Divisione delle spese in famiglia: una dichiarazione di rispetto

economica-famiglia2Quando mi sono trasferita in Svezia, quasi 14 anni fa ci sono stati tantissimi cambiamenti nella mia vita personale, al di là di quelli ovvi che comporta la scelta di andare a vivere all’estero.
Il trasferimento ha coinciso infatti anche con il mio uscire da casa dei miei genitori, avere uno stipendio mio, e convivere con il mio ragazzo. Questo ci ha portato molto rapidamente a dover decidere come gestire i soldi. Ci siamo guardati intorno e abbiamo scoperto che c’è un abisso tra il modo svedese e quello tipicamente italiano.

Un giorno ho letto sul quotidiano svedese il calcolo dettagliato del costo di un figlio, con lo scopo di sapere con quanti soldi un figlio debba contribuire alle spese famigliari una volta raggiunta la maggiore età. Lo schema calcolava la spesa per l’utilizzo della casa, la spesa per il cibo (con variazione tra maschi e femmine dovute alle diverse esigenze in calorie), e le spese delle utenze (internet, telefono, luce). C’è anche il sito dell’associazione dei consumatori che aiuta a fare il calcolo esatto. Si, sono saltata dalla sedia.

Mi ricordo un amico conosciuto durante gli anni di dottorato che mi raccontava di come avessero deciso di fare un viaggio di famiglia, con genitori e fratelli, e di come ognuno si pagasse la sua parte di viaggio, incluso biglietto e albergo. Si, mi è sembrato un po’ strano, nonostante il mio amico avesse 26 anni e vivesse da solo, mi ha stonato con il suo essere studente e quindi necessariamente “povero”. Per lui invece era assolutamente normale e ovvio: “non sarebbe giusto che loro pagassero per tutti!”
Poi ho vissuto in Svezia abbastanza a lungo per iniziare a capire di più la situazione. E’ una di quelle faccende che ci vuole un po’ di tempo a digerire per arrivare ad apprezzarne i punti di forza. Per gli svedesi l’indipendenza economica degli individui è irrinunciabile. Se riesci a cavartela economicamente vuol dire che sei un adulto, responsabile, e che sai badare a te stesso. Un ragazzo di vent’anni che va a vivere da solo, se non riesce ad arrivare a fine mese, chiede aiuto economico agli amici piuttosto che ai genitori. E se fosse costretto a farlo, ne sarebbe molto imbarazzato. Ovviamente sto parlando a grandi linee, e sono certa che ci sono famiglie svedesi, e non sono poche, in cui le cose funzionano diversamente, ma questa è la cultura diffusa, e non a caso l’articolo sul giornale riportava quel calcolo dettagliato.

Quando si arriva a discutere la divisione economica in una coppia in Svezia raramente si arriva alla condivisione totale, come invece penso sia la cosa più normale e diffusa in Italia. Le soluzioni però non sono necessariamente uniche, e ho imparato che ci sono tante soluzioni quante le famiglie, e la scelta di seguire un metodo piuttosto che un altro dipende dal modo di relazionarsi ai soldi degli individui che compongono la coppia, dalla parità o disparità economica di partenza, e ovviamente da quanti soldi ci sono in famiglia tolte le spese indispensabili.

Se la gestione economica non viene discussa nella coppia, e ancora di più nel momento in cui arrivano i figli, si corre il rischio che la scoperta della mancanza di un’intesa da questo punto di vista possa influire pesantemente sulla relazione. Chi in preda all’amore, all’ormone, o alla voglia di sognare decide infatti di non affrontare il discorso potrebbe ricevere una doccia fredda. E’ tutto necessariamente molto bello all’inizio: i soldi miei sono i tuoi, si compra tutto quello di cui abbiamo bisogno insieme, e ci si fanno regali personali o a vicenda senza battere ciglio. Ah l’Amour! Non sentite anche voi il romanticismo in tutto ciò? Poi iniziano inevitabilmente le discussioni, a meno di avere risorse economiche infinite infatti, l’ultimo gadget elettronico comprato da lui(?) va a pesare molto quando lei non può pagarsi il corso di Yoga. L’ennesimo paio di scarpe, o il nuovo paio di occhiali, o i soldi per le vacanze che non ci sono perché “tu hai voluto comprare una macchina nuova quando quella vecchia andava ancora benissimo”. I dissapori crescono, e non abbiamo ancora considerato le esigenze economiche di eventuali bambini.
No, scusate, mi correggo, non è necessario che tutto ciò avvenga. In molte coppie infatti questa condivisione funziona perfettamente, le grandi e medie spese estemporanee si discutono insieme e si arriva ad un accordo. Insomma la condivisione dei soldi funziona nelle coppie in cui c’è intesa, si ha lo stesso modo di gestire il denaro, e gli si dà lo stesso peso.
Con intesa economica intendo dire che ci si riesce a mettere d’accordo sulla gestione delle spese (SKY è una spesa necessaria o no?), le utenze (non spegni mai la luce in camera!), il cibo (ma è veramente necessario comprare tutto biologico?). Trovare un accordo su cosa rientra nelle necessità, e cosa è un lusso (il quinto paio di scarpe? Il navigatore per la macchina? Abbigliamento di marca?).

A volte l’intesa manca, non perché non ci sia una condivisione di valori, ma perché c’è una cultura del denaro diversa, o ci si portano dietro abitudini famigliari diverse, o si viene da classi sociali diverse. Questo non ha molto a che fare con l’amore. Si può essere innamorati, o avere una intesa di coppia perfetta su tutto il resto, ma non sul denaro.
A volte uno dei due non ha soldi personali, o ne ha molto pochi, e si trova a dover pagare quasi tutto il suo stipendio, e a non potersi permettere nessuno sfizio. Alcune (soprattutto donne) arrivano a dover chiedere soldi al marito per potersi permettere un vestito nuovo, o una cena con le amiche. E questo può essere molto umiliante.
Qualsiasi sia il motivo, ho imparato dagli svedesi che se si crede nell’indipendenza economica dell’individuo prima di tutto, è più facile gestire la faccenda proprio nelle occasioni in cui manca l’intesa, o in cui c’è una grande disparità economica. Il garantire o concedere l’indipendenza economica è una dichiarazione di rispetto nei confronti del partner.

Come si fa a preservare l’indipendenza economica degli individui in una coppia o in una famiglia?
Nell’analisi che segue prendo ad esempio la famiglia Pincopallo, che vive nella città di Vattelappesca. Entrambi lavorano, e Lei guadagna 2000 pepite d’oro al mese, mentre Lui ne guadagna la metà (perché così funziona a Vattelappesca di solito). Lei e Lui hanno 2 figli piccoli, Pinco e Pallo.

Il primo step è quello scientifico di una stima delle spese comuni che esistono. Questo è tra l’altro un ottimo esercizio per analizzare eventuali voci di spesa eliminabili o sulle quali si può lavorare per diminuirle. E infatti Lei e Lui Pincopallo fanno i conti per benino, considerano il mutuo o affitto, spesa per il cibo, vestiti per i bimbi, spese per la scuola, spese mediche, assicurazioni, spese vive della macchina, tasse, e lasciano fuori solo i vestiti personali a parte quelli per i bambini.
Si può discutere se l’acquisto di vestiario per gli adulti sia una voce comune oppure no, Lei e Lui Pincopallo preferiscono non includerla nelle spese comuni, perché Lui ama comprare vestiti di marca in grande quantità, mentre Lei si veste con jeans e maglietta tutti i giorni spendendo molto meno di Lui.
Una volta stabilito quanto si vuole o si deve spendere mensilmente, si può aggiungere una percentuale per avere un buffer, ammesso che il totale sia inferiore alla somma dei due stipendi. Altrimenti potete purtroppo tranquillamente smettere di leggere questo post.
Lei e Lui Pincopallo calcolano che le spese comuni mensili ammontano a 2000 pepite d’oro.

Il secondo step prevede una riflessione quasi filosofica e pone Pinco e Pallo di fronte a 3 opzioni:

  • 1. si vuole garantire che ciascun individuo abbia la stessa disponibilità economica individuale una volta tolte le spese
  • 2. ciascuno contribuisce alle spese in modo proporzionale al suo stipendio
  • 3. le spese sono divise a metà indipendentemente dallo stipendio percepito.

Lei e Lui Pincopallo si fanno i conti nei tre casi per capire come vanno le cose. Visto che guadagnano 3000 pepite d’oro in totale e che le spese ammontano a 2000, si accorgono che nel primo caso possono mettersi in tasca 500 pepite ciascuno per le spese personali, mentre il resto si mette nel calderone delle spese comuni.
Nel secondo caso, Lei deve contribuire il doppio alle spese comuni, con circa 1300 pepite e Lui contribuirà con circa 700 pepite. Il che significa che a Lei rimarranno 700 pepite in banca, e a Lui solo 300.
Nel terzo caso Lui non si mette in tasca niente, mentre Lei avrà a disposizione 1000 pepite d’oro al mese per le spese personali.

Una volta fatto questo calcolo si capiscono meglio le implicazioni filosofico e sociali della scelta che si vuole fare, e forse diventa più semplice trovare un accordo.
Occhio che qui non è un discorso di cosa sia giusto o sbagliato in assoluto, ma di cosa sentiamo all’interno della coppia che sia giusto o sbagliato. Certamente l’ultimo caso è a totale svantaggio della persona che guadagna di meno, mentre il primo è più equo per permettere un equilibrio economico nella coppia.
Finché si va d’accordo e c’è intesa economica qualsiasi sistema scelto va bene. Quando l’intesa non c’è, la scelta di un sistema rispetto ad un altro può fare la differenza tra il rimanere una coppia unita o il divorzio all’ultimo avvocato. E in base a come vi sarete organizzati, potrebbe fare la differenza, tra le altre cose, sul giusto valore da dare ai soldi.

La famiglia Pincopallo potrebbe trovare un accordo soddisfacente in una delle tre soluzioni, ma decidere di ridiscutere la faccenda dopo qualche mese di prova. La possibilità di rimettere in discussione gli accordi è sempre una buona idea, soprattutto se ci sono dei cambiamenti in vista (nascita di figli, cambi di lavoro, o eredità ad esempio).

Voi quale sistema adottate nella vostra famiglia, e se non siete soddisfatti al momento, quale pensate funzionerebbe meglio per voi?

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31 thoughts on “Divisione delle spese in famiglia: una dichiarazione di rispetto”

  1. Noi facciamo più o meno come Camomilla: ciascuno ha il proprio conto privato e ne abbiamo uno in comune per le spese comuni.
    Paghiamo a metà esatta il mutuo (perchè la casa è cointestata) e in percentuale rispetto al proprio stipendio tutte le altre spese.
    Abbiamo sempre fatto così, anche quando uno prendeva pochissimo e l’altro moltissimo. In quei casi, chi guadagnava di più (per un certo periodo è stato lui, per un altro io) pagava le spese extra senza dividerle col compagno.
    Abbiamo maturato negli anni questa pratica perchè ci siamo resi conto che se su tante cose abbiamo idee comuni, sulla gestione dei soldi abbiamo idee molto diverse.
    In questo modo, al netto delle spese comuni, ognuno può spendere i propri soldi senza problemi.

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  2. Noi conto unico per ridurre al minimo le spese gestione e nient’altro. Io lavoro part time (per scelta di entrambi) e lui guadagna più di me. Si discutono insieme le spese rilevanti, ma ciò che è mio è tuo. Lui non mi ha mai fatto pesare nulla, io non mi sono mai sentita inferiore. Mi fa piacere scoprire che siamo in diversi nella stessa situazione!

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  3. Noi abbiamo avuto il conto cointestato fin da subito (dai primi mesi di convivenza), e in generale abbiamo sempre messo in comune tutto quanto.
    Io lavoro e guadagno la metà di quello che guadagna lui, ma nessuno ha mai parlato di “proporzioni di spesa” tra ciò che si guadagna e ciò che si spende.

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  4. proprio in questi giorni sto raccogliendo i cossi della mia vita… dopo 10 anni di convivenza il mio compagno mi ha lasciata. L’amore è stato soffocato dai mille problemi economici e dalla mia scrasa indipendenza economica.
    Vengo da una famiglia dove “mio” e “tuo” non esiste, dove ogni cosa è messa in comune e dove è assolutamente naturale che chi lavora provveda a tutto.
    Non so se riuscirò a rialzarmi, economicamente e psicologicamente, ma se un giorno dovessi mai innamorarmi, eviterò la convivenza come si evita la peste.

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  5. Mi stupisco degli sposati che non hanno un unico conto cointestato.
    Noi ne abbiamo aperto uno non appena ho cominciato ad avere un reddito fisso (per un anno abbiamo messo insieme la stessa cifra, rinunciando alle vacanze perché io non avevo abbastanza soldi). Conduciamo una vita molto sobria, la casa è ereditata, le spese grosse le discutiamo non sempre con tranquillità, ma stare insieme significa compromesso tante volte, mica solo nel portafogli.
    Una volta stavo diventando matta nel mio posto di lavoro e mi sono licenziata. Ci siamo trovati senza uno stipendio dall’oggi al domani, con la pupa che ancora frequentava l’asilo nido da 500 euro al mese. Lui non era particolarmente d’accordo, ma ha capito che non potevo fare altro. Poi la situazione si è aggiustata. In ogni caso mi ha sostenuto.

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  6. In Olanda per gli adolescenti oltre alla paghetta c’ è anche una somma per i vestiti. I genitori in genere comprano i capi essenziali, tipo il giubbotto invernale e le scarpe e/o equipaggiamento sportivo, e poi con la somma mensile che ricevono, decidono loro cosa e come fare. Capisco che gli adolescenti e il look che vogliono darsi potrebbero non coincidere con quello che pensano i genitori, ma anche lì si tratta di rispetto reciproco, fiducia e darsi degli spazi di manovra per imparare ad aggiustare il tiro. Poi appunto se le cose essenziali te le compraano i tuoi e i regali di Natale sono l’ occasione d’ oro per le nonne per regalarti calzette e mutande, siamo tutti felici.

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  7. La mia esperienza è, forse, un po’ particolare visto che noi siamo un caso di “famiglia – azienda”, ma devo dire che, nel nostro caso, funziona bene quello che può apparire un metodo tradizionale di gestione dei soldi, insomma quello che viene ironicamente definito romantico (ma ovviamente romantico non è) e che si basa sul principio che quello che c’è, è di tutti.
    Di fatto abbiamo un conto corrente “privato”, cointestato ed accessibile ad entrambi con le stesse modalità e gli stessi limiti, su cui transitano tutti i redditi e tutte le spese personali e familiari ed un conto “professionale”, intestato alla nostra attività (in cui simao soci al 50%) su cui ovviamente girano le attività e le passività professionali.
    PEr un certo periodo, durante il tempo, non breve, di gestazione della “casa” e della “bottega”, abbiamo mantenuto i nostri vecchi conti personali a cui si aggiungevano un conto comune personale e quello dell’attività, ma era una duplicazione farraginosa e macchinosa, utile soltanto per potersi dire (romanticamente) autonomi a discapito del doppio legame.
    Adesso, semplicemente, parliamo delle spese, non necessarie o di poco conto, e prendiamo insieme le decisioni cercando di capirci e sostenerci a vicenda anche nei desideri o nei piccoli capricci.
    Certo aiuta il fatto che le entrate e le uscite siano le stesse, così come è utile il fatto che, comunque, non ci potrebbe essere una grande disparità nelle possibilità economiche di ciascuno; per la nostra situazione, infatti è impensabile che uno sia abbiente e l’altro debba tirare la cinghia, però mi piace l’idea che siamo un nucleo dove non c’è un “mio” da cui l’altro è assolutamente escluso, fosse anche solo per comprare un regalo non previsto ai bimbi.
    Forse, in fondo, sono l’ultima dei romantici

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  8. Noi poca scelta: io per seguire il Navigante nei suoi mille spostamenti di lavoro ho rinunciato a lavorare quindi dipendo completamente da lui.
    Io mi sento alle volte un po’ limitata, nelle spese per me, lui invece non si fa un problema: i soldi sono nostri, non suoi. Anzi dice che se io non avessi fatto questa probabilmente non saremmo riusciti a mettere da parte niente, visto che avremmo speso tutto in viaggi per vedersi e telefono per sentirsi.
    Però forse noi siamo fortunati: la gestione che abbiamo dei soldi è abbastanza simile, non abbiamo mai avuto grosse discussioni su questo argomento e ci mettiamo subito d’accordo per quanto riguarda le spese.

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  9. @Monica, io sono in generale una fiera promulgatrice (si dira’ cosi’?) dell’indipendenza economica.
    Diciamo che a casa mia, seppur in Italia e in provicia, vigeva la stessa mentalita’ che racconta Serena. Tutt’ora si divide la spesa del cenone di Natale!!!
    Ci sono stati dei periodi in cui non abbiamo lavorato entrambi.
    In quella situazione abbiamo adottato la tecnica per cui chi dei due era senza stipendio non versava soldi sul conto comune mantenedo per quanto poteva un certa indipendenza economica con i soldi messi da parte sul proprio conto personale.
    Avevamo comunque dei soldi da parte (versati a meta’ in epoca di vacche grasse) e quindi abbiamo utilizzato quelli.
    D’altronde c’era sempre un motivo per cui uno dei due non percepiva stipendio, i miei mesi di maternita’, i suoi mesi di paternita’, l’aver uno seguito l’altro/a in uno dei vari cambiamenti di lavoro/stato/continente, quindi era sempre moralmente giusto per l’occupato sopperire la mancanza di contributo del disoccupato di turno. Sono state comunque tutte situazioni di breve durata e questo penso faccia la differenza nella gestione della cosa.
    Sinceramente non abbiamo mai riflettuto veramente su cosa fare nel caso di una forte disparita’ di entrate visto che e’ una situazione, nel nostro caso, poco probabile.
    In quel caso l’emissione del foglio rev.G sara’ una bella sfida.

    Nel caso di due mie amiche, che hanno consapevolmente scelto di rimanere a casa e non lavorare nei primi anni (e non solo nel caso di una delle due) di vita dei figli so che si sono organizzati in questo modo:
    L’occupato/a versa al disoccupato/a una somma mensile sul suo conto privato, valutata, tolte le spese comuni, piu’ meno come la somma che spenderebbero se la prole e la casa fossero gestiti da un esterno.
    Ovvio che stiamo parlando di gente che guadagna bene.
    Di “scelta” di stare a casa, in un sistema paese che funziona e permetterebbe l’occupazione senza problemi.
    Di situazioni semplici insomma.
    In situazioni piu’ complicate e di necessita’ economica penso che si debba fare cio’ che si puo’ e se si e’ scelto comunque di creare una famiglia, tutti debbano fare gli stessi sacrifici. Certo alla base ci vuole un fortissimo rispetto reciproco, ed e’ su questo punto che ruota la questione.
    In generale credo che chi sta a casa dia un servizio all’altro e quindi vada retribuito. Quanto e come dipende dalla situazione particolare.
    Sempre in generale credo che, come dice l’autrice del post, di queste cose bisogna parlarne subito e chiaramente, parlare di soldi in un progetto famigliare non e’ un tabu’ ma un atto di rispetto e maturita’ della coppia.

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  10. noi non siamo sposati, ma quando siamo andati a convivere abbiamo pensato a se e come dividerci le spese e abbiamo optato per la condivisione dei conti e del denaro. abbiamo un unico conto sul quale vanno i nostri stipendi, inizialmente la differenza non era moltissima adesso lui guadagna il doppio di me, ma abbiamo sempre considerto quei soldi come beni di famiglia e dei quali ognuno può disporre. ovviamente prima di fare questa scelta abbiamo messo in chiaro che per nessuna ragione ci saremmo mai dovuti rinfacciare di aver usufruito dei soldi dell’altro. ognuno di noi ha un bancomat e una carta di credito e ognuno fa le sue spese sia personali che per i bimbi senza grossi problemi e senza chiedere “autorizzazioni”. tramite l’home banking la situazione è sempre sotto controllo e le spese maggiori vengono decise insieme. devo dire però che non siamo degli spendaccioni e se spendo 100 euro per delle scarpe siamo entrambi certi che è perchè mi servivano.

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  11. noi siamo sposati in comunione dei beni, ma non condividiamo nessun conto corrente.
    io sul mio ho addebitate le bollette, il telefono, la mensa scolastica, la casa al lago. lui le spese di condominio e tutto ciò che riguarda la casa tipo imu, tarsu, e la macchina. siamo sposati da 13 anni e non abbiamo mai discusso di soldi.
    per rendere l’idea: se c’è da pagare il basket o la piscina dei bambini, se li iscrive lui paga lui, se li iscrivo io pago io.
    le uniche spese grosse sono le vacanze, per cui in questi anni ci siamo attestati su un budget e su una prassi che entrambi abbiamo approvato . io pago le caparre di affitto di case, campeggi, ostelli e simili, i traghetti, i voli. e lui paga quello che c’è da saldare o da pagare quando siamo in viaggio.
    nessuno discute mai delle spese dell’altro, anche perchè siamo molto essenziali e non facciamo spese folli e le cose che compriamo di più sono libri e cose per i bambini.
    per gli extra, come ad esempio un we da qualche parte, decidiamo insieme se valga davvero la pena.
    finora è andata bene così.

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  12. @camomilla, il vostro metodo sarebbe l’ideale, ma hai mai provato a pensare cosa succederebbe se uno dei due perdesse il lavoro? Oppure se ci fossero grosse differenze di stipendio?
    Noi buttiamo tutto su un conto unico, non è la soluzione matematicamente migliore, però quando uno dei due non è economicamente stabile, non si può far altro che privilegiare il bene della famiglia, anzichè l’indipendenza economica dell’individuo.

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  13. Non so se da cio’ che ho scritto si capisce o meno, anche noi abbiamo i conti privati su cui vengono pagati i nostri stipendi e due conti comuni (uno qui, uno li) su cui trasferiamo i soldi mensilmente.
    Noi abbiamo anche una carta di credito intestata ad entrambi legata al conto comune. E una carta di debito per prelevare sempre legata al conto comune e intestata ad entrambi.
    Le nostre spese/entrate comuni sono: affitto (riscosso e pagato), mutuo, tasse sulla casa, manutenzione e gestione macchina, benzina, spesa alimentare, vestiti e gestione prole (compresa babysitter, asilo e child benefit). Cene, teatri e attivita’ quando siamo tutti insieme.
    E come ho gia scritto biglietti aerei e viaggi.
    Secondo me questo sistema funziona molto bene, ormai le spese per carte e conti correnti sono minime. La casa di proprieta’ e’ intestata al 50%, siamo sposati con formula di divisione dei beni. La macchina e’ intetsta a lui (quella che avevamo prima a me), ma tanto l’abbiamo pagata talmente poco che non vale neppure la pena menzionarla tra i “beni”.
    Anche io consiglio questo sistema, molto simile a quello descritto da Close a tutti quelli con una situazione simile alla nostra.

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  14. Noi abbiamo aperto un conto corrente cointestato, cioè un terzo conto oltre al mio e al suo. Essendo un secondo conto non ci è costato molto e soprattutto ci risparmia ore e ore di calcoli per determinare le spese individuali ogni mese.
    Nel conto comune facciamo versare – automaticamente – dai nostri rispettivi conti una cifra che abbiamo concordato prima, e che è in proporzione con lo stipendio di entrambi. A quel conto comune attingiamo per: affitto, spese alimentari, vestiti per la bimba ecc. Ai rispettivi conti separati attingiamo per: vestiti per l’uno e per l’altro e qualunque spesa personale, lavorando entrambi non sono poche e non avrebbe senso mettersi a discutere se una o l’altra abbia senso oppure no.
    Per noi sta funzionando alla grande finora, sicuramente posso consigliarlo a tutte le famiglie dove entrambi lavorano.

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  15. Noi negli anni siamo arrivati alla revisione F, del nostro bellissimo foglio di calcolo excell con cui appunto calcoliamo quanto trasferire mensilmente sui conti comuni.
    Dividiamo poi a meta’ e ognuno trasferisce la stessa somma.
    Un’altra quota la mettiamo da parte per le vacanze e i biglietti aerei che concordiamo ad inizio anno.
    Per questa quota ognuno contribuisce in proporzione di quanto guadagna.
    Con tutto cio’ che avanza ognuno fa come vuole.
    Se poi per qualsiasi motivo ci sono somme extra che entrano o spese improvvise, ne parliamo al momento e decidiamo di conseguenza.
    Devo ammettere che per quanto ci riguarda e’ tutto abbostanza semplice visto che facciamo lo stesso lavoro e guadagnamo piu’ o meno la stessa cifra.
    E’ vero anche che noi siamo persome molto pragmatiche, abbiamo passioni molto simili e anche abitudini. Siamo parecchio intercambiabili e non ci facciamo problemi a dicutere di nulla.
    Nulla e’ dovuto all’altra/o e so far stare insieme e’ ancora un piacere.
    Che come dice giustamente Serena e’ la base di ogni progetto famigliare ben riuscito.

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