Certe volte è veramente difficile sapere se sono necessarie delle condizioni culturali per spingere dei cambiamenti legislativi importanti, o se al contrario si possa condizionare dall’alto la diffusione di una nuova cultura. Il tema del congedo parentale e della parità tra uomo e donna è uno di questi.
Vivendo in un paese in cui il congedo è a mio parere tra i sistemi migliori del mondo, pur con le sue pecche (che ci sono per carità), e essendo la Svezia un paese sempre ai primi posti per la condizione delle donne, mi capita spesso di chiedermi se sia nato prima l’uovo o la gallina.
Al contrario della Finlandia che ha recentemente introdotto le spesso discusse “quote rose”, portando ad un netto miglioramento della situazione della parte femminile della società, quello della Svezia è stato, ed è tuttora, forse un processo lento, che accosta piccoli aggiustamenti dall’alto a spinte al cambiamento provenienti dal basso.
Vivendo in Svezia non è difficile notare infatti che l’emancipazione della donna non è più nemmeno un argomento di conversazione, e nonostante si parli ancora molto delle differenze di genere in ambiti lavorativi, si sta comunque parlando di una situazione molto più equilibrata che in altri pur civilissimi paesi dell’Unione Europea.
La parità tra uomo e donna va al di là del divenire genitori, e si estende in molti ambiti della vita quotidiana, sin dalla più tenera età. Nelle scuole si presta particolare attenzione all’educazione al di fuori degli schemi di genere. Ma anche il fatto stesso che ragazzi e ragazze vadano a vivere da soli intorno ai 20 anni, implica che anche gli uomini debbano imparare a gestire un menage domestico autonomamente (e qui nessuno si sognerebbe di portare i panni a lavare a casa di mamma!)
Ci sono leggi sul lavoro che difendono fortemente la discriminazione di genere, e se una donna in sede di colloquio venisse sottoposta a domande riguardanti la sua sfera privata (casa, marito, figli) una denuncia dell’incauto esaminatore all’Ombudsman non gliela toglierebbe nessuno. Un altro esempio è il fatto che nei posti di lavoro statali a parità di qualità di CV, la donna deve essere privilegiata sull’uomo. Tutto questo non azzera chiaramente le discriminazioni, che continuano ad esserci probabilmente soprattutto in alcuni ambiti, ma li constringe ad essere un po’ più cauti, meno evidenti, più subdoli. L’apparenza in questi ambiti è importante. Il fatto che se una cosa viene dichiarata esplicitamente crea imbarazzo o magari anche sdegno, spinge di suo verso la riduzione di quella pratica.
La legge sul congedo parentale è pensata per dare spazio a questa uguaglianza di genere, qualora si voglia, ma senza imposizione alcuna. Il congedo parentale in Svezia consiste infatti di 480 giorni da dividere a scelta tra i due genitori, di cui 60 sono di ciascun genitore e non possono essere ceduti all’altro. Il congedo non può essere usufruito dai genitori contemporaneamente, quindi il padre, se se lo prende, sta da solo a casa con il bebè (e impara im prima persona il duro lavoro che c’è dietro la cura di un neonato). Per spingere i genitori a dividere il congedo equamente, hanno introdotto recentemente un bonus economico che viene massimizzato quando i genitori dividono esattamente a metà i giorni a disposizione. Il datore di lavoro è costretto a concedere il congedo parentale (a madri e padri ugualmente) dalla nascita fino ai 18 mesi del bambino. Inoltre entrambi i genitori hanno diritto a lavorare part-time fino al compimento degli 8 anni del bambino, se vogliono.
Il discorso economico è un pò più difficile da fare, perchè dipende dal reddito della famiglia. Un lavoratore, sia esso autonomo o dipendente, percepisce l’80% dello stipedio calcolato sull’ultimo anno di lavoro prima del parto, al di sotto di un tetto massimo. Questo è vero per 240 dei 480 giorni di congedo. I restanti giorni si riceve un compenso economico di base, che corrisponde a circa 20 euro al giorno. Una persona che non ha percepito stipendio nell’anno precedente al parto ha comunque diritto al minimo.
In aggiunta c’è l’assegno per il bambino che corrisponde a circa 110 euro mensili fino al compimento di 16 anni (si sedici anni!!!).
Grazie a questa legge sul congedo parentale, sono sempre più i padri che decidono di stare a casa con i figli, soprattutto nel caso in cui il tipo di lavoro svolto dalla madre sia altrettanto remunerativo. Normalmente la madre sta a casa i primi mesi, quando l’allattamento è importante, e il padre prende la seconda parte del congedo, dopo che è avvenuto lo svezzamento. Ma nulla vieta di dividere diversamente, magari facendo 2 giorni uno e 3 l’altro. Le scene di due padri che spingono ciascuno la sua carrozzina mentre passeggiano insieme in città è praticamente la norma.
E nei bagni pubblici, nei ristoranti o centri commerciali, spesso c’è il fasciatoio per cambiare il bambino, sia nel bagno delle donne che in quello degli uomini. Padri alle prese con carrozzine, pannolini, pappette e simili sono talmente scontati, che nessuno si sconvolge. Questo ovviamente diminuisce molto la pressione sui padri che si sentono a loro agio nel ruolo, e sulle madri che non si sentono in colpa per avere abbandonato il loro pargolo nelle mani inaffidabili di un papà considerato incapace da tutti.
Il coinvolgimento del padre sin dall’inizio, porta a tutta una serie di vantaggi a lungo termine. Non solo favorisce la parità tra i sessi in campo lavorativo, ma i bambini crescono con l’idea che mamma e papà possono fare le stesse cose, e la differenza dei ruoli è molto più sfumata. L’identità sessuale, pur essendo fondamentale per la crescita serena di un bambino, non è basata su chi lava i piatti o cucina, o su altri stereotipi comportamentali. Inoltre la famiglia vive in modo più equilibrato la vita quotidiana, e riesce a sentire il progetto famiglia come un progetto portato avanti dalla coppia insieme.
E nonostante ci siano ancora differenze più o meno marcate a seconda delle famiglie, del livello culturale, se si vive in città o in campagna, non è affatto strano, né raro, che un papà presieda la riunione di classe, vada ai colloqui con le insegnanti, accompagni il figlio treenne alla festa di compleanno a casa di un amichetto, porti i figli dal dottore, eccetera eccetera.
Come ho sottolineato all’inizio è difficile sapere cosa nasce prima, se una cultura più favorevole alle donne o delle leggi che combattano la discriminazione, e in che modo l’uno condizioni l’altra. Probabilmente le stesse leggi imposte in un paese con un background culturale totalmente diverso come quello italiano, non potrebbero funzionare. Forse introdurre delle quote rose, à la finlandese, potrebbe essere la soluzione almeno temporanea per rompere certi meccanismi. Forse imporre un congedo di paternità obbligatorio a seguire di quello materno (e della stessa durata), o da combinare con esso potrebbe far fare qualche passo avanti.
No so, io è un po’ che ci penso, e mi sto convincendo sempre di più che forse in Italia ci sarebbe proprio bisogno di un’azione un po’ forte. Voi che ne pensate?
Non ho molto tempo per argomentare e non so se nel breve le cose cambieranno. So solo una cosa: io sono una mamma, la mamma di un bimbo, un bimbo maschio. E sono certa che se io e il suo papà lo educhiamo con certi principi le cose cambieranno sicuramente.
Una mia amica mi raccontava che a un convegno sulla parità dei diritti, in cui c’erano moltissime relatrici donne di una certa età, dal pubblico si era fatto loro notare che i maschi “in circolazione” erano, detta molto genericamente, i loro figli, proprio di loro sessantottine. E gli si chiedeva di che cosa la loro generazione avesse insegnato in termini di parità e diritto.
Ecco, io partirei da qui, da quello che so di poter fare.
Io naturalmente sono molto contenta del sistema svedese, vivendoci ed avendolo apprezzato quando é nato mio figlio.
La mia opinione é che una legge sul congedo obbligatorio dei padri, uguale uguale a quella svedese, farebbe molto bene alla situazione delle donne e dei bambini in Italia.
Parlando con miei colleghi piú anziani, mi dicono che le la mentalitá paritaria non é una caratteristica del DNA svedese, ma si é formata anche grazie a queste norme.
Il congedo obbligatorio per i padri va a toccare direttamente il principale argomento contro le donne che lavorano: e cioé la scarsa convenienza economica e logistica di una dipendente che si assenta per la maternitá, le malattie dei figli o i tempi dell’asilo.
Se entrambi i genitori hanno queste incombenze (sia io che il mio compagno ci siamo presi ciascuno i nostri 6-7 mesi di congedo a testa, in piú ci alterniamo i giorni di malattia), allora per un datore di lavoro non esiste piú molta differenza tra l’assumere un uomo o una donna, con ripercussioni anche sul salario.
Se la durata del congedo é fissata per legge, il datore di lavoro ha poco da protestare o ricattare.
A questo va aggiunto che qui é previsto che i Comuni abbiano posti asilo per tutti i bambini, e la retta mensile é pari all’assegno familiare percepito per ciascun figlio, per cui lasciare il bimbo all’asilo non é un salasso per la famiglia.
con queste norme, la mentalitá svedese si é evoluta dal machismo di 1-2 generazioni fa, a quella attuale in cui un uomo che rifiuta di stare a casa coi figli spesso é visto come un fannullone, un opportunista o una persona con scarse capacitá organizzative.
La mentalitá paritaria non é perfetta neppure qui, ma le differenze con altri Paesi si vedono.
Il padre che cambia un pannolino non é piú visto come meritevole di medaglia al valor civile. 🙂
Due riflessioni: la prima è che in Italia se si vuole far rispettare una legge ci si riesce. Penso giustamente alle cinture di sicurezza che ha citato Serena, inizialmente controllatissime ma anche “sponsorizzate” culturalmente, poi un pò abbandonate a se stesse: inizialmente tutti la mettevano, adesso chi era contrario ha cominciato a dire “ma tanto ora non le controllano più” e ha smesso di usarle. Ho esempi in famiglia quindi conosco bene la mentalità. Ma penso anche al casco su moto e motorini. Lì da quando è entrata in vigore la legge si è capito immediatamente che era una legge seria che avremmo dovuto rispettare tutti, nessuno ha protestato (come invece è successo immediatamente per i fari accesi in autostrada, per esempio, e infatti lì ognuno fa come gli pare e l’infrazione non è considerata “grave”), e va avanti senza intoppi, tranne forse qualche zona particolare con realtà molto particolari (Napoli). Ecco, quando si vuole, imponendo una cosa antipopolare dall’alto, si riesce. Per fortuna, aggiungerei.
Seconda riflessione: Serena, io credo che la discriminazione nei confronti delle donne sul lavoro non sia solo dovuta alla maternità, ma sia profondamente culturale. C’è una mentalità diffusa che ancora considera le donne incapaci di fare i minimi lavori manuali, incapaci di dedicarsi interamente al lavoro (nell’orario lavorativo intendo) perchè parte del loro cervello è sempre e comunque dedicata a preoccuparsi di non avere una calza smagliata, i capelli a posto, il trucco sistemato e lo smalto che si sfalda. Pensano che siamo prigioniere della forma e quindi non possiamo dedicarci alla sostanza “come invece gli uomini sono liberi di fare” (glisso sulla mia convinzione che ammesso che ciò sia vero PER ALCUNE, questa schiavitù ce l’hanno data loro, sennò non finisco più). La maternità, o il rischio della maternità, è solo una scusa, e come dicevo prima l’attuale legge sulla maternità è un’arma a doppio taglio perchè permette a questa mentalità una scusa politicamente corretta per la discriminazione.
La battaglia contro questa mentalità è secondo me culturale, e quindi non si può affrontare SOLO con imposizioni dall’alto (tipo quote rosa), e sinceramente non so valutare quanto queste imposizioni aiuterebbero. Credo però che il nostro paese stia scivolando pericolosamente all’indietro al riguardo, e quindi ci vorrebbe una mossa sociale forte per invertire questa tendenza.
Però quando dici “avere cura di un neonato non è come allacciarsi una cintura di sicurezza, e allora uno deve pure sentirsi di farlo” mi si accappona la pelle. Si sa che i bambini non crescono da soli, la cura fa parte dell’avere dei figli! Poi c’è chi delega, e va benissimo, ma se non ti interessa cosa fa tuo figlio tutto il giorno mentre tu lavori e la domenica ti prendi del tempo per te… sei sicuro di avere un progetto famiglia (ho ovviamente estremizzato)? Delegare pagando un professionista poi è una cosa, delegare totalmente o quasi a un parente TUO PARI è un’altra (se ricordi, nel mese dei nonni dicevo che ero contraria ai nonni full time, infatti). Quindi ripeto che sono totalmente favorevole al congedo parentale obbligatorio per i padri (e che sia lungo quanto quello delle madri), per vari motivi: penso sia giusto in sè per sè, penso sia un dovere oltre che un’opportunità per i padri (così come è ora un dovere e un’opportunità per le madri), penso ci sia al momento una grossa discriminazione legislativa fra uomini e donne, penso che toglierebbe questa scusa per le discriminazioni, penso che aiuterebbe a risolvere altre discriminazioni, penso che aiuterebbe tutta la società a progredire abituando i bambini a vedere che non c’è differenza fra uomini e donne nelle responsabilità e nelle capacità di cura “casalinghe”, penso che aiuterebbe la crescita psicologica ed emotiva dei bambini che saprebbero di avere due genitori.
Per quanto invece riguarda la differenza fra lavoratori dipendenti e autonomi, beh, è ovvio che c’è una grossa differenza e che non dovrebbe esserci. Dovremmo decidere una buona volta se vogliamo investire nella famiglia come paese oppure no, e allora fare regole (da una parte o dall’altra) che però fossero uguali per tutti. Sono un’utopista?
PS: si, certo comunque la paternity leave e’ un diritto, non e’ obbligatoria, ma ci sono molti padri che la prendono (e ne conosco diversi che hanno deciso di stare loro a casa invece della moglie, magari perche’ il loro lavoro era meno remunerativo, o quello della moglie meno flessibile), il papa’ che circola coi passeggini la mattina in orario di lavoro non e’ un’apparizione rara, affatto – cosi’ come sono normali i fasciatoi nei bagni degli uomini, insomma non mi pare a parte certi aspetti legislativi che siamo messi troppo diversamente dalla scandinavia, per questo dicevo che “si puo’ fare” non c’e’ bisogno di essere superhuman 😛 Non so se cambierebbe qualcosa se diventasse obbligatoria, ma di sicuro ultimamente c’e’ stata molta educazione alla genitorialita’, e al ruolo centrale del padre in essa.
in UK non e’ altrettanto organizzato, come dicevo, pero’ non mi pare cosi’ catastrofico 🙂 la maternity leave e’ di 6 settimane (a stipendio praticamente pieno) + 33 addizionali, la paternity leave ordinaria e’ di 2 settimane entro le prime 8 settimane dalla nascita del bimbo, e la supplementare introdotta quest’anno e’ di ulteriori 26 settimane. Poi ogni genitore puo’ prendere fino a 13 settimane ulteriori fino al quinto compleanno del bimbo. Ora non mi ricordo le modalita’ in termini di stipendio pero’. Ma a parte questo aspetto, su tutto il resto (assegno mensile fino ai 16 anni, spese mediche e medicine gratis lo stesso fino a 16 anni etc etc) mi sa che abbiamo le stesse politiche.
Purtroppo io penso che il nostro Paese non sia maturo culturalmente. A fronte di precariato, assenza di diritti ecc, ci sono tuttavia alcune realtà che stanno attuando alcune pratiche di conciliazione interessanti. E’ senz’altro un lavoro lungo ma personalmente se non avessi potuto usufruire di alcune di queste pratiche (asilo nido convenzionato ad esempio) e non avessi deciso di usufruire di questi diritti (congedo parentale facoltativo, permessi malattia bambino ecc.) che comunque hanno avuto una ripercussione anche a livello di ruolo lavorativo, io non ce l’avrei fatta a portare avanti la mia organizzazione famigliare, in assenza di una rete di sostegno diversa. Ho lavorato per molti anni in ambienti super precari e penso di avere qualche parametro di riferimento e dunque mi sento di sottoscrivere quello che hanno detto prima di me deborah e simo e cioè la situazione è tale in Italia che chi può legittimamente usufruire di questi diritti viene considerato come un privilegiato e anche come un peso per la società tutta. Il messaggio culturale che viene passato molto spesso è : io ritorno a lavorare dopo due settimane perchè la maternità è un lusso, ci sono sprechi ecc. e questo invece di allargare la base della coesione sociale attraverso l’ampliamento della fruizione di alcuni diritti, crea una una frattura ancora più profonda.
Grazie ai vari contributi sta venendo fuori una bella discussione su questo post. Indubbiamente il dubbio se sia utile avere un congedo di paternità obbligatorio mi resta. Da un lato penso che come con le cinture di sicurezza in auto, anche quelli più ostili all’imposizione alla fine si sono adeguati, e bene o male la cintura la mettono “quasi” tutti. Quindi direi si all’imposizione dall’alto. Però penso anche che avere cura di un neonato non è come allacciarsi una cintura di sicurezza, e allora uno deve pure sentirsi di farlo. Dico sul serio: non lo so cosa sarebbe meglio. Però forse avere l’obbligo di stare a casa per i padri, aiuterebbe quelli incerti, e sicuramente sarebbe una manna per quelli che a casa vorrebbero starci davvero per godere dei figli. E magari con un po’ di fortuna, madri e padri ci penserebbero prima di farli i figli al fatto che una volta nati è compito di entrambi prendersene cura!
Un dubbio mi resta però (uno solo???) dal primo commento di supermambanana mi verrebbe da dire: però se in UK c’è la stessa mentalità nel lavoro che in Svezia, come si spiega che la condizione lavorativa per le donne in UK non è simile a quella svedese? Non so come funziona il sistema del congedo parentale in UK, ma temo non sia dei migliori (supermambanana ci fai un riassunto?) Potrebbe dipendere da una mentalità diffusa per cui poi alla fine le donne sono sempre quelle che si occupano della famiglia? Quindi si deve partire da una politica del lavoro o da una politica delle famiglie per cambiare le cose? Certamente lavorare su entrambi i fronti sarebbe meglio, però io ho come la sensazione che se non si parte dal riequilibrare il carico di lavoro a casa, anche grazie ad un congedo di paternità, le politiche di conciliazione sul lavoro continueranno sempre a sfavorire le donne, e non faranno nessun favore ai figli, che hanno bisogno anche di un papà. Che ne dite?
@Serena grazie per aver riproposto il tema!
@Deborah sono pienamente d’accordo con te su tutto, anche io dipendente di un ente pubblico mi trovo a “combattere” con COLLEGHE per cui io sono “quella con il figlio piccolo”, perciò più inaffidabile perchè più probabile che si assenti dal lavoro (che poi non è mica vero…), e poi quando manchi “ah…c’hai un’altra volta il bimbo malato”…credo che ci sia un grosso problema culturale di fondo se non riusciamo a essere solidali neanche tra donne…
Grazie del post, ho scorso i commenti e sono rincuorata nel vedere che c’è un consenso sulla necessità di provvedimenti ‘d’impatto’ come il congedo obbligatorio per i padri.
Penso che sarebbe un’ottima cosa per (ri)dare un ruolo ai padri in famiglia; perché anche le donne vedano che “lui se la cava da solo” malgrado il diffuso scetticismo sulla competenza di un uomo nell’accudire dei bambini; perché la si smetta di considerare una stranezza un padre che porta i figli al parco; perché i figli abbiano un padre che abbia tempo di stare con loro; perché anche gli uomini ai colloqui di lavoro si sentano fare la domanda “ma lei pensa di avere figli?”; perché se questa domanda viene fatta anche agli uomini, forse finalmente verrà cassata come illegale; perché quando anche gli uomini si confronteranno quotidianamente con le barriere architettoniche di chi gira la città con una carrozzina/passeggino, forse finalmente si faranno certe operazioni a basso costo che migliorano la vita, tipo: posti in autobus per i passeggini senza che sia obbligatorio ripiegarli (che rischi di ammazzare te stessa e il pupo), fasciatoi nei bagni pubblici, ecc.
E’ vero Silvia che una legge piena di buone intenzioni fallisce se non c’è la cultura a supportarla, ma mi auguro che dopo il 13 febbraio si incominci a parlare di più di problematiche femminili, cioè che vengano “sentite” e portate avanti da un gran numero di donne (già l’8 marzo il discorso di Napolitano ha segnato un bivio secondo me, e si è allontananto dallo stupido tr(i)onfalismo di Gelmini e Carfagna).
Mi pare che il problema in Italia sia soprattutto culturale, più che legislativo, ma correggetemi se sbaglio.
Anche qui la maternità tutela, per lungo tempo, la donna e il bambino. Per chi decide di tornare a lavorare entro il primo anno di vita del bambino si hanno due ore di permesso giornaliere per l’allattamento.
La maternità obbligatoria, pagata all’80%(almeno, ma alcuni contratti di categoria prevedono l’intero) comprende i 2 mesi prima la nascita del bimbo e i tre mesi dopo, oppure 1 mese prima e 4 dopo, a scelta della madre.
Per lavori a rischio ( o per gravidanze a rischio) esiste la maternità anticipata, pagata quasi per intero.
La maternità facoltativa, pagata al 30% (pochino, secondo me)dura sei mesi, spendibili, se non sbaglio , nei primi 3 anni di vita del bambino. La maternità facoltativa può essere fruita anche dal padre. Esiste anche, per la madre, la possibilità di chiedere aspettativa non retribuita nei primi 8/10 anni di vita del bambino, col diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Il problema è che, quando io ho esercitato una parte di questi miei diritti sono stata considerata una privilegiata, in quanto pubblico dipendente, da alcune amiche che lavorano nel settore privato. Allora, forse, il problema non è la normativa, ma il fatto che la sua applicazione viene considerata un lusso.
Purtroppo!
Voi, non avete mai guardato alle dipendenti pubbliche come a una categoria privilegiata?
Spesso c’è un atteggiamento del tipo: non è giusto, devono soffrire anche loro. Piuttosto che: non è giusto, vogliamo che anche a noi venga applicata la legge?
Il problema è, appunto, culturale . Vi è anche, trovo, una manifesta tendenza delle donne italiane ad accettare il sacrificio e la sofferenza tout court, quasi si trattasse di un marchio di fabbrica dell’essere femmina.
Michela, non sono proprio un’esperta di diritto del lavoro, ma a prescindere da quell’ordinanza (che comunque è di rigetto della sola procedura d’urgenza, immagino) io proverei con la causa ordinaria: anche perchè in quel caso il giudice deve andare nel merito e affrontare la questione del ccnl.
Però credo che dovremmo dare risalto e diffusione alla motivazione che ti ha fornito il giudice, perchè è vergognosa.
No, Silvia… non si tratta di spiegazioni a voce… le motivazioni del giudice (che la mia è una situazione comune a molte donne, che se riesco ad organizzarmi per 6 ore posso farlo anche per 8 etc.) sono scritte nero su bianco sull’ordinanza!!! infatti sto valutando se fare una causa ordinaria…
Sono completamente d’accordo con quello che scrive Serena, e penso davvero che ci sarebbe bisogno, data la situazione particolare, di un intervento legislativo forte. Ora come ora siamo bloccati: la società ha ricominiciato a spingere le donne a stare a casa (che poi non si sa con quali soldi vivano le famiglie…) ed è facile discriminarci perchè, almeno le dipendenti, hanno 5 mesi di maternità OBBLIGATORIA. Insomma questa norma che doveva difendere le madri in parte ci si ritorce contro, aiutandoci da una parte ma discriminandoci fortemente dall’altra. Io penso che il congedo di paternità obbligatorio sarebbe una buona cosa, magari più breve ma uguale per i due genitori. Ecco, questo si.
Michela, però è normale che se c’è stato un vizio di forma, il giudice non sia andato nel merito: esiste una procedura. Convengo anche io che unarticolo 700 in questo caso era davvero rischioso.
Le motivazioni che ti ha offerto nel merito, temo si siamo trattate solo di una spiegazione a voce, perchè, se scritte in una motivazione della sentenza, ci sarebbe altro che da appellare…
Comunque, la cultura è questa, questo è quello che pensa anche un giudice… viva l’Italia, come dici tu… “con gli occhi asciutti nella notte scura”, aggiungo io, citando.
a me sconvolge la frase “i genitori possono lavorare part-time fino agli 8 anni di vita del bambino”.
Io ho chiesto all’azienda una riduzione dell’orario da 8 a 6 ore e mi è stato negato. Dopo vari tentativi e richieste completamente ignorate dall’ufficio personale, mi sono rivolta al sindacato e ho fatto causa all’azienda sulla base di un articolo del CCNL che prevedeva l’accogliemento delle domande di trasformazione di contratto da tempo pieno a tempo part-time nella misura del 3% del personale impiegato in ciascuna area funzionale. Il giudice mi ha dato torto appellandosi a un vizio di forma. La richiesta è stata respinta perché è stata utilizzata una procedura di emergenza (codice 700) anziché una causa ordinaria (durata media 1anno e mezzo)e secondo il giudice non c’erano le condizioni per usare la procedura abbreviata. Nel merito ha poi aggiunto che tutte le donne oggi vivono questa condizione e quindi posso adeguarmi anche io…del resto se riesco a lasciare il bambino a qualcuno per 6 ore lo posso fare anche per 8.Nessuno ha citato nel merito l’articolo del CCNL nè mi ha risposto relativamente al numero minimo di part-time previsto che secondo la norma deve essere concesso dall’azienda. W l’italia.
Post molto interessante, ne condivido le idee: se anche in Italia fosse obbligatorio il congedo parentale per i padri ci sarebbero meno datori di lavoro che preferirebbero assumere uomini perchè loro non stanno a casa per i figli…
Poi c’è da dire che anche la mentalità della maggior parte degli uomini sarebbe costretta a cambiare: conosco molti che non vedono l’ora di tornare a lavoro dopo una o due settimane a casa col piccolo perchè “è meno faticoso” oppure che hanno criticato apertamente mio marito perchè è rimasto a casa “ben” un mese in paternità (poteva prenderlo perchè io sono libera professionista e non ho diritto alla maternità)!