I diritti dei figli

diritti dei figli

Nell’ambito del tema della pluralità di figli e dei rapporti tra fratelli e sorelle, anche provenienti da diverse situazioni familiari, analizziamo quali sono i diritti, in particolare patrimoniali, dei figli nei confronti dei loro genitori.

Il principio essenziale del nostro ordinamento è che i figli sono tutti uguali tra loro e sono riconosciuti loro pari diritti. Quindi non vi è alcuna differenza tra figli nati nel matrimonio e figli nati al di fuori, intendendo per questi ultimi sia i figi nati nell’ambito di una convivenza more uxorio, sia quelli nati da una relazione che non comporti convivenza tra i genitori.
I figli, dunque, hanno pari diritti successori nei confronti nei genitori, ma hanno pari diritti anche in vita dei genitori, in particolare il diritto di essere cresciuti, mantenuti, istruiti ed educati dai genitori (art. 30 Costituzione), fino alla loro indipendenza economica, secondo le loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni (art. 147 c.c.).

Chiariamo prima di tutto il significato della terminologia giuridica:
figli legittimi: sono i figli nati in costanza di matrimonio
figli naturali: sono quelli nati da genitori non sposati, quindi i figli dei conviventi ed i figli nati da relazioni che prescindono dalla convivenza tra i genitori. In caso di matrimonio dei genitori successivo alla nascita, il figlio diviene legittimo.
figli riconosciuti: sono i figli naturali per i quali i genitori hanno posto in essere un atto formale di riconoscimento, ovvero la dichiarazione di essere genitore del bambino. Tale riconoscimento si fa nell’atto di nascita, ma può essere fatto anche prima, quando è già avvenuto il concepimento, innanzi ad un ufficiale dello stato civile o al giudice tutelare, oppure dopo la nascita in un atto pubblico o in un testamento. Possono riconoscere i figli naturali anche le persone sposate (quindi si possono riconoscere i figli nati da una relazione extraconiugale oppure da una persona che si è separata dal coniuge solo di fatto) ed il riconoscimento è un atto che deve essere compiuto anche dalla madre e non solo dal padre (quindi la madre può non riconoscere il figlio).
Se un genitore non ha riconosciuto un figlio, il figlio stesso di ricognizione di paternità/maternità per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.

Distinguiamo, ora, le diverse situazioni
FIGLI LEGITTIMI (nati nell’ambito del matrimonio).
Diritti successori: i figli, come il coniuge, sono eredi legittimari. I legittimari: sono quei soggetti a cui la legge riserva una quota di eredità, in virtù del vincolo di parentela che li lega al defunto. I figli ereditano quindi il patrimonio del loro genitore anche e soprattutto in assenza di testamento.
In presenza di un figlio e del coniuge superstite, il patrimonio sarà diviso a metà tra questi, ma se vi è una disposizione testamentaria a favore di terzi, la quota riservata al coniuge ed al figlio sarà di un terzo ciascuno del patrimonio.
In presenza di più figli e del coniuge superstite, quest’ultimo erediterà un terzo del patrimonio ed i figli divideranno in parti uguali i restanti due terzi. In caso di disposizione testamentaria in favore di terzi (soggetti diversi dai figli e dal coniuge), il defunto testatore potrà disporre di una quota del suo patrimonio pari ad un quarto (c.d. quota disponibile), non di più: la metà di quanto possiede in beni mobili o immobili (costituenti la c.d. quota legittima indisponibile), deve essere destinato ai figi ed un ulteriore quarto al coniuge.
Diritti patrimoniali in vita dei genitori: i figli hanno diritto di essere mantenuti, cresciuti ed educati da entrambi i loro genitori, secondo le possibilità familiari e nel rispetto delle loro inclinazioni. E’ quindi dovere dei genitori non solo sostentare i figli, ma provvedere anche alle loro esigenze affettive e mantenerli in una situazione economica adeguata a quella del tenore di vita familiare, in relazione alle loro possibilità, fino a quando i figli non diventino autosufficienti. Questo momento non può certo essere identificato con la maggiore età, ma con la concreta indipendenza ed autosufficienza economica. E’ più che evidente che questo momento oggi si è spostato sempre più avanti nel tempo a causa delle crescenti difficoltà di collocazione lavorativa stabile dei giovani. Infatti il momento in cui un genitore può legittimamente smettere di mantenere un figlio, non può più neanche identificarsi con il termine degli studi, che siano superiori o universitari. Questa è comunque una materia in cui non può identificarsi un limite temporale prestabilito: la legge non obbliga un genitore a mantenere un figlio che eviti di impegnarsi in qualsiasi lavoro anche dopo molto tempo dalla fine degli studi, così come non lo obbliga a mantenere un figlio che prolunghi i suoi studi per un tempo irragionevole.
Diritti in caso di separazione: in caso di separazione personale dei coniugi e poi di successivo divorzio, il diritto dei figli ad essere mantenuti da entrambi i genitori, in modo commisurato alle loro possibilità economiche permane inalterato, come in costanza di matrimonio. Per questo motivo il coniuge non affidatario dei figli, o meglio, oggi non “collocatario” dei figli, dato che l’affidamento dovrebbe essere generalmente congiunto, deve provvedere a concorrere al loro mantenimento, normalmente con un assegno mensile da corrispondere all’altro coniuge. L’assegno è versato per i figli, ma non direttamente a questi, poiché è il genitore che li ha con sè che deve provvedere al loro concreto mantenimento. Questo valeva anche dopo la maggiore età dei figli, se rimanevano in casa. Oggi la riforma del 2006 sembrerebbe aver “normalizzato” il pagamento diretto al figlio maggiorenne, anche se è una norma che (forse giustamente) fatica ad entrare nell’uso e viene spesso disattesa.
L’assegnazione della casa coniugale, poi, segue normalmente la collocazione dei figli: quindi la casa è lasciata al coniugi che avrà con sé i figli, proprio perchè è tutelato il loro diritto di non cambiare, per quanto possibile, le loro abitudini di vita e la loro tranquillità domestica. Tutte le norme sulla separazione dei coniugi, infatti, quando ci sono figli, sono sempre orientate alla loro tutela. E proprio a rafforzare questa tutela tendeva l’ultima riforma del 2006: i giudici, in ogni decisione, devono sempre orientarsi al “superiore interesse dei figli”.
-competenza per affidamento e mantenimento. Il Tribunale ordinario (civile) ed in particolare il Presidente (o il Giudice che assume tale funzione) è competente per tutte le decisioni in materia di affidamento, collocamento e mantenimento dei figli, in sede di causa per la separazione personale dei coniugi. Anche in caso di separazione giudiziale, infatti, è prevista una prima udienza (c.d. presidenziale), in cui il Giudice stabilirà prima di tutto dell’affidamento e del mantenimento dei figli, anche se in modo provvisorio che andrà poi confermato o modificato all’esito finale della causa di separazione. In caso di separazione consensuale, invece, tale udienza esaurisce il procedimento e “omologa” gli accordi dei coniugi.

FIGLI NATURALI RICONOSCIUTI
Diritti successori: i figli nati in una convivenza o al di fuori di questa e riconosciuti dai genitori, hanno diritti di successione del tutto identici a quelli dei figli legittimi, anche se i genitori abbiano altri figli nati da precedenti o successivi matrimoni. Sono pertanto eredi legittimari. Unica differenza con eventuali figli legittimi dello stesso genitore, è che questi ultimi possono, in sede di successione, esercitare il c.d. diritto di commutazione: possono soddisfare in denaro o beni immobili ereditari la porzione del fratello, estromettendolo dalla comunione ereditaria.
Diritti patrimoniali in vita dei genitori. Anche in questo caso i diritti sono identici a quelli di figli legittimi. Questo è evidente e normalmente praticato in caso di figli nati in una stabile convivenza. E’ invece molto più difficoltoso, nella pratica, quando il figlio nasce al di fuori di un rapporto stabile tra i genitori, dato che troppo spesso in questi casi viene cresciuto esclusivamente dalla madre (inutile qui parlare di “un genitore”, dato che praticamente la totalità dei casi di bambini nati al di fuori di un rapporto stabile viene cresciuto dalla mamma). Sono questi i casi in cui dovrà intervenire il Tribunale secondo le competenze sotto descritte.
Diritti in caso di cessazione della convivenza: Come per la separazione dei genitori tra loro sposati, anche in questo caso i diritti dei figli nei confronti di entrambi i genitori rimangono inalterati anche quando cessa la convivenza, sia in merito al mantenimento che alla frequentazione. In mancanza di accordo tra i genitori, provvederà il Tribunale secondo le modalità e competenze di seguito indicate.
– competenza per affidamento e mantenimento. Su tutte le questioni relative all’affidamento di un minore in caso di genitori tra loro non sposati e non conviventi, o per cessazione di una convivenza stabile o perchè non hanno mai convissuto, decide il Tribunale per i Minorenni, su ricorso del genitore che abbia interesse alla sua pronuncia. In questo caso lo stesso tribunale può decidere in merito agli obblighi di mantenimento del bambino. Se invece i genitori non intendano sollevare il problema dell’affidamento, perchè non è questione discussa tra loro o già risolta con precedenti pronunce del Tribunale per i Minorenni, e si debba ricorrere al Tribunale solo perchè stabilisca modalità ed entità del mantenimento da parte del genitore non convivente con i bambini, sarà competente il Tribunale ordinario (civile), sempre su ricorso del genitore che vi abbia interesse.

I figli non riconosciuti acquisiranno diritti nei confronti dei genitori solo con il riconoscimento o con la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.

L’art. 570 del codice penale, infine, prevede come ipotesi di reato il comportamento di chi si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, in particolare facendo mancare i mezzi di sussistenza ai figli (se minorenni il reato è perseguibile d’ufficio).

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673 thoughts on “I diritti dei figli”

  1. Sono una donna di 37 anni,figlia unica di una famiglia della quale è rimasta solo mia madre,sto per trasferirmi all’estero per motivi coniugali e mia madre anziana non è daccordo con la mia scelta,dice che un domani,qualora dovesse avere bisogno vende tutta la casa di nostra proprietà per il suo mantenimento nella futura malattia (anche se io non le ho negato la mia assistenza un domani che dovesse averne bisogno),dicendo che vuole disconoscermi come figlia….a prescindere dalle frasi dette in momenti di mancanza di lucidità,ha il diritto di vendere?anche se ancora in salute?anche se percepisce una buona pensione di reversibilità?anche la mia quota?
    Grazie per le informazioni.

    • dora, se tua madre è proprietaria della casa al 100% può farne ciò che vuole e quando vuole. se tu sei proprietaria di un’eventuale quota ereditata da tua padre, ovviamente non può vendere se non siete d’accordo entrambe (a meno che non venda una quota indivisa del 50% dell’immobile che, però, commercialmente non ha gran valore).

  2. Ciao, spero di essere aiutata a schiarirmi le idee.
    Sono madre di una ragazza di 19 anni, nata da una relazione di 5 anni con uomo che all’epoca era legalmente separato e padre di altri 2 figli.Dopo 2 anni dalla nascita di mia figlia ci siamo lasciati. Lui ha smesso di essere “Padre” di nostra figlia e non ha mai accettato di riconoscerla per paura che i suoi precedenti figli gli voltassero le spalle. Nel frattempo mia figlia è cresciuta, verso i 15 anni ha manifestato la voglia di conoscere il padre ed io l’ho accompagnata nella città dove vive e così lui ha cominciato ad instaurare un piccolo, ma sterile rapporto con la figlia. Nel corso degli anni lui si è risposato e riseparato dalla II° moglie, quindi mi aveva proposto di ritornare nella sua città, sposarlo e lui avrebbe riconosciuto la figlia. Naturalmente sia io che mia figlia siamo letteralmente scappate via. Oggi mia figlia vuole chiedere il riconoscimento di paternità e naturalmente tutto quello che le spetta sia per mantenimento che la sua parte del patrimonio paterno e facendo qualche indagine abbiamo scoperto che lui ha dato tutto ai 2 figli precedenti…non so che tipo di contratto è stato stipulato, nè se lo poteva fare, anche perchè tutti erano a conoscenza dell’esistenza di mia figlia: la ex moglie, madre dei primi 2 figli;i suoi figli;i suoi parenti e anche il suo avvocato che all’epoca ho conosciuto anche io.In ogni caso ho prove che sapessero di mia figlia.
    Ti premetto che era unico titolare di un’azienda e proprietario unico anche dell’immobile dell’azienda stessa. So questo per certo in quanto aveva stipulato il contratto di acquisto negli anni in cui stavamo insieme.
    La mia domanda è: si può fare qualcosa e cosa perchè mia figlia abbia quello che le spetta?

    • M.Rosa, tutto sta a capire in che modo ha trasferito le proprietà ai figli. Come minimo cii saranno da sostenere due procedimenti: uno per la ricognizione di paternità e poi uno, in futuro, alla morte, per il riconoscimento di eventuali simulazioni nelle vendite degli immobili.
      Sicuramente vi serve una consulenza specifica di un legale.

  3. Carissima Silvia,
    proseguo da dove l’ho lasciata, per darle il seguito della mia vicenda e chiederle altre delucidazioni al riguardo.
    Parlo del mio ex che voleva lasciare da solo nostro figlio a casa mia per avere il lunedì di pasqua libero.
    Il giorno in questione non mi sono recata a casa, ma ho incaricato una vicina di verificare se mio figlio era davvero stato abbandonato. Così lei si è recata in diversi momenti alla mia porta, dove ha suonato senza ottenere risposta.
    Avendo anche le mie chiavi di scorta è entrata (quando non ci sono mi fa il piacere di dare cibo alla gatta) ma non c’era nessuno. In seguito ho chiamato mio figlio ed ho avuto conferma che in effetti il mio ex marito lo aveva portato alla mia abitazione ma poi, vedendo che non c’ero, se l’era riportato a casa sua – dove era giusto che stesse -. Durante la telefonata però il tono del ragazzo era molto aggressivo, ed evidentemente manipolato dal padre si è arrabbiato con me per non averlo voluto, chiedendomene le ragioni.
    Con calma gli ho spiegato la situazione, ma non ha voluto credermi e mi ha messo giù il telefono.
    Oggi doveva rientrare da me, ma non l’ha fatto, dicendomi che vuole stare dal padre fino a domani perchè non ha voglia di vedermi dopo quello che gli ho fatto.
    Sono rimasta molto male, perchè la verità è completamente diversa ed ho chiamato un’amica per sfogarmi. Lei mi ha offerto di andarla a trovare nel tardo pomeriggio per stare a cena e tirarmi un pò su il morale.
    Ma a questo punto mi è sorto un dubbio … non è che il padre stia tentando di creare una situazione che potrebbe andare a mio danno, e cioè, quando meno me l’aspetto oggi venire a riportarmi il figlio per poi dire che non mi ha trovata in casa?
    Siccome lo conosco ed è nel suo stile ribaltare le cose e affibbiarmi le sue colpe, non sarebbe improbabile.
    In definitiva Le chiedo se in questo caso rischierei qualcosa dal momento che l’accordo è stato solo telefonico e non ho prove che dimostrino il contrario.
    Non è comunque un problema per me restare in casa tutta la sera, solo che mi sento un pò agli “arresti domiciliari” e sono arrabbiata per questo.
    Tenuto conto che dovrei anche andare a fare la spesa …
    Grazie infinite
    Stefania

    • Mi dispiace stefania, sono arrivata tardi.
      Vista la piega che stanno prendendo i fatti, giusto essere cauti. Potresti chiedere di formalizzare i cambiamenti di giorni quanto meno con un’email, tanto per avere traccia degli accordi verbali in genere.
      Per il resto, poi, cerca solo di far stare tranquillo tuo figlio e di spiegargli che ci sei.

  4. Grazie mille!!
    E’ vero che la potestà dei genitori, ai sensi degli artt. 316 e ss. cod. civ., deve essere esercitata “di comune accordo”. Ma opporsi ad una cosa del genere sarebbe realmete assurdo. Il Tribunale non potrebbe che dare ragione a mia sorella. grazie ancora

  5. Giosuè, da quello che posso capire nessuna pronuncia sull’affidamento dei bambini c’è mai stata, quindi andrebbero considerati come se fossero affidati ad entrambi i genitori e dunque tua sorella ha giustamente comunicato al padre l’intenzione di mandare il piccolo al nido.
    Dato che la scelta di mandare il bambino al nido non è certo nè strana, nè assurda, non si capisce quali ragioni dovrebbe opporre il padre: sicuramente dovrebbero essere ragioni ben valide se portate davanti ad un tribunale!
    Tua sorella potrebbe comunicare per scritto la decisione di mandare il bambino al nido (indicando i motivi, che saranno validissimi), il nome e l’ubicazione della struttura ed il costo mensile (al quale immagino il padre dovrà contribuire). A questo punto attendesse risposta: che dovrà essere sostenuta da solide ragioni. Forse il padre decide di pagare tutto di sua tasca una tata? Forse si offre di tenere lui il figlio per l’orario di lavoro della madre? Forse conosce un buon nido ad un prezzo migliore?
    Insomma, è ovvio che, eventualmente sarà il padre a dover ricorrere al tribunale per i minorenni per impedire a tua sorella di portare il bimbo al nido, ma dovrà anche sfoderare delle ragioni ineccepibili!

  6. Buona sera. Mia sorella ha 2 bimbi di 4 e 2 anni nati da una convivenza con una persona. Il primo dei miei nipoti va a scuola. L’altro, quello più piccolo, dovrebbe iniziare a settembre l’asilo nido. Il padre, che lo ha riconosciuto, si è opposto. Come fare? Quali sono i suoi diritti e quelli di mia sorella? Occorre un ricorso al tribunale dei minorenni?

    Grazie

  7. Lorena, è evidente che la situazione economica del tuo compagno è cambiata molto dal momento della separazione, quindi ogni richiesta nel senso che tu indichi è possibile: se le condizioni ora lo richiedono e la casa va venduta per sopravvivenza, trovando una soluzione adeguata per la moglie ed il figlio, sarebbe una strada percorribile.
    Certo, se non c’è collaborazione dall’altra parte, è possibile inserire tutte queste richieste (compresa una diminuzione dell’assegno di mantenimento) in un ricorso per divorzio giudiziale.
    Ovviamente avete bisogno di essere seguiti da un avvocato che analizzi la situazione nello specifico e valuti le strade percorribili in concreto.

  8. Ciao Silvia spero tanto che tu possa aiutarmi e grazie prima di tutto per il tuo tempo , la mia situazione e questa, il mio compagno e separato da sua moglie circa 5 anni loro anno un figlio de 6 anni e mezzo ,al momento de la separazione a lei e rimasta la casa di propieta del mio compagno che pagano ei suoi genitori e un mantenimento del bimbo circa 500 euro in piu tutte le spese ,ma lui e da un pò che non lavora y deve cmq pagare tutto ciò , lei lavora è nn vuole dividere le spese , adesso noi abbiamo un bimbo de 5 mesi e conviviamo da 4 anni e in più è arrivato anche lo sfratto di casa perche non abbiamo soldi per pagare l affito . lui a chiesto il divorzio più l affidamento congiunto è la vendita di quella casa gia que non puo mantenere tutti e come ho detto prima lei lavora. Volevo sapere sè nostro figlio a diritto anche lui a quella casa è si e possibile venderla è diverderla fra ei due bambini.Già que lei non vuole fare niente è non vuole darli ne anche el divorzio è possibile que questa donna possa avvere sempre ciò che vuole ? o cmq abbiamo qualche speranza ?
    grazie , scusa il mio italiano gia che sono straniera

  9. Nicoletta, al di la del problema più profondo che, immagino, ti crei seria preoccupazione, mi limito a risponderti sulla questione strettamente giuridica.
    Tua figlia ha 22 anni e si è allontanata da casa (dalla quale non l’hai certo spinta tu ad andare via) di sua spontanea volontà. Non studia (si suppone) e se anche fosse iscritta all’università, dovrebbe provare una sua reale frequenza e l’ottenimento di risultati, se no l’iscrizione risulterebbe facilmente strumentale. Non abita nè con te, nè con il padre anche se ne avrebbe la possibilità. Conduce una vita sregolata.
    A che titolo può pretendere questo mantenimento da te?
    Se dovesse avanzare qualche richiesta giudiziale in tal senso, tu potrai validamente resistere proprio dimostrando che ogni forma di aiuto (terapie, comunità, ecc.) è stata rifiutata, che non segue regolarmente gli studi e che non si impegna nella ricerca di un’occupazione.

  10. Carissima Silvia,
    mi permetto di sottoporti il mio caso che è un pò particolare…
    Mia figlia di 22 anni soffre purtroppo da 5 di bulimia che l’ha portata progressivamente a manifestare anche problemi comportamental con atteggiamenti autolesionisti ed isterici, dipendenza da alcolici, grosse difficoltà relaizonali e crisi di panico.
    Per questo motivo l’ho sempre seguita e fino a che me l’ha permesso fatta supportare da una psicologa per vedere di aiutarla a guarire.E’ stata con me per 9 anni consecutivi, rifiutandosi di recarsi dal padre nei weekend previsti. Questa situazione non è mai stata regolamentata legalmente per mio volere, pensando di dare una possibilità di recupero del rapporto tra padre e figlia qual’ora uno dei due lo avesse voluto, senza dare loro altre complicazioni giudiziarie.
    Nel maggio 2009, mia figlia ha manifestato il desiderio di vivere con un’amica e di staccarsi da me, sia per motivi di studio (università), sia a detta sua per alleggerirmi da una situazione altamente problematica.
    Mi sono consultata con la psicologa di turno, che mi ha fatto notare l’opportunità di guarigione intrinseca a questa scelta che per questo vedeva positiva.
    Nel frattempo, a fatica e grazie al mio sostegno è riuscita a conseguire il diploma di maturità e ad iscriversi all’università.
    Per manenerla nell’appartamento le ho versato da maggio 300 euro sul suo conto corrente, anche se la sentenza di divorzio contemplava il solo versamento di altrettanto denaro da parte del padre, consapevole che era necessario un mio sostegno economico oltre che doveroso.
    Però verso fine anno, la situazione è andata progressivamente peggiorando, a partire da quando mi sono accorta che mia figlia esasperava i suoi problemi attuando comportamenti esagerati invece di impegnarsi a tenere sotto controllo le sue problematiche ed a frequentare gli specialisti che la seguivano.
    L’ho quindi sollecitata con fermezza a impegnarsi per guarire, contattando una psicologa per avere indirizzi di cliniche valide specializzate nel campo.
    Questo l’ha fatta molto arrabbiare, se n’è andata dal padre, ha lasciato l’appartamento e litigato con l’amica, sospendendo le lezioni universitarie. Dopo un tentativo di suicidio il padre l’ha messa in una comunità da dove è fuggita.
    Nel frattempo mia figlia si rifiutava di parlare con me, cambiando per questo anche numero di cellulare. Stesso comportamento hanno avuto il padre ed il fratello che si sono alleati con lei.
    Non ho avuto sue notizie per molto tempo, fino a che si è fatta risentire pretendendo un mantenimento da parte mia per pagare un’altro appartamento.
    Le sue telefonate sono sempre state molto offensive, ingiuriose e minacciose, così come molti sms che mi ha inviato e che ho conservato.
    Mi sono rifiutata di darle denaro fino a che non si impegni seriamente almeno per guarire, dandole tutto il mio sostegno per trovare il posto più adatto a questo.
    Specifico che al momento vive ospite da amici, vagabondando a destra a sinistra ovviamente peggiorando il suo rapporto con l’alcool e ogni problematica.
    Volevo sapere concludendo, al di là del fatto che la sentenza non parla di mantenimento da parte mia, se posso mantenere questa posizione visto che utilizzerebbe il denaro per adagiarsi nella situazione in cui si trova, se oltre ai miei doveri nei suoi confronti dei quali sono ben consapevole, anche lei ne abbia qualcuno rispetto a me e se sono obbligata comunque a versarle dei soldi sul conto nel caso lei mi facesse causa.
    Attualmente non so dove si trovi e non ho più contatti telefonici con lei.
    Grazie
    Nicoletta

  11. Buonasera.
    E’ accaduto che il mio ex oggi mi ha minacciata di abbandonare nostro figlio (ha 14 anni e mezzo e soffre di epilessia) a casa mia domani mattina alle ore 10 (lunedì dell’Angelo)per avere un giorno di ferie, e di lasciarlo da solo tutto il giorno e tutta la notte se non rientro da dove mi trovo(sono andata da amici perchè erano i miei giorni liberi)per riprenderlo martedì mattina presto.
    Questo affermando che è un suo “diritto”, proclamato anche nella sentenza.
    In realtà nella stessa questa possibilità non è minimamente prevista, perchè avendo lui al tempo richiesto l’affido congiunto e/o la possibilità di tenere sempre presso di sè il figlio, aveva ottenuto larghi diritti di visita, tra cui un weekend lungo ogni mese – dal venerdì sera al giovedì mattina della sett.successiva – (che è in effetti quello che mio figlio sta passando da lui durante questi giorni ) oltre al mese di giugno, una parte del mese di settembre, 15 giorni in senso stretto in estate e metà delle feste di pasqua e Natale in modo da poterlo avere più tempo.
    Quindi se Natale e Pasqua capitano in giorni che il ragazzo è con me, deve tenerlo per la metà della vacanza.In questo caso specifico è accaduto che Pasqua rientra nel suo weekend lungo.
    Le chiedo come posso difendermi se questi comportamenti dovessero ripetersi ancora e come o se lui deve rispondere di fronte alla legge per aver lasciato da solo il figlio quando sono assente (nei giorni in cui lo stesso è con lui ovviamente), intimandomi al rientro forzato per diritti che lui vanta ma non sono previsti dalla sentenza definitiva.
    E’ ovvio che sono costretta a rientrare visto che il ragazzo soffre di un’epilessia particolarmente grave.
    Grazie
    Stefania

    • Stefania, ovviamente sei costretta a rientrare per il bene di tuo figlio. E questo, purtroppo, è fuor di dubbio.
      Potresti procedere prima di tutto in un modo un po’ blando, ma che comunque ti potrebbe costituire una prova dell’accaduto: inviargli una diffida stragiudiziale ad astenersi in futuro da comportamenti tanto gravi (descrivendo per bene cosa ha fatto e perchè era illegittimo) da mettere in pericolo l’incolumità di vostro figlio.
      Una forma di tutela più incisiva sarebbe quella di fargli lasciare solo davvero vostro figlio e poi denunciarlo penalmente: ma purtroppo non credo che vorrai mettere a repentaglio la salute di tuo figlio per “far pagare” il tuo ex.
      Dopo la diffida potresti chiedere una modifica delle condizioni di separazione in modo che siano più precise (addirittura con il dettaglio giorno per giorno), ma resterebbe sempre il problema che lui può decidere di punto in bianco di lasciarlo a casa e andarsene. In questo caso resta davvero solo la denuncia penale.

  12. Ciao Silvia spero tanto che tu possa aiutarmi e grazie prima di tutto per il tuo tempo , la mia situazione e cuesta, il mio compagno e separato da sua moglie circa 5 anni loro anno un figlio de 6 anni e mezzo ,al momento de la separazione a lei e rimasta la casa di propieta del mio compagno che pagano ei suoi genitori e un mantenimento del bimbo circa 500 euro in piu tutte le spese ,ma lui e da un pò che non lavora y deve cmq pagare tutto ciò , lei lavora è nn vuole dividere le spese , adesso noi abbiamo un bimbo de 5 mesi e conviviamo da 4 anni e in più è arrivato anche lo sfratto di casa perche non abbiamo soldi per pagare l affito . lui a chiesto il divorzio più l affidamento congiunto è la vendita di quella casa gia que non puo mantenere tutti e come ho detto prima lei lavora. Volevo sapere sè nostro figlio a diritto anche lui a quella casa è si e possibile venderla è diverderla fra ei due bambini.Già que lei non vuole fare niente è non vuole darli ne anche el divorzio è possibile que questa donna possa avvere sempre ciò che vuole ? o cmq abbiamo qualche speranza ?
    grazie a scusa il mio italiano gia che sono straniera .

  13. Buongiorno Silvia,
    ti scrivo per conto di due amici che hanno la seguente situazione.
    Il padre è morto circa tre anni fa e lui ed il fratello hanno diviso tra loro l’eredità del padre.
    Dopo circa un anno dalla morte del padre, si è presentata tramite una lettera di un avvocato una signora che sostiene di essere figlia di una storia precedente (mai riconosciuta dal padre e mai da lui menzionata con i suoi figli fino alla sua morte).
    Se prima della fine delle varie cause i due fratelli avessero bisogno di vendere tutto o parte dell’eredità che cosa potrebbe accadere se fosse veramente una “figlia” che si è ricordata solo ora di avere un padre e due fratelli?
    La madre dei ragazzi, che non si è sposata con il padre e che non ha partecipato alla divisione per sua volontà, potrebbe avere diritti in virtù di un eventuale nuova divisione?
    GRAZIE

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