Ho iniziato a pensare a questo post ragionando sulla paura della felicità, a partire dal giudizio degli altri di cui ragionavo un mese fa. Mettendo un po’ da parte la paura mi sono chiesta ma quando la vivo e che sfumature ha l’emozione felicità?
Questa rubrica è nata con l’idea non di raccogliere storie edificanti o esempi edificanti di genitorialità (soprattutto, avrebbero proprio scelto l’autrice sbagliata!) bensì con il piccolo pensiero di illuminare per un momento emozioni presenti ma nascoste, con l’idea che come persone e soprattutto genitori occorra valorizzare ogni risorsa e che allora non ci siano emozioni sbagliate ma solo emozioni a cui dare voce per essere genitori più completi.
Ha senso parlare di felicità, qui?
Che tipo di persona è, un genitore? Di quali emozioni gli è concesso parlare? Di quali emozioni ci abituiamo a parlare? E perché?
Tanti anni fa mi posi come modello le persone che sanno essere al contempo serene ma scontente. Serene, perché capaci di vivere con il cuore – mi piace pensarla così – in linea tra le stelle e la terra. Scontente, perché capaci di osservare la realtà attorno pensando alle cose da cambiare.
La felicità come emozione a cui penso oggi non è né la contentezza né la serenità.
La felicità, forse, è l’attimo di bellezza così tendente all’infinito da smorzare il respiro (in un certo senso, è già tutto nell’articolo “una scalata mozzafiato” pubblicato su Internazionale qualche tempoo fa e che ho per certo già citato)
Io credo che tre siano i motivi per cui non se ne parla: l’invidia, l’invidia degli dei e il pudore.
L’invidia “tra pari”, come citato in un libro che amo molto (Kets de Vries “L’organizzazione irrazionale”) “non va mai in vacanza” […]
“L’invidia è parte integrante dell’esperienza umana e influenza in toto il nostro comportamento e le nostre azioni”. [..] “E non tutto viene per nuocere: se qualcuno ci invidia un po’, forse significa che abbiamo realizzato qualcosa di buono”.
Per timore, quindi, delle ritorsioni, dei discorsi maligni alle nostre spalle (e spesso davanti), ci freniamo dal condividere qualcosa che ci rende felici, temendo quasi che per invidia gli altri ci sminuiscano o i nostri sentimenti o i nostri risultati o peggio il lavoro nostro a monte di entrambi.
L’invidia degli dei (scusate l’eredità degli studi classici) o anche malocchio è la deriva superstiziosa dell’invidia dei pari. È il momento, l’occasione in cui si teme che la felicità scateni su di sé un infausto destino o comunque un evento negativo di portata proporzionale alla felicità goduta (quando rischiai la vista, fu tra i motivi “scientificamente” addotti per i miei malesseri).
In entrambi i casi, siamo messi in un angolo, impotenti, a subire il flusso di queste emozioni negative altrui. Una bella ironia, considerato quanto invece il ruolo di genitori ci chiede di essere attivi e presenti 24h/24h 7g/7.
Il pudore, allora, interviene come atteggiamento protettivo, a difesa di una nostra emozione bella. Il pudore ha un ruolo un po’ opposto a quello che facciamo qui e altrove, in rete come in società. E’ il momento del tesoro nascosto, non della condivisione.
La felicità è un’epifania delicata, fragile, talvolta nascosta.
Talvolta mi sembra, sarà l’influenza del mio temperamento, o della società, o del mio stile di vita, che anche l’essere genitori sia in qualche modo una performance.
Si concorre con e contro gli altri nel modo con cui i figli vengono educati (e il loro comportamento diventa un giudizio di performance sulla persona genitore), sulle opportunità che gli si creano (e il numero di impegni a cui il genitore o la tata riesce a portarli diventa un giudizio sugli altri), sulle proprie capacità di gestirsi anche negli altri ambiti (quanto lavori, quanti altri impegni hai, quanti hobby, quanto scrivi, quanto pubblichi, quanto ci sei …), sull’essere capaci di stare nel “giusto” equilibrio (per cui devi dosare tutto anche con quel pizzico di autoironia necessario per fare vedere che anche tu l’errore lo fai..).
Tutto giusto (io per prima mi sono vantata dei miei tetris) ma talvolta sono stanca anche del condividere obiettivi e risultati.
Tra gli uni e gli altri, tra un abbraccio solidale per un sugo bruciato a causa di una pipi monella e un incitamento per le svolte personali e professionali, voglio lasciar trasparire nel mio cuore, in quell’istante (e per quell’istante, che non cancella le frustrazioni e le difficoltà prima e dopo) il godimento che quell’istante dà al mio cuore. Una felicità che diventa nutrimento, non traguardo.
Un pensiero che ho fatto recentemente è stato quello che alla fine i figli sono persone con cui inauguri una relazione. Molto stretta (troppo stretta 🙂 ) al principio, sempre diversa con il passare del tempo fino a essere completamente affidata alla libera scelta degli individui. Come in tutte le relazioni, attraversiamo diverse emozioni: alcune legate a noi, altre all’altro, altre infine alle dinamiche relazionali.
Perché – ed è questa l’epifania che ho avuto – se è vero che essere genitori si forma intrecciando responsabilità, educazione e cura, ebbene, ogni tanto occorre mettere su questi tre fili delle perle che rappresentano degli episodi del nostro stare con i nostri figli.
Molti episodi sono – giustamente – momenti “storici” momenti di crescita.
Ma molti saranno solo essersi detti – dopo tanto sudore, tante notti insonni ecc ecc – “cielo che bello come sto bene qui ora in tua compagnia” (perché c’è il sole, c’è il vento e il cielo blu, perché sto stendendo e tu chiacchieri o ciangotti, perché prepariamo assieme l’aperitivo e l’aria è profumata o semplicemente perché stiamo bene insieme).
Mi piacciano molto i tuoi post e mi lasciano un po’ senza fiato.
Quel pudore come lo conosco. E poi, se viene un attimo meno, la punizione arriva quasi all’istante. Ma non credo siano gli dei. A meno di non chiamare “dei” noi stessi… che magari non sarebbe neppure sbagliato. Mi diceva sempre mio nonno ‘chi si loda, si imbroda’ . Appena appena mi sento dire ‘come sono stata brava’ mi mordo la lingua e mi guardo intorno. Mi penso condannata ad una felicità guardinga. Invece è come dici tu, non è una condanna se la felicità diventa nutrimento, non un punto di arrivo. E’ così vero che se ci si abbandona a lei, senza schematizzarla o definirla, porta un susseguirsi di eventi a catena.
Mi piace anche molto quel che dice CloseTheDoor, come sempre, bisogna pensare di meritarsela. E se a lungo si è pensato il contrario, finisce che ci si commuove a sentire Elisa quando canta “c’è un principio di allegria…”
@Lorenza: eh 🙂
senti: penso di trovarmi in un momento molto simile a questo tuo, forse anche per questo scrivo, per trovare nuove vie e nuove idee. Credo anch’io che si faccia fatica a condividere certi momenti, e che forse sia anche giusto imparare a conservarli come segreti tesori. In qualche modo, quella riserva di energie che impariamo – per via delle notti insonni – a dover gestire al meglio ci insegna anche (dopo tanti anni di doveri, scopi, dare e condividere) a trattenere per noi la parte “migliore” non per egoismo ma per tracciare un confine rispetto ai “prosciugatori di felicità”.
buon proseguimento, cara 🙂
@Closethedoor: ehi, i complimenti mi fanno arrossire 🙂 piuttosto: si, la paroa giusta è anche questo concedersela la felicità, assaporarla. Come in un’epoca che insegna diete ma anche bulimie e attacchi al cibo che diventa compensatorio, minaccia, ricatto è così bello godersi le cose.
grazie del tuo passaggio, mi fai sempre pensare
Silvietta, che bei post che scrivi. Secondo me per poter vivere la felicità, non devi “cercarla” ma “concedertela”. Significa che devi pensare di meritartela, solo così seguiranno le scelte che ti rendono felice. Per fare questo sarebbe meglio avere intorno persone che non ti fanno sentire di non averne il diritto. Chiamiamola invidia, quella sensazione di vuoto che ti prende quando la persona che hai di fronte non sembra carica del tuo stesso peso, o che possiede qualcosa che tu vorresti tanto. Quella sensazione di vuoto mi fa tenerezza o compassione a meno che non porti a parole o gesti malevoli, che hanno tutto il mio disprezzo, così come l’invidia degli dèi, come dici tu derivato superstizioso della consapevolezza che dagli altri si possono ricevere cattiverie.
Il mio aneddoto: ricordo una mia cara amica siciliana che una volta mi ha raccontato di non aver mostrato le foto del suo matrimonio ad amici e parenti, per paura del malocchio. Brivido.
Silvietta, però così non va!! Con quel tono leggiadro butti lì ‘sti macigni…il giudizio degli altri, le emozioni, il pudore…
Ci riflettevo in questo periodo, non proprio positivo, per cercare di convinvermi che non devo aspettarmi un voto alla fine della giornata. Se c’è qualcuno più bravo di me amen.
Geneticamente abituata ad avere uno scopo, sto cercando di convincermi che nel mio caso non è fare tutto ma vedere la famiglia che cresce insieme e raccogliere momenti di felicità, anche piccoli come saltare tutti insieme sul papà (forse lui è un po’ meno felice :-)).
Questi momenti difficilmente li condivido con altri, anche perché ho scoperto (alla veneranda età di 40 anni, che lince!) che alcune persone scelgono deliberatamente di essere infelici e non mi voglio far succhiare le energie, mi servono tutte per far dormire il piccolo Attila nottambulo…
@deborah: bella la gioia che “sprizza da tutti i pori” … a me piace anche la felicità che ti coglie all’improvviso, si sente come un raggio di sole… ma scalda tanto 🙂
@Lanterna: grazie, bellissima immagine. Molto, molto suggestiva !
@Veronica: si, il punto sta li, riconoscerci il diritto di essere felici, nel presente, anche per poco, ma intensamente quanto intensa è la fatica, la rabbia, la difficoltà.
buone piccole cose a tutti
la felicità è un ingrediente essenziale….. almeno per me …non è sempre facile essere felici e come hai detto tu non è un sorriso o una gioia ma una sensazione che va all’infinito
per me la felicità più grande è un sorriso dei miei figli
noi genitori spesso pensiamo che essere felici non ci debba appartenere…ma invece io credo che l’essere felici faccia bene a noi e ai nostri figli
Uh, l’invidia degli dei, quanto ne ho paura!
Quando mi trovo a vivere momenti preziosi, mi viene sempre in mente una scena di Indocina (film non memorabile, ma questa scena lo è) in cui due donne accolgono un neonato e con voce dolcissima gli dicono che è un mostro bruttissimo, ma come fa ad essere così brutto, eccetera.
All’esterrefatto occidentale spiegano che non bisogna fare i complimenti a un neonato, altrimenti gli spiriti maligni gli faranno del male.
Ecco il motivo per cui mio figlio (il maschio, la femmina mi si offende) lo chiamo “brutto mostro” o “essere immondo”.
Che belle considerazioni sul pudore e la felicità!Ci ho pensato spesso in questo periodo, in cui mi sento “moderatamente” felice. E, ti dirò, puoi non dirla, la felicità, ma comunque traspare. Da come ti muovi in mezzo alla gente, dal guizzo di uno sguardo, dal sorriso perenne da ebete con cui guardi il mondo. Non a caso la gioia “si sprizza”
@Lunamondo, @Mammame:
grazie dei vostri commenti perché aggiungete e sottolineate due termini a cui non avevo pensato, rivoluzionario, consapevolezza e intimo. Li teniamo come aggettivi per comprendere quest’emozione.
grazie
@Anna: grazie a te. In realtà a ricordarmi quant’è bello l’effimero e a farmi capire quant’è importante tenerlo presente (come profumo, come di più, come indicibile bellissimo) ci sono stati i tuoi scritti lasciati qua e là e i tuoi progetti vecchi e nuovi per cui… è una cosa che condividiamo!
@Lorenza: non so essere di grande aiuto. come dice bene la rubrica, seguo il movimento delle emozioni. So però che si può esercitare e sviluppare un’attenzione settoriale alle cose. Come quando cucini e mentre parli, affetti, rimescoli, stai attenta e percepisci se il gas s’è spento, se qualcuno è entrato ecc. o mentre parli al telefono percepisci dal profumo se si è attaccato il sugo.
Ecco: tra gli sbattoni, l’agenda e le todolist sto cercando di seguire il profumo dell’effimero. E lasciarmelo semplicemente respirare. (mentre il cervello macina, sta in ansia ecc ovviamente 😀 )
È una bella riflessione. Semplicemente sarebbe sufficiente invece che stare sempre con il metro in mano a misurare , voltarsi indietro e guardare bene la strada che si è percorsa perché alla fine solo tu sai il punto in cui tutto è iniziato e il perché e il per come ed è qualcosa di intimo che non è necessario esibire ma di cui è importante solo essere consapevoli a dispetto delle vecchie e nuove convenzioni sociali , dei giudizi sotto traccia, dei condizionamenti impliciti ed espliciti che appunto quantificano ogni cosa come dice anna anche l'”inquantificabile”….
Dici bene: la felicità fa paura, la felicità è rivoluzionaria. Quanto ritegno e quanto pudore ci vuole per parlare di felicità, neanche fosse una colpa da tenere nascosta. Peccato però, perché se la si lasciasse circolare liberamente il mondo ne gioverebbe e ci sarebbe una carica di bene incredibile. Ma la natura umana è quello che è e ricadrebbe nei suoi errori. Per cui godiamo delle nostre perle e facciamole brillare al sole…:-)
che bello Francesca, ricordare che essere genitori non è una performance ma una relazione. lo dici bene quando parli dei fili di perle, di quei momenti tutti da godere, il presente com’è effimero, perché ce lo perdiamo sempre? grazie
(Al solito!) questo post intreccia un pensiero vago che sto tentando di formulare in mezzo al caos… Ed è che mi è venuto da riflettere sul fatto che la felicità va cercata, stanata e tenacemente costruita – e mi chiedo come sia possibile, coniugare lo sforzo della ricerca con l’epifania delicata e fragile. E dove stia la chiave di volta.