Inserimento al nido: il distacco

I pianti di qualche bambino piccolo all’asilo del Vikingo questa mattina e un giro per vari blog di mamme alle prese con il primo giorno di scuola, mi hanno fatto tornare indietro di un paio d’anni, al tempo in cui il Vikingo solcava per la prima volta la soglia del nido, alla tenera età di 1 anno. Fino a quel momento avevo vissuto con lui praticamente 24 ore su 24. Complice il nostro vivere all’estero e i 3000 chilometri di distanza dai nonni, non avevo perso un passo del mio piccolino. Ero li quando si era girato per la prima volta, quando aveva gattonato, quando aveva assaggiato il primo cucchiaino di pappa. Ero sempre stata testimone dei suoi progressi. E sapevo che da quel momento in poi sarebbe cambiato tutto.

E’ inutile negarlo. L’inizio dell’asilo nido segna un momento cruciale nella crescita del bambino, ma soprattutto in quella del genitore. Perché è il momento in cui il bambino viene lasciato nelle mani di estranei per buona parte della giornata, e in cui noi genitori perdiamo interamente il controllo della situazione. E per gente control freak come me, è una specie di dramma interiore con il quale imparare a fare i conti.
Da quel momento in poi il nostro piccolo inizierà tutta una serie di percorsi che lo porteranno a crescere, e lo farà senza il nostro aiuto. Magari inizierà ad usare la forchetta con disinvoltura, a mettersi e togliersi i calzini da solo o imparerà a pedalare con il triciclo. Improvvisamente ci accorgeremo che sa fare qualcosa, ma non sappiamo quando e come lo ha imparato. Di fatto noi non ci saremo li a vivere con lui la sua prima volta. Ed è anche probabile che nessuno se ne accorgerà, tranne il diretto interessato. Tanto che se chiederemo alle educatrici del nido un resoconto della giornata ci risponderà dicendoci quanto e cosa ha mangiato, e se e quanto ha dormito, ma raramente ci sentiremo raccontare di più. E anche se a volte ci verrà detto che ha imparato a bere da solo dal bicchiere, non sapremo mai tutto.

Quando si parla di distacco si tende spesso a concentrarsi sul bambino, sul fatto che improvvisamente non avrà i suoi genitori a dargli supporto, a guidarlo nel gioco e nella crescita. Ma il modo in cui il genitore vive il distacco può pesare tanto quanto quello del bambino nel momento in cui lo lasciamo nelle mani dell’insegnante e ce ne andiamo via cercando di ignorare le sue urla strazianti.

Piccoli gesti quotidiani svolti in modo diverso, un po’ di agitazione che si respira in casa, un sottolineare un paio di volte di troppo che l’asilo è proprio un posto bellissimo, possono comunicare al bambino la nostra irrequietudine, e fargli vivere peggio il momento del distacco.
Mettiamoci una mano sulla coscienza, noi mamme e papà, e pensiamo se veramente siamo pronti noi per primi a lasciarlo andare. Proviamo a fare una lista dei lati positivi e negativi, parliamo dei nostri dubbi e perplessità con altri adulti che magari ci sono già passati. Non facciamo finta di niente.
E se il bimbo ha un anno o più proviamo a dirglielo con onestà. Magari abbracciandolo e spiegandogli che anche noi siamo un po’ tristi la mattina quando lo lasciamo all’asilo. Che anche noi vorremmo stare con lui a giocare tutto il giorno. E che nemmeno a noi fa piacere andare al lavoro. Proviamo ad immaginare insieme dei modi per sentire meno la mancanza l’uno dell’altro. Io chiedo sempre al Vikingo di darmi un abbraccio forte, così forte che potrò portarlo via con me e ricordarmene quando sono triste. Lui in cambio vuole un bacio da mettere in tasca e tirare fuori al momento opportuno. Così ci salutiamo, magari con un nodo alla gola, ma con un’arma da sfoderare quando ne abbiamo bisogno.

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36 thoughts on “Inserimento al nido: il distacco”

  1. direi di si deborah, lo sei stata abbastanza :-). non penso che nessuna mammma voglia di propria volontà lasciare il proprio figlio di pochi mesi al nido; ma, come dici tu, la società ci impone ritmi troppo veloci e chi non può lasciare il lavoro e non ha i nonni “a portata di mano” deve arrangiarsi come può. in alcuni Paesi ci sono i nidi vicino, se non dentro, il posto di lavoro, qui in italia figuriamoci!
    non per questo i genitori che lasciano i bimbi piccoli al nido devono sentirsi in colpa!

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  2. Deborah perché non è “normale”? Io a volte ho l’impressione che abbiamo questa idea della maternità come se tutte le donne avessero avuto sempre il figlio attaccato fino ai 3 anni, mentre non è affatto così. Le donne hanno sempre lavorato, avevano ben più di due figli ciascuna e i bambini stavano molto di più fra bambini, fratelli o amici, di quanto siano adesso in rapporto simbiotico con un singolo adulto. Sinceramente a me è più questa situazione che sembra poco normale.

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  3. “noi” iniziamo l’inserimento tra qualche giorno, Bibo ha quasi 13 mesi…speriamo bene. sono abbondantemente agitata, anche se già da quando aveva 5 mesi (causa rientro a lavoro) lo lasciavo dai nonni, ma non è la stessa cosa.vedremo come andrà, per ora manteniamo la calma 🙂

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  4. Posso fare un intervento provocatorio? Spero di non offendere nessuno, ma io credo, davvero, che non sia mica “normale” lasciare un bambino di neppure un anno al nido per 5 giorni alla settimana. Poi c’ è chi si trova bene, c’è chi anche cresce meglio, per carità. Però io credo fermamente che ci sia davvero la necessità di un contatto ancora molto continuo con la madre. Ove non sia possibile, nei primi anni di vita, meglio i nonni del nido. Che poi spesso sia una necessità, allora giustamente se ne fa virtù, ma ha ben ragione a piangere il pupo. E’ la società moderna che impone dei ritmi che non sono quelli dei bambini così piccoli. E poi, tra l’altro , i bimbi al nido, quando ci vanno davvero presto, s’ammalano tantissimo. E tendono a cronicizzare. Quindi, mamme, dovremo batterci per stare più tempo con i nostri figli (che ne hanno nella vita di tempo da passare a scuola!), più che per l’apertura di nuovi nidi!
    Sono stata abbastanza provocatoria?;)

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  5. Io ho esperienza se pur breve come maestra d’asilo (di inglese, quindi poche ore) e ricordo un bambino che ad ogni provocazione veniva da me a piangere, finché – invece di andare a sgridare gli altri bambini come facevano le altre maestre – gli ho risposto “Difenditi!”. Lui mi ha guardato a bocca aperta e poi… ha messo in pratica. Nel giro di una settimana era completamente cambiato: aveva scoperto che gli piaceva difendersi e visibilmente si divertiva molto di più quando giocava con gli altri bambini. Penso che i maschi siano fortunati perché possono esprimere l’aggressività senza repressioni.

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  6. D. ha iniziato proprio un anno fa, all’età di 9 mesi. L’inserimento è andato molto bene: non ha mai pianto, anche se la prima settimana ha avuto qualche incubo notturno (quando era piccolo erano il suo “segnale” per indicare i cambiamenti.)
    Secondo me ci ha aiutato la decisione di frequentare il nido come scelta educativa (quindi eravamo sereni) e il fatto di creare dei rituali verbali.
    Io tutti i giorni, ancora ora se ce n’è bisogno o se è lui a chiedermene conferma, gli racconto la “scaletta” della sua giornata, e vedo che lui ne è molto rassicurato.
    Lui al nido ci sta proprio bene, alla mattina non vede l’ora di andare dai “bibbi” e spesso quando lo saluto non si gira neanche :O
    L’unico problema al distacco è successo lo scorso inverno: D. veniva accolto, al suo arrivo, dalle sberle di un amichetto un po’ manesco. E subito si aggrappava a me in cerca di aiuto. D’accordo con le educatrici abbiamo stabilito di insegnare a D. a difendersi verbalmente, e le cose sono andate pian pianino migliorando.

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  7. Non ho i nonni vicini, ma nonostante la loro disponibilità a farsi ospitare da me durante la settimana per stare con la bambina, ho preferito mandarla al nido portandola gradualmente ad orario 9-16. Fin da quando aveva due mesi ha sempre mostrato un carattere molto socievole, e ho sempre fatto attenzione ad essere sorridente quando qualche familiare oltre a me la prendeva in braccio.

    Ha iniziato l’anno scorso a 11 mesi. E’ andata molto bene, credo anche perché si è trovata in sintonia con una maestra particolare, a cui si è attaccata e che cerca appena arrivata lì. Ha pianto solo in un paio di occasioni, quando ero malata e non la ho accompagnata io. Adesso dopo la pausa estiva abbiamo ripreso e sembra ricordarsi tutto, devo stare attenta a non sostare sulla porta perché altrimenti ci ripensa e vuole tornare indietro, però… è successo anche che qualche volta, vedendo che veniva via da un posto pieno di bambini che giocavano all’aria aperta, rimanesse ferma al cancello a guardare, e si vedeva che moriva dalla voglia di tornare indietro!

    @ Alessandra, scusate l’OT

    ma d’istinto vorrei risponderti sul fatto che preferisci che sua figlia le prenda e vada a piangere dalla mamma piuttosto che restituirla.

    Capisco che non si ami la violenza ma per la mia personalissima esperienza – che vale quel che vale – educare a non reagire significa allevare delle vittime: ok non dare una sberla ma reagire sì, rispondere almeno a parole. Se insegniamo che l’unica cosa è correre dalla mamma piangendo – perché poi è un comportamento che tenderai a ripetere sempre, che ti lascia indifeso quando la mamma non è più lì con te e allora cercherai la maestra, e poi la professoressa, e insomma sempre qualcun altro che ti difende perché tu non avrai imparato a farlo. Non credo sia la sede per menzionare tutte le implicazioni di questo principio ma credo che sia una cosa molto importante, specialmente per le bambine che diventeranno donne.

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  8. Anch’io inserimento fatto inverno scorso, a1anno, ma ieri rilasciarlo lì dopo le vacanze ha causato effetto koala e urla incredibili. Comunque il primo giorno di distacco (anche noi all’estero, io e lui 24 ore su 24, 365 giorni su 365) fu terribile..credo di aver ianto più di lui, poi per me in realtà si è rivelato subito un grande spazio di libertà (grande relativamente abbiam trovato il nido solo per1giorno e 1/2 a settimana..scarsissimo!!), però ho sofferto un po’ della sua sofferenza perchè per unpaio di mesi e anche di più ha fatto davvero fatica..quando finalmente l’ho visto tornar sorridente e sereno è stata la vera svolta per entrambi!

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  9. 5′ giorno di inserimento e un’ora da solo in sezione. Su 60 minuti ha strillato per 20 mn! E c’è da rallegrarsi, i progressi ci sono stati tutti! E’ straziante, anzi lacerante, anzi di più… Il mio cucciolo ha quasi 8 mesi e in barba alla teoria di Bowlby l’abbiamo portato al nido. Convinti che dopo sarebbe stato peggio, sicuri che sarà presto felicissimo di poter condividere con altri bimbi i suoi spazi, i suoi giochi, i suoi momenti. Certi che l’ingresso in comunità lo porterà via per qualche ora da mamma e papà, restituendogli stimoli importanti… Tanto la mamma è lì, accanto a lui, presente sempre e attenta a rimpinzarlo di coccole al termine della mattinata… Coraggio mamme, coraggio cuccioli, coraggio! Stiamo facendo la scelta giusta!!!

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  10. bisogna “lasciarla/o essere triste in pace” se la/o è nel separarsi da noi, dicevo solo che in quel frangente la/o indebolirebbe ulteriormente se anche noi (Esagero) ci mettessimo a “piangerle/gli sulla spalla”, no?

    A questo punto capisco di essermi spiegata male. Non credo sia il caso di lasciarla triste in pace. Credo sia il caso di riconoscerle il sentimento di tristezza come legittimo. Troppo spesso si verifica che quando il bambino dice che è triste a scuola gli si risponde dicendogli che non c’è motivo per esserlo, che ci sono così tante cose belle da fare li e altri bambini con cui giocare.
    Ecco, io credo che questo sia profondamente sbagliato. Se è triste o meno lo sa il diretto interessato, non lo sappiamo noi. Se lui è triste, magari perché ha nostalgia della mamma è un dato di fatto legittimo, e non è sbagliato ne giusto. Credo che sia compito del genitore dare dei mezzi al bambino per risolvere questa tristezza, perché starsene a piangere in disparte non aiuta nessuno. E sono d’accordo che non aiuta mettersi a piangere con lui. Però aiuta sapere che anche la mamma a volte è triste, e che la mamma sa come gestire i momenti di tristezza per riuscire a sentirsi meglio (e glielo insegna). Questo non lo indebolisce, lo rende più forte (e non parlo solo per averlo letto nei libri, ma lo ho provato personalmente con il Vikingo).
    Spero di essere riuscita a chiarire il concetto. Grazie per aver stuzzicato la discussione 🙂

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  11. Certo che non c’è nulla di male nelle emozioni e che bisogna esprimerle, se non sono (troppo) distruttive verso persone o cose (è difficile riuscire a parlare con generalità assoluta: se a mia figlia un coetaneo dà una sberla e lei la restituisce lo preferisco piuttosto che se la prenda e venga a piangere da me… L’optimum sarebbe che non se la facesse dare proprio… Se invece si arrabbia per una frustrazione, magari “nel suo bene” e pretende di scaricarla picchiando le oppongo un fermo rifiuto…)! e quindi certo che bisogna “lasciarla/o essere triste in pace” se la/o è nel separarsi da noi, dicevo solo che in quel frangente la/o indebolirebbe ulteriormente se anche noi (Esagero) ci mettessimo a “piangerle/gli sulla spalla”, no? Devo aver capito male quel che hai scritto…

    baci

    ps: questa è stata un’estate all’insegna de: “qualunque cosa (di routine) puoi fare da sola non la chiedere a me” e “arrangiati da sola” (e anche “nun me rompe…” e lo so: a volte non sono una signora…). L’eccezione poi c’è stata, se la situazione l’ha richiesto… Però quanto mi sono riposata di più e come siamo andate maggiormente d’accordo!

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  12. Alessandra ovviamente non devi dire a tua figlia che vuoi giocare con lei tutto il giorno se proprio non ne hai voglia 😉
    Non intendevo dire che il bambino deve diventare il nostro confidente nei momenti di tristezza personali. Si rischia di invertire i ruoli genitore-figlio e questo non è certo positivo per la sua crescita.
    Il punto che volevo sottolineare è l’importanza di comunicare al bambino che la tristezza è normalissima. Fargli sapere che ci sono dei momenti in cui si è tristi e non bisogna nascondersi di fronte a questo sentimento. Perchè dovrebbe entrare in confusione sapendo che anche la mamma è triste ogni tanto? Al contrario, gli può dare un po’ di forza sapere che non è l’unico al mondo a sentirsi così e che non c’è nulla di strano. Poi naturalmente bisogna dargli dei mezzi per affrontare e superare il momento di tristezza, altrimenti non va. Noi abbiamo trovato quella del pensiero felice, ma ovviamente ognuno avrà il suo modo, un oggetto di conforto ad esempio. Ma lo sfogo dell’emozione, sia essa positiva o negativa, non dovrebbe mai essere sbagliato.
    Dirgli “non c’è motivo di essere triste all’asilo. Ci sono un sacco di bambini con cui giocare!” potrebbe farlo sentire in colpa per non riuscire a vedere quanto bello sia l’asilo, e gli comunicherà che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in lui.
    Ovviamente ci sono forme di espressione di un’emozione sbagliate, se ad esempio vanno a ferire altre persone o se diventano distruttive invece che costruttive.
    Ma non c’è nulla di sbagliato nell’emozione in quanto tale. Sei daccordo?

    Si, control freak è una persona a cui non piace perdere il controllo su se stessa o sulle situazioni.

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  13. Mah… Non sono d’accordo sul dire al bambino “anch’io sarò un po’ triste…”,non si rischia di mandarlo in confusione? peggio “anch’io vorrei giocare con te tutto il giorno” ma dici sul serio? Già da un annetto o due (Patata ha 7 anni) più di mezz’ora nn reggo e credo sia fisiologico: la loro indipendenza deve viaggiare di pari passo con la nostra, anche per quello si mandano al nido e poi a scuola, no?
    D’accordo che è peggio fare finta di niente che confidarsi, ma ci si confida fra adulti, non con i bambini, tranne rare e circoscritte eccezioni (se ti beccano a piangere, può capitare, non puoi dire “m’è finito qcs nell’occhio” ma “oggi sono un po’ triste (okkio alla spiegazione del motivo: se può essere o non può essere bimbo-compatibile)” Io spesso amia figlia dico “sono cose da grandi e come tu hai le tue cose da piccoli con le tue amiche anch’io ho delle cose mie…”
    Che vuol dire control freak? Che devi controllare tutto?

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  14. Noi l’inserimento al nido di C. l’abbiamo fatto un anno fa…non è stato così traumatico nell’immediato..ma si è portato dietro un pò di conseguenze che sono emerse più tardi…quello che qui vorrei consigliare è di fare l’inserimento il meglio possibile, seguire il consiglio e l’esperienza delle educatrici anche se spesso può sembrare esagerato, e dedicare più tempo e affetto ai figli in quei giorni…un buon inserimento rimane anche per gli anni successivi…eppoi diciamocelo…SANTO ASILO!!!!

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