La gelosia non può essere negata, ma va interpretata come un segnale, un sintomo che parla della relazione, anche nei rapporti con i figli
Lo dico subito: sono una persona gelosa, soprattutto dei propri affetti. Ma ho imparato presto a dissimulare questa mia gelosia, perché non fa tanto bene ai rapporti umani. Mi spiego.
La gelosia è una paura, la paura di perdere qualcosa di cui si è in possesso, di cui si gode, perché qualcuno può togliercela e goderne lui, o lui insieme a qualcun altro. Si manifesta spesso con una avversione verso altri che vorrebbero quel qualcosa, o verso chi possiede quel qualcosa quando manifesta l’intenzione di non condividerlo solo con noi. Si manifesta quindi in una situazione triangolare: noi, un altro o un’altra, e un bene da condividere più o meno esclusivamente. Ci sono due cose che non mi piacciono.
Per prima cosa, ogni paura porta alla violenza. Se ho paura reagisco male, rispondo male, tratto male forse proprio quella persona di cui sono geloso, o geloso dei suoi sentimenti. Questo non mi piace.
Seconda cosa, nella gelosia i sentimenti di una persona, il suo tempo, la sua presenza vengono oggettivati appunto come un “bene”, come una cosa di cui godere – o reclamare – il possesso. Questa è una cosa che mi piace ancora meno, perché nei rapporti tra persone, e soprattutto tra quelli affettivi, non ci devono essere beni da godere ma solo relazioni nelle quali vivere. Se provo dolore per un gesto d’affetto, per un’ora da trascorrere, per una telefonata non diretti a me e che invece avrei voluto per me, ho ingabbiato nel recinto della proprietà qualcosa che invece dev’essere assolutamente libero.
Una relazione affettiva si vive, non si possiede. I sentimenti si sentono, non si “hanno”.
Capita a un padre di considerare i propri figli come cose proprie, beni propri, persone delle quali disporre. E’ profondamente sbagliato. A volte pensiamo davvero – mi ci metto per primo, ho detto che sono geloso – che quell’aggettivo possessivo usato tanto spesso (“mio figlio”, “il mio bambino”, “la mia famiglia”) significhino davvero un possesso, invece che una genealogia.
Se uno dei miei figli manifesta affetto o si dedica ad altri che non sia io, e io ne soffro, chi ha un problema sono io. I miei figli non mi hanno chiesto di nascere, e tra le mie responsabilità c’è quella di crescerli della libertà dei propri sentimenti. Essere geloso di loro non credo proprio che sia, come si sente dire, una “forma d’amore” o cose del genere. E’ la forma di una mia paura: me ne devo occupare io, non loro.
Allora, quando sento che sono geloso, mi sforzo di interpretare questa emozione come un segnale, un sintomo. Qualcosa mi dice che ho lavorato male quella relazione: o ci ho investito poco, o troppo, o mi aspetto qualcosa che in realtà non è stato liberamente scelto da chi è in relazione con me. Oppure, più semplicemente, devo smetterla di fare la contabilità dei sentimenti. Non sono beni, né valori di scambio.
Mi sembra molto interessante l’ analisi che fai, perché sono un po’ le conclusioni che ho trovato io, cioè che la gelosia è un problema di chi la prova. Di mio non mi sembra di patirne, le mie paure sono altre, magari contigue, come l’ esclusione. Comunque si, quel paio di volte che ho reagito gelosamente mi è stato molto utile cercare di chiarirmi il motivo di quelle sensazioni. E trovo particolarmente importante in questo momento, in cui tanti delitti sembra si vogliano scusare in nome della gelosia come forma di amore, magari sbagliato, ma amore per l’ altra persone, ribadire ovunque e comunque che no. non è amore. E come lo dici tu, che è paura, ecco, lo trovo estremamente chiaro e comprensibile.