Supponiamo che ci sia una famiglia felice-e-ben-organizzata di quattro persone. Supponiamo che due delle persone siano un bambino vivace di 3 anni e più, e un neonato di 8 settimane e più. Supponiamo che il papà sia uscito presto per andare al lavoro. Supponiamo che siano le 8.15 di mattina, e la mamma della famiglia felice-e-ben-organizzata ha già allattato il neonato, cambiato il pannolino, si è vestita, ha vestito il figlio più grande, ha servito la colazione, ha svuotato la lavastoviglie, e si senta molto soddisfatta delle sue abilità multitasking e manageriali. Supponiamo che la suddetta mamma dia al figlio più grande l’ultimatum per uscire tra 10 minuti, visto che vanno in gita al teatro con l’asilo nido, e non si può arrivare in ritardo. Supponiamo che il neonato inaspettatamente si svegli e inizi a piangere dalla fame in anticipo sulla tabella di marcia. Supponiamo che il figlio grande aveva deciso che prima di uscire la mamma doveva giocare con la sua collezione di animali. Supponiamo che la mamma, credendosi un’esperta del temperamento del figlio grande, con mossa abile riesca ad abbindolarlo e a convincerlo che leggere un libro con la mamma sia altrettanto divertente. Supponiamo che la mamma si sieda sul divano ad allattare il neonato, mentre legge un libro al figlio più grande, ancora più soddisfatta delle sue abilità multitasking e abbindolatrici. Supponiamo che alla fine del lauto pasto sia ancora più tardi, e nella fretta la mamma si sia scordata dell’utilità del ruttino e del cambio del pannolino. Supponiamo che il neonato richiami la mamma all’ordine emettendo urla lancinanti con la sua vocina stridula. Supponiamo che contemporaneamente il figlio più grande decida che la lettura del libro non sia per nulla equivalente ad una lotta tra dinosauri, e improvvisi uno sciopero collaborativo per far valere le sue ragioni. Supponiamo che sbatta la porta e si chiuda in camera sua per rendere il gesto più plateale. Supponiamo che il cambio del pannolino venga effettuato in un tempo record, ma vista la confusione generale, le urla non vengano placate. Supponiamo che la mamma rinunci all’idea della carrozzina, e inizi a cercare invano il marsupio per infilarci l’urlatore di 5 chili. Supponiamo il figlio grande si getti per terra, mentre la mamma cerca di infilargli le scarpe contro la sua volontà mentre continua a tenere in braccio il neonato urlante. Supponiamo che ne segua una lotta faraginosa, con sbattimenti di porte, lacrime, urla, calzini sfilati per ripicca e simil irritanti tecniche di difesa. Supponiamo che la mamma riesca a trovare il marsupio che si trovava fuori nella carrozzina, e riesca ad infilarci l’urlatore di 5 chili. Supponiamo che il bimbo più grande decida di chiudersi in bagno mettendo il fermo alla porta. Supponiamo che la mamma decida che l’empatia richiederebbe troppo tempo, e si affidi a tecniche di convincimento meno raffinate, facendo leva sullo spirito di corporazione e di profonda amicizia che lega i bambini di tre anni al nido, ovvero minacciando che i suoi amichetti se ne sarebbero andati al teatro senza di lui. Supponiamo che lui se ne infischi. Supponiamo che all’alba delle nove meno dieci, la mamma si abbassi ad un livello ancora inferiore, minacciandolo di andarsene via da sola e di lasciarlo chiuso in bagno. Supponiamo che il bimbo grande apra timidamente la porta e chieda “e Pollicino?”. Supponiamo la mamma risponda duramente che anche Pollicino andrà via con la mamma. Supponiamo che di fronte a questo ennesimo ricatto avvenga il miracolo e che la porta del bagno si apra completamente. Supponiamo che il bimbo grande ora sia più collaborativo e decida di lasciarsi vestire per andare al teatro. Supponiamo che si riesca ad arrivare all’asilo giusto in tempo mentre sono tutti sulla porta pronti in fila a partire.
Ma naturalmente tutto ciò non è possibile. La mamma della famiglia felice-e-ben-organizzata non è una sprovveduta e sa bene che è meglio giocare un paio di minuti con i dinosauri e poi uscire felici tutti insieme piuttosto che affrontare 30 minuti di inferno.
Purtuttavia, in caso di emergenza, vale la regola numero due: saper ricattare.
Oh che bello che non siamo gli unici a viverle davvero queste cose!!!
meraviglioso….sembro io!!! supponiamo eh 😉
Per Stefano: il tuo commento avrei potuto scriverlo io. Anche io trovo agevole l’uso del “conto fino a tre” anche io racconto tutte le sere cappuccetto rosso, alternato a “io mi leggo da sola cappuccetto verde/bianco/giallo” e anche io canto bella ciao come ninna nanna, a entrambe le bimbe.
Certo non è che siano cose originalissime, ma fa impressione vedere ben 3 cose della propria routine nei commenti altrui.
Detto questo, questo post è spaziale.
… l’evoluzione dei significati e dei significanti spesso è determinata dalle situazioni esistenziali e dal fatto che la famiglia felice e ben organizzata spesso non si trova sul vocabolario.
Ergo: ricattare può vedersi arricchire il ventaglio di significati.
Ricattare 1 = amorevoli tecniche di convincimento, applicate con spirito non costrittivo, ma persuasivo.
Ricattare 2 = pratica diffusa nelle famiglie normodotate per migliorare o accelerare talune fasi della vita quotidiana.
Tutto evolve!
Wowww quella del racconto sono ioooo… ema :3 anni e mezzo… Leo che ne ha appena due mesi di vita… io, da poco tempo a questa parte, casco nella regola n.2 troppo spesso.. e esco di casa tutti i giorni alle nove meno 10…( ma ad arrivare ci metto 15 minutiiiii)
Stefano… non ti è venuto il dubbio che sappia benissimo che dopo il 3 non succede nulla di catastrofico? E comunque perdersi la 736° replica di Cappuccetto Rosso potrebbe anche essere considerato un dramma!!!
Ho il forte sospetto che subodori il bluff… ma in fondo va bene anche a lui l’idea che esista una regola e che un papà serve anche a spiegare qual’è.
Intanto, però, per sicurezza, pensa ad un piano B.
(… come mi piacciono questi commenti!)
Avete mai provato il metodo “1, 2 e… TRE!!!”. Ancora ci chiediamo come mai stia funzionando visto che finora il “raggiungimento” del 3 non ha avuto nessun tipo di conseguenza. Mi sa che prima o poi se ne accorge e ci frega. Voglio dire, io conto fino a tre ma, se non ottengo piu’ il risultato, cosa faccio? mica lo meno! Allora, l’altro giorno, al “3”, continuava a rifiutarsi di andare a letto (credo che non fosse che non aveva sonno ma, semplicemente, mi “sfidava”). “Muy bien” pensai (da queste parti pensiamo in spagnolo). Esteban, quando ha visto che entravo in camera sua da solo raccontandoMI la storia di Cappuccetto Rosso, ha temuto di perdersi la favola e mi e’ corso in braccio, sulla sedia a dondolo. Gli ho raccontato la storia, gli ho cantato la ninna nanna (a lui piace Bella Ciao, cantata dolcemente) e via a letto. Che bello! ma se poi se ne accorge? se capisce che e’ un bluff? se annusa il sottile ricatto? ci ricattera’ lui? iniziera’ a contare fino a tre? in fondo, non avevo un piano B se non mi fosse corso in braccio.
…come mi piace questo blog!
Guardate che l’unica differenza, secondo me, sta nel fatto che in Svezia arrivare ad un orario improbabile a scuola è un concetto tollerato un po’ peggio che qui… 🙂
Supponiamo che io ci sia dentro in pieno e tutti i giorni si esca dopo le 9.
A parte il:
mamma della famiglia felice-e-ben-organizzata ha già allattato il neonato, cambiato il pannolino, si è vestita, ha vestito il figlio più grande, ha servito la colazione, ha svuotato la lavastoviglie, e si senta molto soddisfatta delle sue abilità multitasking e manageriali.
Quelle sono state le mie tipiche mattine per circa due anni…
si si, sono daccordissimo con te polly5vm. E’ che ho cercato di ironizzare per nascondere i miei sensi di colpa per avere applicato la regola numero due 😉
si è vero a volte capita che empatia, ascolto attivo, messaggi in prima persona lascino il posto alla regola numero 2.
Il problema è che presto bisognerà cambiare anche questa regola, perché più crescono e più diventa pericolosa applicarla!