L’aborto in Italia: dalla 194 alla RU 486

Comunque la si pensi, qualunque sia la nostra fede o non fede religiosa, qualunque siano le nostre idee in proposito, nessuno potrà negare che nel 1978 l’Italia ha compiuto uno dei suoi momenti di svolta culturale.
Il percorso che aveva portato il nostro Paese dal mondo rurale a quello del boom economico, doveva sfociare in grandi e sofferte scelte legislative che prendessero atto che si entrava in un’altra epoca. Il decennio degli anni ’70 è stato uno dei più intensi in quanto a produzione normativa che esprimeva una nuova società: la legge sull’aborto, quella sul divorzio, ma anche lo statuto dei lavoratori e così via.

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Fino al 1975, in Italia l’aborto era sostanzialmente illegale, in qualsiasi forma e per qualsiasi motivazione. O l’aborto era spontaneo, oppure era reato, sia per la madre che per il personale medico o paramedico (o altro!) che lo praticavano.
Ovviamente l’escamotage più evidente era quello di far passare tutto per aborto spontaneo, con pratiche clandestine (più o meno, ovviamente) ai limiti del disumano.
Altra possibilità, sviluppata dalla giurisprudenza, era quella di ritenere l’aborto, in alcuni casi, giustificato dallo “stato di necessità“, previsto dall’articolo 54 del codice penale (come causa scriminante: che rende non punibile un comportamento altrimenti illecito), ritenendo così non punibile l’intervento abortivo reso necessario per salvare la vita della gestante e, in taluni casi, anche per ragioni di salute, purché gravi. Era comunque una situazione che prevedeva l’intervento dell’autorità giudiziaria e, quanto meno, un’indagine (se non un processo).

Nel 1975 la Corte Costituzionale pronunciò una sentenza storica (n.27), a dimostrazione che quasi sempre è la giurisprudenza che si adegua ai tempi ed alla società, prima che le leggi si mettano al passo. Un passaggio di questa sentenza sanciva per la prima volta che ““[…] non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare“.
Questo concetto, che tanto avrebbe dato da discutere negli anni successivi, apriva la strada alla possibilità di considerare non più reato l’aborto terapeutico.

Nel 1978, dopo un intenso dibattito politico sì, ma essenzialmente culturale (come allora lo fu la politica), i tempi erano maturi per la legge n.194, che porta il titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza

La LEGGE n.194/1978, per estrema schematizzazione, prevede tre momenti della gestazione che sono sottoposti a regime giuridico diverso quanto alla possibilità di interrompere la gravidanza.
Il periodo dall’inizio della gravidanza al 90° giorno è quello in cui l’aborto volontario è consentito comunque. La formula legislativa (art. 4) è molto ampia ed anche se si è mantenuto il riferimento ad un motivo di salute fisica o psichica della donna, sostanzialmente è la volontà della donna a prevalere.
Anche la comunicazione da parte del personale sanitario cui ci si rivolge al padre del concepito, possono essere effettuate solo su autorizzazione della gestante.
Rivolgendosi ai consultori (di cui si prospettava nella legge l’istituzione e che oggi non godono di “buona salute” su gran parte del territorio), al medico di base o ad una qualsiasi struttura ospedaliera, si ha diritto ad accedere gratutitamente all’interruzione di gravidanza.
Nel periodo che va dal 4° mese di gravidanza alla possibilità di vita autonoma del feto, invece, l’aborto è legittimo solo se terapeutico. Anche in questo caso la formula è ampia (artt. 6 e 7): ci si riferisce anche alla necessità terapeutica di salvaguardare la salute psichica della donna o a motivi c.d. “eugenetici”, cioè evitare la nascita di un bambino con gravi malattie. Comunque è necessaria una certificazione medica che consenta il ricorso all’interruzione.
C’è poi il periodo (piuttosto breve) compreso tra il momento di vitalità autonoma del nascituro e la nascita, in cui l’interruzione è consentita solo per un pericolo di vita della donna (è la l’ipotesi che consente ai medici di operare una scelta, in caso di gravi complicazioni nel momento della nascita o di poco precedente, su chi salvare tra madre e figlio).

Ovviamente dall’inizio del 4° mese di gravidanza, si apre tutto un territorio in cui continuano a proliferare gli aborti clandestini. Negarlo è chiudere gli occhi all’evidenza.
Numerosissime le inchieste giornalistiche sull’esistenza di medici e strutture sanitarie, anche clandestine, disponibili ad offrire questo tipo di “prestazione”, del tutto illegale.
Gli articoli da 17 a 20 della L. 194/78 sanzionano proprio i reati di “procurato aborto“, distinguendo tra quello colposo (per esempio derivato da un trattamento medico errato); a quello doloso provocato senza consenso della donna (come per esempio conseguenza di percosse); a quello che prevede la violazione delle norme della legge, quindi su richiesta della donna (che viene punita in modo piuttosto lieve rispetto a chi pratica l’aborto).

Con l’entrata nel circuito farmaceutico italiano del farmaco chiamato RU 486, la così detta pillola abortiva, si è creata una polemica o un allarmismo piuttosto sterile, in quanto risolvibile con una semplice lettura delle norme.
La RU 486 non può in alcun modo considerarsi contraria alla legge 194/78, in quanto in nessuna norma si indica con quale tipo di procedura debba attuarsi l’interruzione di gravidanza. Nella legge non si menziona neanche se il trattamento abortivo debba essere medico o chirurgico.
Anzi, nell’art. 15, si specifica che le regioni debbono promuovere l’aggiornamento del personale e l’applicazione nelle strutture sanitarie delle tecniche più moderne, innovative e sicure per la salute delle donne. In questo, dunque, la legge 194 è stata lungimirante: non solo l’uso della RU 486 non si oppone alla legge, ma anzi potrebbe considerarsi promosso da questa, laddove fosse certo che si tratti del metodo meno invasivo e più sicuro.

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66 thoughts on “L’aborto in Italia: dalla 194 alla RU 486”

  1. Insisto con delle affermazioni davvero poco politically correct.
    Cara D. Parli di salvare bambini, ma quelli per i quali L’I.V.G. è consentita, non sono bambini, ma feti.
    Parli di aiutare le donne che non vogliono abortire. C’è forse una legge che lo vieta?
    Parli di accoglienza. Sai quanati bambini già nati vivono in condizioni di enorme sofferenza sia morale che materiale? Perchè tutto questo movimento pro vita non si adoperano un po’ per loro?
    A me i tuoi discorsi sempreano davvero viziati da una forte dogmaticità.
    La vita , per la sottoscritta, non è per forza un valore assoluto. Insisto a dire che sempre per la sottoscritta, non tutte le vitre sono degne di essere vissute.
    Però so anche che è una mia opinione personale, non la verità assoluta e che non mi sognerei mai di inporre le mie idee a chi non la pensa come me.
    Ciò che invece molti tentano costantemente di fare. Benvenga, a mio parere, il relativismo etico, ove si mantenga il rispetto degli altri dei loro spazi e delle loro libertà.
    La legge sull’aborto non solo non è il male, ma ha funzionato.
    Da quando è stata promulgata gli aborti sono diminuiti, non aumentati.
    Una maggiore educazione sessuale (anche ma non solo) di promozione di una cultura contraccettiva senza falsi moralismi (che qui in Italia è ben al di là da venire), aiuterebbe ad evitare molte interruzioni di gravidanza.
    A parte la questione del garage (che fa pure un po’ ridere) anche io ho deciso di avere mia figlia solo con una casa e un lavoro sicuro alle spalle.
    Ma è stato un gesto d’amore, per me è stato prepararle un nido caldo in cui crescere.
    Mettere al mondo un figlio è il più grande gesto d’amore e di responsabilità che una donna ( e un uomo, quando c’è)può fare. Non si può tornare indietro, nè si può mettere al mondo una creatura con leggerezza, perchè sarà poi il futuro bambino (già nato) a patirne le conseguenze.

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  2. Scrivo premettendo che non ho dati, né abbastanza informazioni, né statistiche né fonti. Da ignorante quindi (nel senso buono, non conosco la materia). E premettendo anche che non ho tempo ora e non ho letto tutto fino in fondo, quindi magari ripeto.

    Io credo che ci siano donne recidive. Ne ho conosciute. così come ho conosciuto una ragazza già madre a 16 anni, di nuovo madre a 17, senza lavoro e con un marito con lavoro precario, ovviamente senza diploma, aiutata dall’assistenza sociale e che a 26 anni di figli ne aveva 5, tutti e 5 in periodi di crisi affidati fuori famiglia. Ecco, purtroppo i limiti ci sono, c’è chi insiste da una parte e chi dall’altra.

    Ma credo anche che siano casi.

    Credo anche che sia vero che gli aborti siano aumentati, ma non penso che dobbiamo paragonarli ai figli nati ma ad altri dati: quanto sono diminuiti gli aborti clandestini? E quanto le complicazioni causate da questi? E quanto gli abbandoni?

    Ecco, forse ci siamo dimenticati che una volta esisteva (si chiamava sacra ruota? non mi ricordo) un istituto dove le donne potevano abbandonare i propri figli sapendo che non sarebbero morti, ma cresciuti lì finché non avessero trovato famiglia (se la trovavano). Perché ce lo siamo dimenticati?

    Ora, anche io penso che l’aborto non sia la soluzione migliore, penso che ce ne dovrebbero essere altre. Dallo spiegare davvero la sessualità ai ragazzi (mia madre mi ha chiesto se avevo voglia di parlare di sesso a quasi 17 anni! Io prendevo la pillola da un anno ormai, ma se avessi aspettato lei?), al diffondere meglio i metodi contraccettivi (e qui scusate, non sono contro la chiesa e non ho fatto un corso prematrimoniale, ma stando a quel che mi hanno detto promuovono i metodi naturali con molta foga, e si sa che non sono poi così affidabili, almeno non per tutti). Ma anche dopo, vedere se si può aiutare una madre ad avere quel figlio che non vuole. Poi non parlo dell’affidamento, ossia di portare a termine una gravidanza per poi dare in adozione un figlio che non si vorrebbe, perché mi sembra tanto civile quanto impossibile in un mondo come questo dove se abortisci ti marchiano come assassina, e se dai in adozione tuo figlio chissà che etichetta ti porti dietro per sempre (madre snaturata? i figli quella non li merita? mah…).

    Insomma, io continuo a pensare che sparare a zero su chi abortisce non serve a nulla! Anche il dottore dell’intervista, ma lui per quella che ha abortito 40 volte (lo prendo per vero anche se con difficoltà) cos’ha fatto? Una, due, tre… poi nessuno interviene? Nessuno guarda cosa c’è dietro? Persino a quella parente di cui ho parlato in un altro articolo che ha abortito più volte (e lì c’erano casi di violenza in casa, è per questo che mi chiedo, puntare il dito contro lei si, ma andare a vedere che succede no? E farla arrivare al tentato suicidio è meglio?) le hanno poi proposto la legatura delle tube, ben accettata. Perché giudichiamo ogni donna che passa da lì senza chiederci “c’è qualcosa che possiamo fare? Se non per ora che è tardi, per la prossima volta?”

    E comunque, la donna che è recidiva non ha niente a che vedere con quella che lo fa con la sofferenza nel cuore, o solo con la consapevolezza che non c’è un’altra scelta. E se c’è un’altra scelta, allora il medico col dito puntato gliela offra, e lo abbassi quel dito, perché io concordo sul fatto che un feto, anche se non nato, merita rispetto, ma tanto più merita rispetto chi al mondo c’è già, qualunque scelta faccia.

    E ripeto, spero di non aver detto strafalcioni, non ho pretese scientifiche!

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  3. Temo di essere sul punto di scrivere il post più lungo della storia, e me ne scuso in anticipo.
    Voglio precisare che il dott. Tarantini non è il mio eroe. Non lo è per il lavoro che fa, non lo è perché traspare un atteggiamento sgradevole, di quelli “è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare, quindi meglio che me ne occupi io”, non lo è per il linguaggio che usa. Proprio perché non è il mio eroe, devo riconoscegli di non parlare “pro domo sua” e certi dati che fornisce devo ritenerli quanto meno attendibili. Perché l’aborto (e qui rispondo a Serena) è stato fatto passare in Italia (dai radicali) portando i casi estremi: ragazzine stuprate, donne morte di parto, tragedie davvero enormi. In quell’Italia, in quei tempi, senza l’impatto emotivo di questi casi la legge non sarebbe mai passata. Ma lo scopo finale, quello di fatto ottenuto dalla legge, è una piena responsabilità personale della donna rispetto a questa scelta. Oggi molte donne, la maggior parte, considerano questa responsabilità personale un diritto prezioso di cui fare uso secondo il proprio giudizio. Al punto che se qualcuno porta l’esempio opposto, di gravi tragedie scaturite da questa legge (almeno analoghe a quelle presentate dai radicali a suo tempo), gli si risponde che si tratta di casi isolati, di tristi effetti collaterali, lo si zittisce dicendo che manca di rispetto o che vuole colpevolizzare le donne. Però non c’è nessun altro ambito in cui un essere umano possa rivendicare un completo arbitrio su un altra vita, quindi il punto è quanto meno critico e, detto fuori dai denti, secondo me le donne sono le prime vittime dell’aborto, quindi:
    1. non si tratta di colpevolizzare le donne, si tratta di salvare i bambini;
    2. si tratta di sostenere in tutti i modi le donne che preferirebbero non abortire (aspetto completamente trascurato della 194), con una caparbietà per ora messa in campo solo da pochi volontari isolati;
    3. si tratta di diffondere una cultura pro-vita, informando ad esempio i futuri genitori su come può essere la vita con un bambino con una certa malformazione genetica, su quali sarebbero le prospettive, le aspettative, le condizioni di vita;
    4. si tratta di promuovere una rivoluzione culturale, specie tra i giovanissimi, che veda nella sessualità un aspetto grande e vitale della vita emotiva umana, uno dei gesti più creativi in assoluto, tanto che è il gesto con cui si creano altri esseri umani, un atto di dono e di comunicazione estrema, non un gesto da buttare lì tra tanti altri, svuotato di senso e ripetuto all’infinito;
    5. la cultura contraccettiva portata all’estremo ha portato a conseguenze gravi quale l’estrema mercificazione del corpo femminile, la cesura del legame (anche mentale) tra sessualità e procreazione, l’opinione generalizzata che esista solo la scelta di procreare o non procreare, con tutto il ventaglio di soluzioni possibili (dalla pillola all’aborto), senza prendere in considerazione l’eventualità che talora la vita si possa presentare e imporre secondo leggi proprie e che talora non si tratta di scegliere, ma di accettare, si tratta dunque di modificare tale cultura contraccettiva estrema.
    In questo quadro, spero che sia chiaro che per me vietare o permettere l’aborto è solo un problema marginale, senza tutto quello che ho scritto sopra vietare significa rendere clandestino, non vietare significa che lo stato dà la sua approvazione a un male e lo rende maggiormente accessibile e disponibile a tutti.
    Infine, a Silvia, sulle statistiche circa aborti/nati: se contestualizzi il dato con quello che dico sulla cultura contraccettiva, risulta evidente che in Italia c’è stata un’esplosione di tale cultura, una forte tendenza alla denatalità che confermano tutte le statistiche (ora parzialmente in risalita grazie alle donne immigrate), una cultura che ci fa ritenere di avere tutto il diritto di scegliere se, quando, come avere o non avere un figlio, rendendo la vita uno schemino di priorità, dove un figlio si pesa sulla bilancia con il successo, con la carriera, con la possibilità di mantenere un certo tenore di vita… io ho dei parenti che hanno deciso di fare un figlio dopo aver finito di pagare il GARAGE. Ho sperato con tutto il mio cuore che quel bambino non sappia mai che nell’elenco di priorità dei suoi genitori veniva dopo il garage.
    In questo quadro l’aborto è uno strumento, in un ventaglio, che ci dà l’impressione di poter controllare tutto, di essere liberi di scegliere, mentre a volte la libertà è anche vivere con profondità: un sesso che è fecondo, una fecondità che che è più grande di noi, che non si controlla, che porta la vita come qualcosa di enorme, di non mio o tuo, ma qualcosa che irrompe e vuole esserci.
    Molte, più o meno velatamente, mi hanno accusata di essere portatrice di una specie di ideologia, non mi preoccupo, perché so di cosa sono portatrice, però attente, ci sono altre ideologie, più striscianti, una sorta di pensiero unico che vuol farci credere che esistono solo le opinioni, che tutto è relativo (tranne la stessa relatività, che non può mai essere messa in questione), una specie di ecologismo anti-umano, che ci fa protestare contro gli organismi OGM, ma non contro i figli in provetta, che ci fa andare in sollucchero quando ci parlano di Gaia, il pianeta vivente, la terra come un organismo da rispettare al punto da considerare l’essere umano quasi un parassita, ma ci richiede che l’uomo sia invece libero di poter intervenire anche pesantemente sulla propria prole… un mondo soffocante, onestamente, dal quale non si esce (solo) con le leggi, ma con una nuova cultura.
    Ho letto in molti blog un rigido moralismo circa la raccolta differenziata, le risorse idriche o il riciclo estremo… alla fine sono altari anche questi, solo che sono altari a dèi minori, lo stesso fremito che prova il nostro mondo rispetto a un rifiuto non correttamente smaltito è ancora in grado di provarlo ripetto ai frutti di milioni di concepimenti, smaltiti per sempre?

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    • D., questo ultimo punto che tocchi mi trova molto d’accordo: “accusare” qualcuno di essere portatore di un’ideologia, mi sembra senza senso. Fai degli esempi che fanno riflettere molto. Essere protatore di idee, di idee che confluiscono in un progetto, non può essere mai un dato negativo.
      In questi giorni, poi, ti ho visto “difendere” queste idee con convinzione e con coerenza, anche quando sono state contrastate dai più.
      Certo… ‘sto dott. Trantini è così sgradevole che si fa fatica a sopportarlo…

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  4. @ d. beh, dico! Ok per le opinioni diverse, ma mi chiedo se si tratta solo di opinioni, o se , per ipotesi potendo,non ti dispiacerebbe eliminarla questa possibilità.
    Scusa la franchezza, ma io vedo un mondo molto diverso da quello che descrivi tu e se ci sono dei casi limite ben vengano se tutalano la libertà di scelta.
    Attenzione ad aumentare i diritti del concepito. Da un punto di vista giuridico questo aumento farebbe diminuire in maniera inversamente proporzionale quelli della donna.
    Io porto in pancia il bambino, io partorisco: io scelgo.Io divento arbitro di quella vita. Ne ho più diritto io di chiunque altro.
    E chi altro poi? L’ennesimo uomo che vede la donna come solo come un’incubatrice.

    Scusate la crudezza

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  5. Beh, al Dott. Tarantini riconosco che no ha peli sulla lingua e non sta certo li a pesar le parole per diplomazia…
    L’intervista è di per sè scioccante.
    Francamente faccio molta fatica a credere a tutte queste signore bene che abortiscono come farsi un’iniezione di botox. Io questo mondo sfavillante e spietato da versione noir di sex and the city non lo vedo intorno. Si vedo che non frequento gli stessi ambienti che si avvalgono della clinica svizzera!

    Un’affermazione, secondo me, manipolata: “Se li contiamo in rapporto ai bambini nati, si vede che non hanno fatto che aumentare.”
    Vabbè, se facciamo un discorso di percentuali è ovvio: le nascite si non abbattute negli ultimi trent’anni, ma non credo per l’aborto. Molta gente i figli non li procrea e basta.
    Prima del 78 le percentuali erano falsate dalla clandestinità ed i figli erano molti. Dopo il 78 iniziano ad affiorare i dati, ma nel tempo diminuisce, per ben altri fattori, la natalità. Il risultato finale è che c’è una percentuale maggiore di aborti per nascite. Ma quell’affermazione è giocare con i numeri! Poco diplomatico, ma buon politico, il dottore.

    Un’affermazione, secondo me, decisamente infondata in quanto non sostenuta da alcuna prova: “Prima, avere bambini, era tutto: i nostri vecchi davano la vita ed erano più contenti di noi”. Immagino la felicità di tutte le donne morte di parto. Proporrei poi al dott. Tarantini, tanto nostalgico dei bei tempi andati, un viaggio indietro nel tempo in un istituto per disabili gravi di trenta o quarant’anni fa. Gli handicappati erano “mostri”, abbandonati a se stessi in luoghi infami. E qualcuno si legga due cose su Basaglia e sui manicomi (che poi erano ricettacolo di ogni tipo di diversità, di handicapp e di sofferenza). Che i tempi non saranno tanto migliorati, ma pure prima c’era ben poco da stare allegri.

    Un’affermazione, secondo me, sacrosantamente vera: “L’aborto è un affare sporco che nessuno vuole più guardare! Né i medici, né la società, né le donne che non sanno più di che si tratta” Si, tranne le donne che hanno abortito però… quelle che non badano troppo al fatto che la pillola faccia ingrassare, quelle che non vanno nella clinica svizzera, insomma. Per il resto è verissimo: meglio girarsi dall’altra parte e lasciar sole le donne che abortiscono, questo il pensiero dominante.

    Stavolta, la diplomazia l’ho un po’ abbandonata anche io…

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  6. Da “Il Foglio” e da “Tempi” – 17 giugno 2010

    Dopo una vita spesa negli ospedali di tutto il mondo – oggi si divide fra la ASL di Forlì e una clinica svizzera. Valter Tarantini ha 61 anni, fa il ginecologo e dal 1978, anno in cui l’aborto divenne legge, pratica interruzioni volontarie di gravidanza. Ne ha fatte a migliaia: 300 l’anno circa. Quindi, più o meno, 10 mila in una vita. A lui la rivista Tempi ha chiesto che cosa è cambiato dall’entrata in vigore della legge.
    Dottor Tarantini, dalla legislazione sull’aborto ad oggi si dice che le recidive siano aumentate. Conferma?
    Oggi l’aborto non è più l’estrema ratio. Interrompere una gravidanza è diventato una cosa normalissima. Anzi, meno importante di altre. Prima lo si faceva per combattere la morale! Il frutto che vedo oggi è che la morale non c’è più, e che l’80% delle mie pazienti sono recidive. Ogni paziente ha avuto in media dai 3 ai 6 aborti. Ma ho incontrato anche una donna che era al quarantesimo aborto.
    Come spiega che tante donne preferiscano l’aborto alla contraccezione?
    L’aborto stesso con la 194 lo è diventato. Perciò dico che questa legge controlla le nascite, e che sbaglia chi dice che in grazia alla sua buona applicazione gli aborti sono diminuiti. Se li contiamo in rapporto ai bambini nati, si vede che non hanno fatto che aumentare.
    Quindi non ha senso migliorare l’accesso alla contraccezione per le donne?
    Macché, le peggiori recidive sono ricche e istruite e sanno benissimo che cos’è la contraccezione. Ma per loro l’aborto è un fatto così banale, che è uguale a prendere la pillola. Ma c’è differenza! Anzi, per alcune è meglio. «Sa dottore, la pillola fa male. Mi fa ingrassare!». Siccome la contraccezione richiede impegno, l’aborto gli sembra più veloce ancora. Alcune avranno anche problemi psicologici, ma la maggior parte pensa solo alla cosa più comoda. (Impressionante!).
    Ma perché, se le statistiche mostrano che le recidive sono in aumento, nessuno ne parla?
    Perché sarebbe ammettere che il sistema sanitario italiano è fallito per colpa nostra. Invece, che la 194 sia un fallimento, è un’evidenza! Anche se applicassimo al meglio la prima parte potenziando la prevenzione e i consultori. Puoi cercare qualsiasi risoluzione, ma il problema è che se una non pensa che la vita del figlio sia più importante di tutti i problemi, non si risolve nulla. Prima, avere bambini, era tutto: i nostri vecchi davano la vita ed erano più contenti di noi. Mi chiedo perché sia sparito tutto questo, perché si sia perso il senso della vita. Le faccio degli esempi: una ragazza di 25 anni è arrivata con l’amica ridacchiando a chiedere l’aborto… Vedono il bambino nel monitor e iniziano a ridere. “Che carino! – dicevano – Guarda come si muove!”. Oppure, penso a una che mi disse: “Dottore, non è che mi lascia la foto dell’ecografia come ricordo?”.
    Per non parlare delle domande più frequenti: «Dottore, era maschio o femmina? Quando posso avere rapporti sessuali? Quando posso mangiare?
    Vede delle soluzioni?
    Ho proposto a Gianfranco Fini e alla Lega di far pagare l’aborto, non nel privato, sennò ci speculerebbero sopra, ma restando nel pubblico. Non vedo infatti perché i contribuenti debbano pagare 1300 euro a una persona che non è malata, sta bene, non ha problemi.
    Come giudica la via lombarda di stanziare fondi per i Centri di Aiuto alla Vita?
    Non risolve il problema! Quella economica è solo una motivazione in più, non la principale! Anzi, le ripeto, le più incallite sono le benestanti. Le extracomunitarie sono forse le uniche che sono dilaniate dal dramma. Le recidive poi, l’assistente sociale non la vogliono nemmeno vedere. Un figlio non lo tieni per un assegno, lo tieni per altro! Il problema è a monte. Il punto è il rifiuto della maternità.
    Se una paziente richiede un aborto per motivi inconsistenti, lei che è medico non obiettore può rifiutarsi di intervenire?
    Se lo facessi finirei su tutti i giornali, che mi denuncerebbero, perché ho violato la legge! Formalmente una donna un motivo lo trova sempre. Tempo fa venne da me una coppia giovane e benestante che aveva deciso di abortire un figlio. Domandai perché. Mi risposero che era un po’ presto per avere figli. «E quando avete intensione di averne?», chiesi. «Mah, l’anno prossimo», risposero. E chiaro che in quel caso il motivo non sussisteva, ma ne hanno trovato uno. Ti dicono che sen on lo fai si buttano giù dalla finestra… che gli rovini la carriera! Per questo tanti (medici) hanno iniziato a fare obiezione. Scappano tutti!
    Ma la RU486, non peggiora le cose?
    È solo una conseguenza! L’aborto è un affare sporco che nessuno vuole più guardare! Né i medici, né la società, né le donne che non sanno più di che si tratta.
    Lei afferma che occorre scoprire il valore della maternità. Lei non può aiutare le donne che incontra, in questo percorso?
    Ma non vede che sfascio? Penso che non servirebbe a nulla. prima c’erano gli ideali. (E quali, se non quelli cattolici? Nota del trascrittore). La vita si dava per qualcosa. Oggi non interessa più nulla, se non il piacere passeggero, l’edonismo sfrenato! Mia madre invece mi ha voluto bene. Si faceva il mazzo per me, e anche a suon di schiaffi mi diceva cos’era bene e cos’era male.
    E allora, non sarebbe opportuno farlo anche con le sue pazienti?
    Non so se mi ascolterebbero. Mi darebbero del rompipalle! Non basta nemmeno quando gli dico che il figlio è un bene sempre e comunque e che è vita dall’inizio.
    Se pensa a queste cose, perché continua a praticare interruzioni di gravidanza?
    Ho iniziato perché a 25 anni ho visto morire due donne per aborto clandestino. Non vorrei tornassimo a situazioni di questo genere. Lo faccio per quelle poche che mi sembrano disperate.
    Ma magari lascerebbe un segno maggiore se, come i suoi genitori hanno fatto con lei, indicasse un ideale più alto: quello del valore della vita, invece che correre ai ripari mettendo a tacere le coscienze?
    Non so. Io non basto. Tutto il mondo continuerebbe a dire il contrario. Quest’epoca assomiglia all’Impero romano in decadenza con i barbari che avanzano. Noi, anziché combatterli, diventiamo come loro! Cosa posso fare io da solo, se smettessi di fare gli aborti?
    I monaci alla caduta dell’impero hanno ricostruito tutto da soli e rieducato persino i barbari.
    Forse noi cristiani abbiamo calato le braghe. Ci siamo vergognati del cristianesimo. un tempo i cristiani si facevano mangiare dai leoni. Oggi noi scappiamo. Un tempo amavano i figli, oggi li uccidiamo! Forse il “problema a monte” siamo proprio noi. E i barbari, invece che cambiare, arrivano qui, e ci trasformano loro.

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  7. il caso del bambinodi 22 settimane fa notizia, e per questo è finito sulla cronaca.
    Nonè lo “standard”, perchè probabilmente nessuno si aspettava che fosse vivo data l’età gestazionale(scientificamente non si considera la possibilità che un feto nasca vivo prima delle 24 settimane), e per questo nessuno SE NE E’ ACCORTO.E’ un errore sanitario come ce ne sono migliaia in Italia.
    Ma ti assicuro che non è lo standard.

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  8. Cara D.,
    rispetto anche se non condivido la tua opinione, però non condivido l’uso strumentale che fai di certi episodi che, per la legge dei grandi numeri, purtroppo inevitabilmente accadono.
    Non sono un medico ma da quello che so un feto di 22 settimane non può sopravvivere. Sotto le 36 settimane il feto può avere problemi nello sviluppo dell’apparato respiratorio, sotto le 30 settimane la probabilità di deficit neurologici aumenta esponenzialmente.
    Mi rattrista pensare che un feto sia stato abbandonato senza che ci si curasse del fatto che respirasse. Anche la rianimazione forzata però personalmente la trovo una pratica grottesca.
    Vorrei anche sottolineare la differenza di approccio che c’è tra noi. Personalmente credo che un embrione al concepimento non sia un bambino e che non sia corretto paragonarlo a un bambino vivo.
    Capisco che il tema ti stia a cuore ma a mio avviso non è corretto paragonare chi è favorevole all’aborto a uno psicolabile che va in giro ad ammazzare la gente a caso (riassunto un po’ approssimativo dell’ultimo paragrafo del tuo post).
    Fortunatamente finora non ho dovuto affrontare questa esperienza e prego che non mi capiti mai, i post di questo mese mi hanno lasciato un senso di impotenza e di ingiustizia, alcuni mi hanno addolorato.
    Ribadisco che si tratta di una scelta, non voglio di nuovo ripetermi con il libero arbitrio che per me vuol dire scegliere, nel bene e nel male.
    Ecco, auspicherei in generale un po’ di rispetto per le donne che hanno dovuto e devono affrontare questa scelta.
    Ciao

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  9. Il 24 aprile 2010, a Rossano (CS), è stato effettuato un aborto “terapeutico” alla 22 settimana. Il corpicino è stato avvolto in una tela bianca, in attesa di essere “smaltito” con gli analoghi rifiuti. Il giorno dopo, il cappellano, recatosi a pregare in sala operatoria, ha sentito gemere e lo ha trovato vivo. Solo grazie alle sue proteste il bambino è stato messo in incubatrice, dove è morto due giorni dopo. Ovviamente nessuno sa se sarebbe sopravissuto nel caso in cui fosse stato assistito immediatamente alla nascita.
    Qualcuno ha scritto sopra di informarmi, che i bambini nati vivi da un aborto vengono rianimati come gli altri… evidentemente non sempre. Eppure nessuno verrà indagato per omicidio, o per omissione di soccorso. Quell’esserino che è vissuto tre giorni disperatamente non vale niente, non può essere niente, il suo dolore non verrà pesato, perché se qualcuno lo prendesse sul serio, se qualcuno lo guardasse negli occhi e ci vedesse un essere umano come me e voi, le conseguenze sarebbero enormi. E le donne vogliono tenersi il proprio diritto di “scegliere” (negando al bimbo questo diritto), anzi sono ben preoccupate (come Marisa, qui sopra) “che l’ ampliamento del diritto del concepito non sia visto in conflitto con il riconoscimento dell’autonomia morale della donna incinta”, ma direi che il conflitto c’è comunque: solo che si tratta di un conflitto ad armi impari. Da una parte c’è una persona che può decidere, argomentare, agire. Dall’altra c’è una parsona che può solo dipendere, per la vita o per la morte.
    A me l’aborto terapeutico fa pensare a quella vecchia barzelletta, la ricordate?: “L’operazione è perfettamente riuscita, il paziente è morto”. Solo che non fa ridere.
    Cosa c’è di terapeutico nel lasciare morire un essere umano tra i rifiuti non riuscirete a spiegarmelo in un milione di anni.
    Vorrei inoltre ricordare che non è che non uccidiamo altri esseri umani per l’affetto o il legame che abbiamo con loro, non li uccidiamo perché la loro vita vale quanto la nostra… so anch’io che con i figli nati c’è un rapporto diverso rispetto a quello che avevo con loro durante la gravidanza. Ma nel mondo ci sono milioni di bambini che non conosco, per cui non provo un particolare affetto, alcuni dei bambini che conosco mi stanno persino antipatici: sono dunque autorizzata a eliminarli?
    Sono il sentimento, l’umore, lo stato psicologico, la base della nostra possibilità di disporre di altre vite?
    O una vita richiede rispetto per il solo fatto di esserci?
    Attenzione, perché la differenza tra queste due domande ha ricadute enormi. La risposta a questa domanda apre lo scenario su due civiltà completamente opposte.

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    • Cara D. quello che è successo a Rossano è terribile, ma credo abbia poco a che vedere con l’aborto terapeutico in se e tanto con la mala sanità. Che nessuno si sia preso la briga di controllare le condizioni del piccolo dopo l’aborto non è certo colpa della donna che ha deciso di abortire.
      Come ben sai, il termine terapeutico non si riferisce al feto, ma alla donna. Quando si procede ad un aborto terapeutico infatti vengono prese in considerazione le condizioni di salute, fisiche e psicologiche, della donna che richiede l’aborto. Da quello che le persone hanno scritto su questo sito in questi pochi giorni da quando abbiamo iniziato a confrontarci su questi temi, non mi sembra sia emerso nessuno che usi l’aborto come terapia anticoncezionale, o che prenda decisioni sulla base dell’umore del momento. Quello che è emerso invece è che per tutti è un momento difficile, e qualsiasi scelta si faccia le conseguenze si portano dentro per tutta la vita, nel bene e nel male.
      Io credo come te che una vita richiede rispetto per il solo fatto di esserci, e dubito che tra i lettori si questo blog ci sia qualcuno che la pensi diversamente. Il punto sul quale è difficile, se non impossibile, mettersi d’accordo è a partire da quale momento si possa o debba considerare vita umana. E questo apre un dibattito praticamente infinito.

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  10. Per Silvia:

    non sono una giurista e non vivo in Italia da circa 10 anni. Voglio io sperare, tuttavia, che l’ ampliamento del diritto del comcepito non sia visto in conflitto con il riconoscimento dell’autonomia morale della
    donna incinta, ovvero la sua capacità di decidere in modo responsabile su come affrontare la situazione di conflitto morale che viene a crearsi quando si pensa ad una IVG. Non nego certo l’ esistenza di tale ctto morale, che ho vissuto a mia volta, ma fortunatamente io ho potuto nel 1987 a Roma, decidere in autonomia secondo il mio principio di responsabilita’.

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  11. Mi associo in toto a Marisa e ha ragione Mammaimperfetta quando dice che l’Ivg non è mai affrontato come se fosse una passeggiata.
    Quando ho avuto la mia bimba, dal momento del concepimento, fino ai primi tre mesi, fino alla villocentesi, la tenevo in pancia come una speranza di vita, non come una vita vera.
    So che la mia opinione può essere anche non condivisibile, ma può non esserlo neppure quello di D., seppur apprezzo il coraggio con cui difende le sue idee.
    Ma l’affetto che provo per mia figlia ora, non è minimamente paragonabile ai sentimenti confusi e incerti che provavo mentre era ancora dentro di me.
    Quando è nata il mondo per me si è capovolto. Ora darei la mia vita per lei, non prima.
    Ricordo inoltre che è norma del codice civile che fa acquisire diritti alla nascita e non al concepimento.

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    • Elisa, mi hai fatto riflettere con questa tua osservazione… Forse è così anche per me “ora darei la mia vita per lei, non prima”.
      Sicuramente e fortunatamente non ho avuto occasione di mettermi alla prova, ma capisco quel senso di rivoluzione che è iniziato solo alla nascita, non prima.

      (d’accordo sulle norme del codice, ma c’è una notevole serie di leggi e sentenze della corte cost. che stanno ampliando il diritto del concepito sulla base di principi costituzionali…)

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  12. Per D.:

    Io ho abortito una volta sola. L’ unica volta nella mia vita in cui sono rimasta incinta. Avevo allora 27 anni. Ora ne ho 51. Mai e dico mai avuto un ripensamento, mai provato senso di colpa.
    Sono una donna normale, non una donna degenere.

    Il diritto all’ aborto deve essere salvaguardato, per non costringere le donne, che continueranno comunque ad abortire, a risolvere la questione rischiando magari la loro vita.

    Che si tratti di una scelta libera o no, fatelo decidere solo a loro.
    Non imponete a nessuna donna la vostra visione di cosa sia una libera scelta. Altrimenti non vedo a cosa si riduca la “libera scelta”.

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  13. Barbara, ti dico quale è stato il nostro percorso. Noi non abbiamo patologie genetiche in famiglia e siamo sotto i 35, quindi non avevamo un sospetto particolare. Abbiamo chiesto consiglio a un’amica che lavorava al Sant’Anna in questo settore e lei ci ha risposto che, se non si ha una “pista” da seguire, le indagini genetiche possono essere utili fino a un certo punto. Infatti le anomalie genetiche che portano problemi possono essere tantissime e non è possibile indagarle tutte con l’esame genetico. Lei quindi ci ha consigliato di affidarci ai risultati del bitest e di fare un’accurata ecografia morfologica. La morfologica, diceva, spesso è la prova del nove perché molte sindromi portano alterazioni a carico degli organi interni, dello scheletro e/o dei lineamenti.
    Mentre poi ci sono alterazioni genetiche che potrebbero essere rilevate come anomale ma non portano nessun danno particolare o gravemente invalidante alla persona.

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  14. D., non lo metto in dubbio. Volevo solo spendere una parola a favore di chi invece fa le cose con attenzione… magari qualche genetista del Policlinico ci sta leggendo 🙂

    Volevo dire che sono anch’io d’accordo con Lanterna e Daniela: nel caso dovessi avere un secondo figlio probabilmente scegliero’ di fare l’amniocentesi in un centro privato dove facciano piu’ esami: come mi disse una volta una mia amica ho delle precise responsabilita’ nei confronti della mia prima figlia. Sono anche d’accordo con mammadifretta: preferisco spendere dei soldi (tanti, temo) che fare piu’ prelievi.

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