Conservare il cordone ombelicale

Conservazione delle cellule del cordone ombelicale: banche pubbliche e banche private. Le differenze e l’utilità.
Da quando abbiamo iniziato a parlare di parto, questo mese, lo spazio dedicato agli annunci ad-sense qui a destra ha inziato a riempirsi di pubblicità di istituti sanitari privati che si occupano del prelievo e conservazione, ad uso personale, delle cellule staminali del cordone ombelicale.
Ci sono sorti dei dubbi, prima di tutto perchè sembra un business in crescita e abbiamo cercato di chiarirci le idee.
Questo post è scritto da Lorenza, che non è un’esperta o un medico e non ha competenze specifiche. Ma è una mamma che, proprio in questi mesi, si sta ponendo quesiti su questa possibilità, dato che sta per avere un secondo figlio.
Lei è una di quelle persone che ci piacciono molto, perchè se hanno un dubbio o intravedono una possibilità, si informano, pongono domande, cercano, leggono e tentano di formarsi un’opinione quanto più chiara possibile. E dato che si è informata molto, le abbiamo chiesto di parlarci di quello che ha ricavato da questo suo lavoro di documentazione.

Quando si intraprende l’avventura della gravidanza è inevitabile che sorgano interrogativi su come sarà il dopo. Ci si chiede se saremo bravi genitori, se riusciremo a crescere nostro figlio in un ambiente sereno, ma prima ancora ci auguriamo con tutte le forze che nasca e cresca sano.
Quando la mia Piccola Peste era un fagottino urlante, oltre alla gioia, alla stanchezza e alle mille emozioni tipiche della fase mamma-con-ormoni-in-libertà, ricordo di aver provato una sensazione di impotenza davanti alla fragilità di questo piccolo essere. Nonostante sia una persona molto razionale, il pensiero di tutte le cose che potevano andare storte mi metteva in angoscia. Fortunatamente confrontandomi con altri genitori mi sono resa conto che si tratta di sentimenti diffusi e col tempo mi sono tranquillizzata.
Purtroppo però i pubblicitari hanno pensato bene di sfruttare il senso di inadeguatezza e l’insicurezza dei neogenitori per vendere, esibendo un genio creativo degno di una bottega di artisti rinascimentali. Ci hanno convinti quindi che non possiamo dormire sonni tranquilli senza il rilevatore di respiro del bambino, le radioline e i sensori di movimento, che la culla deve essere antisismica e il lettino a prova di crash test. Riempiendoci di gadget ci illudono (e ci illudiamo) di avere tutto sotto controllo.
Analogamente alla sicurezza, una questione fondamentale per un genitore (e fonte di ansia) è proteggere i figli dalle malattie. Su questo fronte, negli ultimi anni si è sviluppata una grossa campagna per la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale. Non essendo un medico non posso scendere in dettagli ma, in breve, le cellule staminali contenute nel cordone ombelicale sono considerate estremamente duttili e si possono prestare per la cura di alcune malattie molto serie come le leucemie.

In Italia esistono da anni banche pubbliche per la conservazione del cordone ombelicale, che fanno capo a importanti ospedali e sono inserite in una rete internazionale per i trapianti. Ai sensi della normativa vigente, nel nostro paese non è consentita la conservazione esclusiva, cioè per uso “personale”, a meno che non esistano patologie familiari gravi; il cordone donato viene quindi messo a disposizione della collettività.

Per questo motivo, sono nate moltissime banche private che consentono la conservazione all’estero, per un periodo di 20-25 anni, del cordone ombelicale prelevato al momento del parto: su internet con una semplice ricerca se ne trovano almeno una ventina, distribuite in tutta Europa.
Il cavallo di battaglia di questa campagna è il seguente: con una spesa relativamente contenuta (dai 2.000 ai 3.000 euro) potremmo garantire ai nostri figli una cura per malattie gravissime. In particolare, si sottolinea che la scienza sta compiendo passi da gigante in questo campo e che, quindi, tra 10 anni, potrebbero essere disponibili cure che oggi sono impensabili. Inoltre, si sostiene che il trapianto “autologo” (cioè da cordone proprio) avrebbe una maggiore compatibilità rispetto alla donazione da terzi.
Quasi tutti i siti riportano descrizioni strappalacrime di casi di trapianti effettuati negli ultimi anni con le cellule staminali allo scopo di curare terribili malattie.

Per conservare le staminali in una banca privata estera è necessaria un’autorizzazione da parte dell’Autorità Sanitaria regionale; le banche naturalmente forniscono assistenza al riguardo, occupandosi poi dell’invio del kit per il prelievo, del ritiro e del trasporto del cordone, delle analisi e della conservazione.
Semplice, pulito, sicuro.

Quindi, perché perdere questa occasione? È la domanda che mi sto facendo in queste settimane, essendo all’inizio della seconda gravidanza. In occasione della prima avevo deciso di non aderire, convinta che si trattasse solo di una trovata commerciale. In effetti, i toni degli opuscoli sono altisonanti ma, in concreto, le informazioni sono poco chiare: i trapianti citati sono sia da cellule proprie che da donatori e non si ha evidenza statistica di risultati più significativi nel primo caso. Anzi, il Ministero della Salute, in un opuscolo dedicato , dichiara che il trapianto autologo potrebbe essere meno efficace di quello eterologo in quanto (cito testualmente) “viene completamente a mancare la possibilità di una terapia cellulare. Le cellule generate dalle staminali del paziente infatti possono non essere in grado di riconoscere come estranee le cellule malate, dato che provengono comunque dallo stesso organismo.”
Inoltre, non sono chiari gli sviluppi della sperimentazione su determinate patologie: in un volantino ad esempio si parla di trapianto per un caso di paralisi infantile, ma si sorvola sui risultati effettivamente ottenuti. In sintesi, si fa leva prevalentemente sui possibili benefici futuri della ricerca scientifica. Non da ultimo, trovo discriminatoria e un po’ egoistica l’idea di conservare il cordone per sé per eventuali future malattie, quando in una banca pubblica potrebbe servire a bambini che sono malati oggi.

Dopo aver riflettuto, sarei più propensa alla donazione che all’auto-conservazione. Qui però emergono le classiche contraddizioni italiane: a livello legislativo si cerca di spingere per l’utilizzo delle banche pubbliche, però di fatto non è sempre possibile donare le cellule staminali: ad esempio nel mio ospedale la donazione non è prevista e quindi quelle di mio figlio andrebbero perse. L’ideale sarebbe una banca privata che consentisse di mettere a disposizione su richiesta le proprie staminali; purtroppo però mi sembra di capire che i recenti sviluppi normativi precludano questa possibilità e i pochi centri nati in Italia con questa vocazione si trovino ora nel limbo.
Forse, se in Italia la conservazione del cordone diventasse una prassi consolidata e si creasse una giacenza consistente nelle strutture pubbliche, se ci fosse una campagna informativa a tappeto per chiarire i dubbi dei genitori e incentivare la donazione, forse molte delle paure su cui fa leva il marketing delle staminali verrebbero meno e i genitori si sentirebbero maggiormente tutelati.
Per il momento, io continuo a pensarci…

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45 thoughts on “Conservare il cordone ombelicale”

  1. In UK il tutto e’ regolato dalla Human Tissue Authority, quindi non possono esistere banche private che non si attengono alle ordinanze. Inoltre, nella ossessiva regolamentazione di tutto e di tutti, non e’ possibile che il cordone venga prelevato da chiunque: l’ostetrica o il dottore che effettua il prelievo e conservazione nel kit deve essere stato autorizzato dalla HTA e deve aver ricevuto training specifico, documentato, per minimizzare il rischio (che e’ piccolo ma esiste) per madre e bambino. Quindi in una situazione di natura aleatoria come il parto, in cui non sai ne’ i come ne’ i quando, diventa complicato beccare la persona giusta che fa il turno giusto, e se l’ospedale non ha proprio licenza HTA bisogna organizzare l’intervento di un “flebotomista” certificato che venga ad effettuare il prelievo il giorno del parto. In sostanza a meno che non si vada di cesareo e’ difficile capire come possa succedere (a meno che non si abbia un/a flebotomista nel circolo di amici e famiglia!). Avendo deciso per un parto naturale, quindi, dopo aver considerato la cosa, l’abbiamo scartata – mi e’ dispiaciuto perche’ ero interessata alla donazione, ma oh, pace.

    Comunque, anche noi abbiamo ricevuto le informazioni specificate dall’articolo della UPPA: ha senso pensare ad una conservazione privata, quindi per uso da parte del bambino stesso, soltanto se ci sono delle condizioni genetiche o ereditarie nella famiglia che rendano probabile l’utilizzo delle cellule, e probabile anche nei primi anni di vita del bimbo. C’e’ anche da dire che in questi casi, l’autotrapianto puo’ non essere una buona idea, visto che le cellule staminali proprie potrebbero avere la stessa condizione, e quindi sarebbe piu’ opportuno avere un trapianto da un terzo, sano. Informazioni sono sul sito della HTA, inclusa la lista dei siti con licenza per collezione e conservazione, quindi tutto e’ molto trasparente.

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  2. @Luna, mi permetto di dissentire sul fatto che le banche private siano delle scatole vuote che truffano i clienti incassando soldi e “gettando” le cellule raccolte, mi sembra inverosimile.
    Ormai è anni che queste aziende operano sia in Italia che in altri paesi europei e se fosse questo il caso sarebbe sicuramente venuto alla luce con annesse denunce e processi.
    Condivido invece in pieno le tue perplessità sul procedimento in sé e sulla necessità di spingere invece per le banche pubbliche. Su questo fronte ahimè scontiamo le solite problematiche del sistema sanitario nazionale e la sua vasta gamma di espressioni (casi di eccellenza e inefficienze da terzo mondo).

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  3. Giovanna, grazie del link, ottimo articolo questo di UPPA (come sempre del resto), che sicuramente è stato tra le fonti consultate da Lorenza per informarsi.

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  4. quando, poche settimane prima del parto, sono stata a fare la visita propedeutica alla donazione delle staminali del cordone ombelicale, mi è stato fatto notare che, in un certo senso, queste cellule sarebbero comunque molto probabilmente rimaste a disposizione di mia figlia, perchè è estremamente difficile che siano compatibili con il sistema immunitario di altre persone. Noi avevamo già deciso per la donazione, ma, egoisticamente, questo aspetto ci ha ulteriormente motivato a non optare per la conservazione “privata”

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  5. Ragazze, mi intrometto per confermare che tutte le banche stere che ti fanno pervenire i kit per la raccolta e successiva conservazione delle cellule staminale (chiedendo 2000-3000 euri) sono una BUFALA!Vi prego non credete!Questi maledetti sfruttano il cuore delle mamme, le pochissime banche italiane per la donazione e un sacco di storie strappalacrime per convincere a comprare i loro kit! Il sangue del vostro bambino non arriverà mai a quella banca che non esiste!

    Andrebbe invece fatta una protesta fortissima sulla scarsità di banche italiane (le nostre sono serie) che conservano le cellule staminale per la donazione. E purtroppo sono ancora pochissimi gli H che hanno organizzato un trasporto 24 o quasi (takvolta con un buco di uno o due gg, solitamente nel week end) per portare il sangue nellabanca vicina. Il trapianto autologo o eterologio salva molti bamibini che non rispondono alla chemioterapia. Certo, non salva tuuti, MAGARI, ma ogni bimbo salvato è un ridultato preziosissimo! Se tutti gli osp obligherebbero la donazione di tutti i cordoni….sarebbe fantastico. Anche per altre malattie, non solo linfomi e leucemie. Sicuramente le cellule servono anche per la ricerca, ma purtroppo pure quella è preziosa per curare e guarire malattie gravi o gravissime. E’ inoltre verissimo che i requisiti per la donazione, se al momento della visita e degli esami ematici della mamma sono tutto sommato poco scremanti…quelli invece all’atto della raccolta (ci devono essere almeno 70 ml di sangue!che non è poco), le modalità di conservazione nel kit (rogorosissime) e la successiva conta delle cellule che farà la banca (ci deve essere un numero minimo) sono invece molto rigide per catalogare quel sangue IDONEO a tutti gli effetti per la donazione – altrimenti lo buttano. Perciò non tutte le raccolte vanno a buon fine. Questo se tutte le procedure vengono fatte con rigore e correttezza. E da noi in Italia, laddove si fa, esistono queste regole. Probabilmente le stesse che hanno all’estero, nelle banche serie.

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  6. Mah, Lorenza, il bambino si becca 9 mesi di staminali, non credo che quei 5 minuti facciano molta differenza, ma forse mi sbaglio…

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  7. @Barbara: grazie, incrociamo le dita 🙂
    In effetti credo che uno dei fattori che fa propendere per la via “privata” sia la difficoltà della donazione pubblica, se fosse più agevole sono sicura che molti vi ricorrerebbero. Anche a me i prezzi che scendono lasciano perplessa, la legge di mercato in questo ambito fa un po’ tristezza…
    C’è però un altro aspetto che non ho citato nel post: la mia ostetrica era contraria all’asportazione del cordone perché sosteneva che in quel caso viene reciso subito alla nascita, mentre normalmente si attende per consentire il passaggio del sangue ricco di staminali al bambino, quindi secondo lei il contenuto non andrebbe “perso” ma trasferito, con un beneficio immediato per il neonato.
    Non essendo un medico non so valutare questa affermazione ma se il protocollo prevede questo un motivo ci sarà…almeno mi sentirò un po’ meno in colpa visto che nel mio ospedale la donazione non è prevista!

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  8. Infatti, Barbara, il fatto che il prezzo si sia attestato su una cifra alta ma possibile, mi fa pensare… Se solo fosse un pochino più semplice donare il proprio cordone, però… (pare che nascano tutti di sabato!!!! 🙂 )

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  9. Beh, Silvia, il fatto che i prezzi scendono a me puzza proprio di business…
    Noi avevamo deciso per la donazione. Ci abbiamo riflettuto su, abbiamo deciso di essere ottimisti e fiduciosi nella ricerca nel modo illustrato da Giovanna e abbiamo pensato che se le nostre staminali potevano essere d’aiuto a qualcuno fosse giusto donarle. Oltretutto io vorrei donare regolarmente il sangue ma non posso, e quindi mi sembrava un modo per sopperire all’aiuto che nego a tanti. Se non avessero preso le mie staminali per gli stessi motivi per cui non vogliono il sangue, le avrei donate per la ricerca (si può fare anche questo). Ma ovviamente ho partorito di sabato mattina e niente da fare. E a dire la verità dopo il cesareo di corsa ci ho ripensato un pò troppo tardi, ma avrei gradito che qualcuno mi chiedesse se volevo fare una donazione, invece niente. Anche al corso preparto ho dovuto chiedere io quando bisognava dichiarare di voler fare la donazione, prendendo gli ostetrici un pò alla sprovvista e ovviamente scatenando le 3875835 domande di chi voleva conservarsi il proprio, senza capire che stavano chiedendo alle persone sbagliate…

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  10. Anche noi abbiamo dovuto rinunciare alla donazione (autorizzazioni varie già rilasciate), ma solo perchè era sabato notte, orario non coperto da chi avrebbe effettuato il trasporto alla banca di conservazione (impedimento che sarebbe durato per qualche giorno successivo per questioni amministrativo-burocratiche che non ricordo).
    In effetti è spiacevole pensare che tantissime donazioni sono rese impossibili da tutti questi inconvenienti pratici (ospedale non collegato alle banche, giorno e orario in cui non c’è chi fa il prelievo, giorno e orario in cui non c’è chi fa il trasporto, ecc.). Probabilmente un sistema più efficiente lascerebbe molto meno campo libero alla conservazione personale.
    Un elemento che sta alimentando le banche private è la discesa dei prezzi: da quello che ho sentito, si è passati da cifre piuttosto importanti, che scoraggiavano i più, a cifre più abbordabili che, di fronte ai vantaggi prospettati, lasciano maggiormente possibilisti i genitori. Insomma, se di fronte a 6.000 euro si poteva più facilmente pensare “proprio non li ho”; di fronte a 1.500/2.000 euro è più facile pensare “come posso negare questa possibilità a mio figlio?”. E così il business decolla…

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  11. anch’io la penso come giovanna, non opero nel settore ricerca, ma durante la mia gravidanza mi ero informata per la donazione ma, “ovviamente”, nella struttura dove ho partorito non si poteva effettuare la donazione (mi è sembrato di capire che pochi mesi prima c’erano state complicazioni nel corso del prelievo del cordone e quindi non hanno più eseguito “espianti”, non so se è corretto usare questo termine).
    cmq anche a me sembra un business solo per i gestori delle “banche private”

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  12. Io lavoro nel campo della ricerca scientifica e quando ero in attesa della mia seconda bambina ho fatto tutta la procedura per la donazione del sangue del cordone. Vi dico subito che anche dopo aver fatto tutto il necessario la probabilità di donare è comunque bassa in quanto legata alla quantità di sangue che si riesce a prelevare al momento….io non l’ho potuto fare perchè la quantità non è risultata essere sufficiente.

    Le pubblicità che invitano alla conservazione del cordone per 20-25 anni fanno, secondo me, leva sull’ “egoismo” umano… e sono un modo per far soldi. La ricerca in 20-25 anni farà passi da gigante e probabilmente il dilemma sarà superato.

    Inoltre attualmente le terapie che prevedono l’uso di cellule staminali si riferiscono a patologie della primissima infanzia.

    Se si ha la possibilità di donare (non tutte le strutture lo permettono…anche per via dei NON fondi alla ricerca che vengono elargiti!) si fa un gesto di generosità in quanto il piccolo sforzo nostro può aiutare nella progressione delle conoscenze e delle terapie future. Con la conservazione si spendono dei soldi a parer mio inutilmente, senza il possibile vantaggio per nessuno…se non per chi incassa i soldi!!!

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  13. io ho letto che non c’è evidenza scientifica nell’utilizzo autologo. sono convinta che le società private all’estero facciano leva sulla poca competenza in campo medico/scientifico del genitore medio per fare molti soldi. credo invece nella donazione. quando è nato il mio primo figlio l’ospedale in cui ho partorito non era attrezzato e non l’ho potuto fare. questa volta pare invece che si possa fare, quindi ne parlerò con la mia ginecologa in occasione della prossima visita. magari se mi darà delle informazioni interessanti vi farò sapere.
    in generale penso che se si ha l’opportunità di donarlo (e lo si vuole fare) sia giusto farlo. certo se la struttura in cui si partorisce non lo permette… pazienza!

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