava l’anno scorso (una buona struttura) che di quello aziendale (ENI) che frequenta quest’anno. Lorenzo avrebbe ben poche occasioni di confrontarsi con altri bimbi se non frequentasse il nido e ne ha giovato infinitamente, soprattutto quest’anno che è un po’ più grandicello e autonomo. E comunque anche lui (come Pollicino) ama molto farsi fare: farsi imboccare, farsi vestire, farsi lavare cosa che al nido non fa (io la interpreto anche come la necessità di una coccola supplementare visto che non ci si vede tutto il giorno). Certo se non lavorassi full-time, se ce lo potessimo permettere se, se, se… di sicuro non rimarrebbe al nido fino alle 18, però sono decisamente una genitrice nido-entusiasta.
Ti lascio un link di Claudia, con commenti interessantissimi (si può, vero?), proprio su questo tema: http://www.lacasanellaprateria.com/2010/12/nido-o-non-nido/
Come ho detto già da lei, io ho preferito trascorrere almeno due anni con Dafne, consapevole del privilegio di poterla seguire da casa (lavoricchiando), cosa che non tutte possono fare.
Ed è grazie a questi due anni che abbiamo cambiato in meglio la nostra vita… e abbiamo deciso che trascorrere tempo insieme era più divertente che avere un lavoro be retribuito che ci teneva lontani.
@Mammafelice la vita è una questione di scelte! 😉
La possibiltà di scelta da’ sicuramente la soluzione migliore per tutti, prima di tutto perché ti mette nella condizione di accettare le conseguenze e assumertene la responsabilità. E questo è vero in entrambi i sensi.
@Valeria fino alle 18 in effetti è un orario molto lungo! Però l’importante è che lui sia contento, non ti far venire i sensi di colpa che non aiutano nessuno.
@CosmicMummy non so se chi è per il no abbia una mentalità retrograda. Io credo che certe scelte si fanno comunque pensando al bene dei propri figli, poi magari non sempre si prendono in considerazione tutti gli aspetti possibili. Ad esempio tutti parlano di quanto sia importante per il bambino stare con la propria mamma nei primi anni di vita e nessuno parla mai dei papà 😉