Comunque la si pensi, qualunque sia la nostra fede o non fede religiosa, qualunque siano le nostre idee in proposito, nessuno potrà negare che nel 1978 l’Italia ha compiuto uno dei suoi momenti di svolta culturale.
Il percorso che aveva portato il nostro Paese dal mondo rurale a quello del boom economico, doveva sfociare in grandi e sofferte scelte legislative che prendessero atto che si entrava in un’altra epoca. Il decennio degli anni ’70 è stato uno dei più intensi in quanto a produzione normativa che esprimeva una nuova società: la legge sull’aborto, quella sul divorzio, ma anche lo statuto dei lavoratori e così via.
Fino al 1975, in Italia l’aborto era sostanzialmente illegale, in qualsiasi forma e per qualsiasi motivazione. O l’aborto era spontaneo, oppure era reato, sia per la madre che per il personale medico o paramedico (o altro!) che lo praticavano.
Ovviamente l’escamotage più evidente era quello di far passare tutto per aborto spontaneo, con pratiche clandestine (più o meno, ovviamente) ai limiti del disumano.
Altra possibilità, sviluppata dalla giurisprudenza, era quella di ritenere l’aborto, in alcuni casi, giustificato dallo “stato di necessità“, previsto dall’articolo 54 del codice penale (come causa scriminante: che rende non punibile un comportamento altrimenti illecito), ritenendo così non punibile l’intervento abortivo reso necessario per salvare la vita della gestante e, in taluni casi, anche per ragioni di salute, purché gravi. Era comunque una situazione che prevedeva l’intervento dell’autorità giudiziaria e, quanto meno, un’indagine (se non un processo).
Nel 1975 la Corte Costituzionale pronunciò una sentenza storica (n.27), a dimostrazione che quasi sempre è la giurisprudenza che si adegua ai tempi ed alla società, prima che le leggi si mettano al passo. Un passaggio di questa sentenza sanciva per la prima volta che ““[…] non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare“.
Questo concetto, che tanto avrebbe dato da discutere negli anni successivi, apriva la strada alla possibilità di considerare non più reato l’aborto terapeutico.
Nel 1978, dopo un intenso dibattito politico sì, ma essenzialmente culturale (come allora lo fu la politica), i tempi erano maturi per la legge n.194, che porta il titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”
La LEGGE n.194/1978, per estrema schematizzazione, prevede tre momenti della gestazione che sono sottoposti a regime giuridico diverso quanto alla possibilità di interrompere la gravidanza.
Il periodo dall’inizio della gravidanza al 90° giorno è quello in cui l’aborto volontario è consentito comunque. La formula legislativa (art. 4) è molto ampia ed anche se si è mantenuto il riferimento ad un motivo di salute fisica o psichica della donna, sostanzialmente è la volontà della donna a prevalere.
Anche la comunicazione da parte del personale sanitario cui ci si rivolge al padre del concepito, possono essere effettuate solo su autorizzazione della gestante.
Rivolgendosi ai consultori (di cui si prospettava nella legge l’istituzione e che oggi non godono di “buona salute” su gran parte del territorio), al medico di base o ad una qualsiasi struttura ospedaliera, si ha diritto ad accedere gratutitamente all’interruzione di gravidanza.
Nel periodo che va dal 4° mese di gravidanza alla possibilità di vita autonoma del feto, invece, l’aborto è legittimo solo se terapeutico. Anche in questo caso la formula è ampia (artt. 6 e 7): ci si riferisce anche alla necessità terapeutica di salvaguardare la salute psichica della donna o a motivi c.d. “eugenetici”, cioè evitare la nascita di un bambino con gravi malattie. Comunque è necessaria una certificazione medica che consenta il ricorso all’interruzione.
C’è poi il periodo (piuttosto breve) compreso tra il momento di vitalità autonoma del nascituro e la nascita, in cui l’interruzione è consentita solo per un pericolo di vita della donna (è la l’ipotesi che consente ai medici di operare una scelta, in caso di gravi complicazioni nel momento della nascita o di poco precedente, su chi salvare tra madre e figlio).
Ovviamente dall’inizio del 4° mese di gravidanza, si apre tutto un territorio in cui continuano a proliferare gli aborti clandestini. Negarlo è chiudere gli occhi all’evidenza.
Numerosissime le inchieste giornalistiche sull’esistenza di medici e strutture sanitarie, anche clandestine, disponibili ad offrire questo tipo di “prestazione”, del tutto illegale.
Gli articoli da 17 a 20 della L. 194/78 sanzionano proprio i reati di “procurato aborto“, distinguendo tra quello colposo (per esempio derivato da un trattamento medico errato); a quello doloso provocato senza consenso della donna (come per esempio conseguenza di percosse); a quello che prevede la violazione delle norme della legge, quindi su richiesta della donna (che viene punita in modo piuttosto lieve rispetto a chi pratica l’aborto).
Con l’entrata nel circuito farmaceutico italiano del farmaco chiamato RU 486, la così detta pillola abortiva, si è creata una polemica o un allarmismo piuttosto sterile, in quanto risolvibile con una semplice lettura delle norme.
La RU 486 non può in alcun modo considerarsi contraria alla legge 194/78, in quanto in nessuna norma si indica con quale tipo di procedura debba attuarsi l’interruzione di gravidanza. Nella legge non si menziona neanche se il trattamento abortivo debba essere medico o chirurgico.
Anzi, nell’art. 15, si specifica che le regioni debbono promuovere l’aggiornamento del personale e l’applicazione nelle strutture sanitarie delle tecniche più moderne, innovative e sicure per la salute delle donne. In questo, dunque, la legge 194 è stata lungimirante: non solo l’uso della RU 486 non si oppone alla legge, ma anzi potrebbe considerarsi promosso da questa, laddove fosse certo che si tratti del metodo meno invasivo e più sicuro.
Questo dibattito si è dimostrato veramente pieno di spunti di riflessione, molti per me inaspettati. Vi ringrazio davvero.
Forse fraintendo le parole di D., ma mi sembra che ragioni partendo dal presupposto che sia un fatto accertato che ci sia qualcosa oltre al visibile, mentre purtroppo non lo è. Nei suoi post ci sono tanti punti fermi che per altre persone non lo sono, alcuni di questi credo siano inconciliabili.
Vorrei precisare che sono credente, ma ritengo che l’essere umano possa essere libero di scegliere riguardo a certi temi, tra cui la propria vita, e anche di sbagliare. Si chiama libero arbitrio e ce l’avrebbe concesso proprio Dio.
Posso non condividere certe scelte, nella fattispecie l’aborto, e posso fare di tutto per sostenere la persona che lo sceglie per trovare se possibile un’altra via di uscita. Sicuramente si dovrebbe fare più prevenzione, diffondere i metodi contraccettivi (magari iniziando dal far pagare meno i preservativi?), dare sostegno psicologico ed economico. Se fossimo in un mondo perfetto forse il problema non ci sarebbe. Però alla fine credo che sia la singola persona a dover scegliere e quella scelta va rispettata e se possibile non (troppo) giudicata.
Disclaimer: Questa naturalmente è solo la mia opinione e non è impegnativa per nessuno 🙂
Ciao
Provo a precisare quanto ho scritto (purtroppo le discussioni di questo tipo hanno sempre il rischio di lunghe incomprensioni anche terminologiche, oltre che sostanziali, cosa che almeno in parte si elimina nel dialogo diretto con le intonazioni, con la possibilità di chiedere subito il senso di una frase o di una parola…).
Quando scrivo “Se [la vita] viene da Dio o dalla natura, alcune cose non cambiano” intendo esattamente ALCUNE cose, non tutte. Certamente la natura non è Dio (e viceversa).
Tra queste cose, c’è il fatto che c’è una realtà fuori di noi. Io posso avere una fede fortissima nel fatto che il sole non esista, che sia solo una mia illusione personale o un’illusione collettiva del genere umano, ciò non toglie che quella particolare stella se ne rimanga esattamente lì dove sta e non modifichi neppure di una virgola il proprio essere in relazione alle mie convinzioni.
Ora, quando si discute di alcuni temi riguardanti la vita, si ha l’impressione che ci sia una sola affermazione che non può essere messa in discussione, e cioè che tutto è relativo, che tutto deve dipendere solo da come il singolo percepisce le cose. Se io provo a richiamare le ragioni di qualcosa che sta FUORI dalla percezione del singolo, mi si dice che sono poco rispettosa. Il punto è che io non posso evitare di prendere in considerazione il fatto che ci sono DUE vite e quell’altra vita lo è anche se qualcuno non la ritiene tale (e ammettiamolo, non sarebbe tanto critico questo argomento, e tanto duro abortire, come tutte hanno detto, se non sapessimo che in fondo trattiamo di questo).
La madre dice le sue ragioni, io le ascolto, vorrei in tutti i modi che i suoi ostacoli venissero rimossi (soprattutto se sono di ordine economico, cioè da un certo punto di vista i più “facili” da risolvere). Poi però c’è qualcuno che non parla e io vorrei ascoltare anche lui, qualcuno che non è lì perché un altro ci crede o non ci crede, qualcuno che si può esprimere solo attraverso una presenza. Per me rispettare gli altri significa ascoltare anche questa presenza.
Scusami, D., due brevi commenti. Il primo, sulla parte di prevenzione della legge 194. Si, hai ragione, forse anche quella e’ una parte un po’ disattesa, ma non poi tanto se gli aborti sono diminuiti di un terzo.
Invece vorrei farti riflettere su una differenza fra credenti e non credenti: quando dici “Se [la vita] viene da Dio o dalla natura, alcune cose non cambiano”. Eh si, invece, cambiano, altrimenti la natura sarebbe solo un altro Dio, non credi? Potrei scriverci un poema ma non mi dilungo, spero di essere stata chiara cosi’. Dici ancora: “Ma soprattutto quando dico che non è né mia né tua, io penso all’altra vita. Quella che c’è oltre alla nostra.” E se io non ci credo all’altra vita? Vedi, siamo tutti molto diversi e fondiamo le nostra scelte su opinioni e convinzioni diverse. Dobbiamo stare attenti a imporre agli altri il nostro punto di vista, perche’ anche se siamo convinti al 100% di star facendo la cosa giusta, forse non e’ cosi’. Stiamo dimenticando di rispettare gli altri. Capisco comunque quando dici che vuoi difendere chi non ha voce, nel mio primo commento ho scritto che l’aborto e l’eutanasia sono due fra i pochissimi argomenti sui quali metto le mie convinzioni continuamente in discussione.
Silvia e Serena, troppa carne al fuoco.
Lo dico con rispetto ed ammirazione, anche.
Ho del pudore a raccontare come è iniziata la mia storia di madre, anche se sono passati ormai dodici anni.
Dopo, ho avuti alcuni figli, una delle quali è stata in TIN (anche se solo per pochi giorni, per fortuna: il tempo perché sfiorassi altre storie di dolore e di speranza), altri li ho persi più o meno precocemente, e alla fine ho anche valutato se ricorrere all’aborto. Non l’ho fatto, ma credo di essere stata fortunata. Fortunata di trovare un ginecologo che mi ha offerto l’alternativa, fortunata di vivere in un’epoca in cui l’alternativa era possibile, fortunata a non subire ingerenze e ad avere il supporto del padre dei miei figli. Fortunata ad essere cresciuta in un ambiente che mi avrebbe permesso di varcare la soglia del reparto dei dannati preoccupandomi solo della mia coscienza.
Io trovo ammirevole che qualcuno metta la tutela della vita in tutte le sue forme al gradino superiore della sua scala di valori, e riesca a vivere questa scelta con coerenza. Lo dico davvero. Quando avevo vent’anni ripetevo slogan a favore dell’aborto senza rendermi conto dello strazio che è una interruzione volontaria anche nelle primissime settimane. Allora (mi)ripetevo che un grumo di cellule non è vita, e invece forse lo è, ma non è questo il punto. Perchè negli anni in cui ho vagato per ospedali ho visto cose che nel mio egoismo poi ho cercato di dimenticare, ma che mi hanno radicato nella convinzione che la scelta dev’essere alla portata di tutti, e che bisogna fare tutto il possibile (a livello sanitario, a livello educativo, a livello politico) per far sì che ci sia sempre la possibilità di scegliere.
A volte la vita non ha molte motivazioni. A volte la vita, se la lasciassimo seguire il suo corso, terminerebbe in poco tempo, e con sofferenze che non riusciamo neanche a immaginare.
p.s. : rileggendo mi rendo conto che l’ora e la stanchezza hanno reso la mia scrittura a tratti confusa e mi hanno indotta ad alcune ripetizioni. Me ne scuso e spero che si colga l’essenziale.
@ Serena:
Mi rendo conto che i valori e l’antropologia di ciascuno ne condizionano pesantemente le scelte e i valori, ma devo dire che sono profondamente convinta che la mia posizione non sia solo di fede (cosa che nel mio caso forse traspare e alcune persone mi conoscono o possono sempre seguire il link al mio blog, che penso parli piuttosto chiaro), ma ho tentato – per quanto è nelle mie capacità – di portare argomenti di ragione, o almeno di ragionamento.
E quando dico “la vita non è né mia né tua” non intendo necessariamente (o non solo) che Qualcuno me l’abbia data. Intendo che è un dato pregresso a ogni scelta, un dato dell’essere che va prima di tutto registrato e poi rispettato. Se viene da Dio o dalla natura, alcune cose non cambiano. Ma soprattutto quando dico che non è né mia né tua, io penso all’altra vita. Quella che c’è oltre alla nostra. E’ mia convinzione che nei confronti di alcune cose non si possa avere un atteggiamento di controllo o di manipolazione, ma solo di tutela. La natura in generale, ad esempio, poi – al massimo grado – la vita umana.
Tale è il senso, o dovrebbe esserlo, delle leggi che vietano l’omicidio.
Non era mia intenzione (e se ho fallito, me ne scuso) mancare di rispetto a persone che hanno fatto scelte sofferte, ma è mia fermissima intenzione rispettare al massimo chi non ha nessuna voce per fare delle scelte. Sì, lo ripeto: ritengo che gli embrioni che siano essere umani, per quanto minuscoli, abbozzati e fragilissimi. Ritengo che lo siano da subito, dal momento in cui lo spermatozoo feconda l’ovulo. Non mi danno quindi alcun conforto le statistiche sugli aborti precoci. Questa mia convinzione è condivisa da persone di altre religioni e anche da atei (ed era, per altro, la mia convinzione molto prima della conversione, quando avevo su quasi tutto opinoni radicalmente opposte alle attuali).
Si tratta del tremore nel tracciare un cerchio in cui si dice “entro questo confine sei umano, oltre no”. Viene sempre qualcuno che traccia un cerchio diverso (e spesso più stretto). Va allora lasciato che sia la vita stessa a tracciarsi il suo cerchio, dal concepimento alla morte naturale.
Io non sono in grado di eliminare le difficoltà e il dolore della vita, so solo che la soluzione non può essere eliminare la vita stessa.
Per altro, a tante sostenitrici della 194 vorrei chiedere sottovoce: “e la parte preventiva, di cui pure si parla nella legge? Tutto a posto?”
molte cose ci accomunano Serena, ma l’ultima frase racchiude in sè ogni mio pensiero.
per quanto riguarda le statistiche, non ne ho trovate riguardo alle motivazioni, ma dal 78 ad oggi gli aborti sono diminuiti, ridotti di un terzo.Il dato è in fase di “stallo” a causa dell’aumento delle immigrate che vi ricorrono.Non credo quindi che le donne italiane lo considerino “contraccezione”.
I timori che l’introduzione di un regime dei termini possa portare a un aumento sensibile del numero d’IVG ed a trascurare la contraccezione sono infondati.
In media le interruzioni di gravidanza vendono fatte entro la 14 settimana, embrione di due millimetri, fattezze umane appena immaginabili.
La situazione in Germania, Belgio, Olanda, Norvegia e Svezia – prima che questi paesi adottassero la soluzione dei termini, – era molto simile a quella che conosciamo in Svizzera: una pratica liberale dell’IVG si era già instaurata e la contraccezione era già ampiamente ancorata nella popolazione. Ora, in nessuno di questi paesi, il numero d’IVG è aumentato in modo sensibile dopo l’introduzione della liberalizzazione.
La biologia ci permette oggi di descrivere esattamente quello che succede nei diversi stadi di sviluppo dell’embrione. Per contro, quali sono le caratteristiche dell’essere umano, qual è il valore morale della vita embrionale se paragonato con altri valori, queste sono tutte questioni etiche e filosofiche alle quali la scienza non può rispondere.
Le statistiche dicono ancora che gli aborti vengono praticati nel 97% per cento dei casi entro i 90 giorni, nel 2.7% dei casi entro la ventesima settimana e solo nello 0,7 nella 21esima. Ma nell’Italia che cambia, solo mille su 130 mila aborti vengono effettuati usando la terapia farmacologica, la pillola Ru486, mentre nel resto dell’Europa questa pratica, meno invasiva e traumatica, è ormai di routine e viene scelta e praticata su una donna ogni quattro.
In nessun caso le IVG sono aumentate.
Queste le statistiche…le opinioni sono altra cosa.
Ciao a tutti, e complimenti a Silvia per aver avuto il coraggio di aprire un argomento cosi’. Era ovvio che si sarebbe scatenato il putiferio (meno male!!).
L’aborto e’ sempre un tema caldo. Da persona convinta di avere una morale personale, costruita in tanti anni di scelte e lavoro su me stessa, uno dei pochissimi argomenti su cui tollero che qualcun altro mi dia consigli non richiesti e’ proprio l’aborto (insieme all’autanasia, che qualcuno ha gia’ tirato in ballo fra i commenti).
Eh si, perche’ se non tollero che qualcuno mi venga a dire che non posso divorziare (sono fatti miei e nessuno ha il diritto di dirmi se posso o non posso), l’aborto e’ un’altra cosa, perche’ e’ vero che sono io che scelgo ma c’e’ qualcuno che ci va di mezzo.
Ora, sarebbe interessante avere delle statistiche sulla motivazione degli aborti in Italia per poter ragionare piu’ serenamente su a chi stiamo andando a mettere i bastoni fra le ruote, ma mi permetto di ipotizzare alcune “categorie”:
1) Malattie/malformazioni del feto riconoscibili in gravidanza. In questo caso non credo che le coppie (perche’ suppongo che nella maggioranza dei casi siano questioni di coppia) abortiscano a cuor leggero, e io non mi sento assolutamente di giudicare la loro scelta. Io ho fatto l’amniocentesi e se fosse risultata brutta probabilmente avrei abortito.
2) Gravidanze non desiderate in coppie di lunga data, magari con gia’ diversi figli. Anche qui mi aspetto che si tratti di scelte consapevoli e probabilmente travagliate, li lascerei in pace.
3) Gravidanze indesiderate in donne single o “accoppiate” da poco. Forse al limite si tratta di una scelta responsabile verso se’ stesse e il neopartner
4) Ragazzine che restano incinte per ignoranza. Vogliamo obbligarle a farsi stravolgere ancora di piu’ la vita con responsabilita’ che non sono in grado di prendersi?
5) Vittime di stupri. Eh si, queste ce le siamo dimenticate. Ma lo sapete che le procedure di pronto soccorso per le vittime di stupri includono la somministrazione della pillola del giorno dopo (le commentatrici piu’ informate di me possono confermare? io l’ho sentito dire ma non sono sicura della fondatezza di questa informazione)?
Ora, so di essere stata superficiale e antipatica nei miei commenti ma quello che voglio dire e’ che io mi aspetto che siano molte di piu’ le donne che abortiscono in seguito ad una scelta travagliata e che non sono affatto felici di farlo rispetto a quelle che vanno a cavarsi il dente, come diceva mammadifretta. E per costringerne 4 ad imparare a prendersi le proprie responsabilita’ vogliamo togliere a 20 (sparo numeri a caso) una possibilita’ di scelta e di una vita migliore in seguito a un errore?
Io credo che la 194 non sia una cattiva legge. E’ altamente disattesa in alcuni aspetti: lo scandalo della pillola del giorno dopo (che e’ un casino da reperire e un macello da prendere), la questione dei medici obiettori (e’ ovvio che obiettare sia un loro diritto, ma e’ cosi’ complicato obbligare gli ospedali ad avere SEMPRE in turno un medico non obiettore che garantisca a me un diritto sancito da una legge dello Stato???) e adesso per ultima la vergognosa farsa sulla RU486. Qualcuno si e’ inventato un nuovo metodo per abortire in modo meno traumatico. I vari paesi hanno fatto le loro valutazioni e l’hanno messa in commercio. Noi no, noi abbiamo passato mesi a rimettere in dubbio l’intera legge sull’aborto. Eh certo, perche’ tutti si preoccupavano che la gente considerasse un metodo contraccettivo una cosa che si chiama pillola ABORTIVA.
Un ultimo commento a cio’ che ha scritto D.: sarebbe bello poter considerare la vita al di sopra di tutto e dare a tutte le vite lo stesso valore. Ma allora e’ giusto allevare vitellini allontanadoli subito dalla madre e nutrendoli di ormoni finche’ non sono abbastanza grandi per poterli macellare? Scusami, ma io non sono d’accordo sull’intoccabilita’ senza se e senza ma della vita UMANA. Tutti abbiamo dei limiti nei nostri stessi integralismi. Quando a 5 anni mi dissero che a ogni passo ammazzavo chissa’ quanti minuscoli animali ho avuto gli incubi per varie notti, poi mi sono resa conto che o mi lasciavo morire di fame rannicchiata sul mio letto, o dovevo fare dei compromessi. Il tipo di persona che sarei stata sarebbe dipeso da quali compromessi avrei accettato e quali no.
Sono molto felice per te: hai fatto una scelta personale molto coraggiosa e sei stata ripagata del tuo coraggio, certamente hai meritato la felicita’ che hai, ma come dice mammadifretta i casi sono tanti e SEMPRE diversi. Non si puo’ generalizzare e bisogna lasciare una via d’uscita ai casi che ne hanno davvero bisogno.
no, mi dispiace, affermare che per molte donne è solo leggerezza, è qualunquismo e dato l’argomento non penso di riuscire a tollerarlo.
Ho lavorato 6 mesi in ginecologia e non ho mai visto una donna che non avesse una motivazione sofferta, che abbia preso la cosa con leggerezza “andiamo a cavarci questo dente”, e mi è capitato anche di assistere a scene strazianti di fronte a madri che aspettavano figli privi di organi vitali e che si trovavano ad aver preso decisioni che mai si aspettavano. Mi sono trovata davanti mamme di tredicenni di fronte alla loro bambina che apettava un bambino, donne antiabortiste fino all’osso che cedevano di fronte a tutto ciò.
donne sull’orlo di una separazione, con 4 figli a carico e un lavoro in nero in un’agenzia di pulizie, e ho fatto altri sei mesi in rianimazione pediatrica e ho visto bambini morire tra le braccia di un’infermiera estranea, o SOLI perchè abbandonati dalle mamme a cause della loro MOSTRUOSITA'(parole di una mamma).
No, D, il qualunquismo non abita le donne che abortiscono, tu hai deciso di non farlo e nessuno ti ha obbligato, abbi la pietà e il risppetto per chi,in ogni caso, soffre SEMPrE di una scelta,Una IVG non è mai una passeggiata al parco.
Lo so bene che tutti pensiamo di avere in mano la ragione: ma oltre le opinioni c’è la realtà.
A me non interessa colpevolizzare nessuno (anche se, concedetemi di dirlo, ritengo che talora il senso di colpa sia il primo passo per potersi riconciliare con i propri errori: personalmente mi sono sentita in colpa per alcune scelte della mia vita e questo mi ha permesso di modificarla). Mi interessa, semmai, incidere un po’ sulla mentalità corrente. Mi parlate tutti di giudizio esterno, di cosa pensa la gente… devo dirvi molto francamente che non mi interessa. Non è una questione che si affronta per salvare la faccia, né in un senso né nell’altro. Sono in gioco delle vite e ci vuole almeno la gravità che la cosa richiede. Né, per fortuna, tocca a me giudicare il mio prossimo. Se ho un obiettivo non è di far la morale, ma eventualmente di evitare che delle vite siano soppresse.
Di più, sono certa che ogni caso è un caso particolare: tanto più quando si parla di terapie, di malattie gravi ecc…
Ma a volte mi sembra di sentire ripetere un mantra: quanti aborti sono davvero effettuati in queste condizioni estreme? In quanti casi delle centinaia di migliaia annuali stiamo parlando di condizioni estreme? La mentalità abortista ha permeato tutta la società: provate per gioco a sostenere ai giardinetti le mie tesi in un gruppo di mamme. Sarete sbranate. Alla fine ci si rifugia nel fatto che ognuno fa le sue scelte. Tutto è relativo. Tutto dipende dalle opinioni. Ma non c’è nulla al di fuori delle opinioni? E il concepito, che scelte fa?
Mi dite allora che la sua vita non vale abbastanza, che non è ancora completa: io ritengo che non sia lecito fare una graduatoria delle vite. Di più: nel dubbio delle varie opinioni, meglio una scelta sbagliata, a favore della vita, che una scelta sbagliata contro la vita. La seconda è, ovviamente, irreparabile.
Voi mi parlate di scelte estreme, di malattie incurabili, di povertà. Io temo invece che questi casi siano statisticamente minoritari. L’aborto è vissuto in molti casi come una possibilità tra le tante, come un altro modo per salvare una facciata (specie nel caso di ragazze giovani).
Mi parlate inoltre di casi personali, che francamente a volte rischiano di travolgere le discussioni in un vortice emotivo, ma provo a raccontare anch’io il mio caso personale.
Circa cinque anni fa ho scoperto di essere incinta per la quinta volta. Le due gravidanze subito precedenti erano state rischiose, quindi sapevo che avrei dovuto affrontarne una terza in un letto dall’inizio alla fine. Ma in casa (una casa troppo piccola e in affitto, dove ancora vivo) avevo già 4 bambini, il più piccolo dei quali aveva poco più di un anno (durante il quale né io né lui abbiamo mai dormito per più di un paio d’ore consecutive). Quando ho fatto il test ero già al limite delle forze. Ho iniziato a sperare e pregare di perdere il bambino. Nello stesso momento ho seguito scrupolosamente le indicazioni di riposo assoluto, per evitare un aborto spontaneo. Ero letteralmente divisa in due. Passavo le giornate a letto, a lavorare col computer sulle gambe perché sono una libera professionista e non ho mutua. Mi struggevo nei sensi di colpa per gli altri figli trascurati. Non volevo quel figlio, ma non volevo neppure essere responsabile della sua morte. Ho fatto la prima ecografia con questi pensieri e devo dire che è stato un momento duro.
A un certo punto sembrava che la bimba non si sviluppasse bene, al rischio di parto prematuro si aggiungeva il rischio che fosse troppo piccola. Ho passato settimane a leggere tutto quello che potevo sui bimbi prematuri. Storie strazianti. Ero in piena depressione pre-partum. Ancora facevo fatica ad accettare la gravidanza eppure speravo che la mia bambina si aggrappasse alla vita come poteva.
Alla fine è nata Benedetta, bella come il sole (almeno per me). La casa sembra ancora più piccola, la vita ancora più faticosa. L’idea di avere una casa nostra, che sogniamo, ancora più remota. Per ora abbiamo potuto mantenere tutti, ma siamo di famiglie modeste, entrambi liberi professionisti, senza certezze e in un periodo di grave crisi economica. Mio marito è finito in ospedale con la pressione minima a 190 e ha altre patologie severe, tutte riconducibili allo stress. Eppure ogni giorno sono felice di non avere fatto nulla perché Benedetta potesse non nascere. Avrei avuto la comprensione di tutti (di più: mia madre mi ha detto a muso duro che avrei dovuto abortire). Ma il gesto oggettivo di eliminare una vita che era dentro di me era insopportabile e sapevo che di una sola cosa mi sarei potuta pentire per sempre: non lasciare a mia figlia una possibilità di vita.
Benedetta fa onore al suo nome ed è una vera benedizione per tutti noi. Tutti l’hanno amata a coccolata. A volte è una gran rompiscatole, ma non sappiamo più immaginarci senza di lei.
Quello che voglio dire non è che quel che vale per me vale per tutti, ma che la vita non è nostra, né mia né vostra. E che scegliere per la vita o per la morte non possono essere due cose che stanno sullo stesso piano, da valutarsi con un elenco di pro e di contro. La vita ha certamente più valore della maggior parte delle motivazioni che si usano per sopprimerla.
Alla fine ne sta uscendo una discussione molto interessante. Il punto che emerge come il più conflittuale è quello di come definire la vita, o meglio da quando inizia a definirsi un essere vivente. Questo è uno dei nodi centrali della discussione sull’aborto e non saremmo certo noi a risolverlo.
Quando D. scrive “Quello che voglio dire non è che quel che vale per me vale per tutti, ma che la vita non è nostra, né mia né vostra.” mi viene proprio in mente una differenza abissale tra chi crede e chi non crede. Per me, che sono non credente, la vita è mia. Non me l’ha data nessuno, se non la natura. E quindi ho diritto di scegliere sulla mia vita. Ma capisco e rispetto il punto di vista di un credente. La domanda è se un credente sia veramente in grado di rispettare un punto di vista differente dal suo.
Eppure conosco molte persone credenti che la pensano come me, quindi forse anche in questo non c’è bianco e nero.
Cara D. non conosco le statistiche degli aborti in italia, e soprattutto le motivazioni che portano ad abortire, ma dubito che la maggior parte siano fatti a cuor leggero, o addirittura come metodo di contraccezione postumo. Io credo molto nelle persone, nel loro essere fedeli alla loro umanità. Curioso che ci creda più io di te, non pensi?
Tu parli di orrore in tutto ciò.Per certi versi sono d’accordo…Pur tuttavia potresti vedere telethon , o farti un giro per le rianimazioni neonatali e vedere come muore un bambino affatto da qualsiasi tipo di patologia che muore dopo mesi di agonia e muore soffocato, senza che tu possa fare niente.E se decidi di farlo intubare sei un mostro perchè ne allunghi l’agonia. E se decidi di lasciare che la malattia faccia il suo corso sei un genitore senza cuore perchè gli accorci la vita.E se decidi di provare le staminali embrionali in america sei un assassino di embrioni.Se non lo fai non ami tuo figlio perchè non hai provato tutto.
Tutti pensano(pensiamo probabilmente) di avere in mano la ragione, di aver capito tutto. Ma in realtà ognuno di noi dovrebbe turarsi la bocca, perchè bisogna essere lì, in quel momento, con quei trascorsi(che ogni persona ha, ma mai l’una uguale all’altra)…riguardo ai grandi prematuri rianimati ti assicuro che tutti hanno grossi problemi, renali, cerebrali, respiratori, e per me rianimare un feto di 25 settimane è accanimento terapeutico.(soo laureanda in infermieristica)
Se un aborto di 24 settimane respira viene rianimato, D.
Forse dovresti informarti un pò di più.Questa discussione è destinata a durare all’infinito, ma non credo che nè tu nè quelli che non la pensiamo come te, cambieremo posizione.
Non ho detto di avere la verità in mano. Ho semplicemente esposto il criterio con cui io affronterei la questione di un feto in arrivo, non di persone che ci sono già. Non condivido l’idea che un feto di 5 mesi (perché questa è circa la massima età in cui è consentito l’aborto terapeutico) sia equiparabile a una persona.
Il mio non è un criterio di legge del più forte, è semplicemente un tentativo di sopravvivenza alle mille implicazioni etiche di ogni nostra scelta.
Non è umanamente possibile dar voce a tutte le istanze: se in casa c’è un bambino (o un adulto) malato, chi è sano viene in qualche modo trascurato. Se posso, lo evito. Se non posso, ci passerò in mezzo.
Se io fossi nelle condizioni del più debole, mi sentirei in immensa colpa, anche se colpe non ne avrei. Non vorrei mai essere un peso per chi mi ama, tantomeno togliere loro qualcosa in termini di attenzione, tempo e risorse. E sì, se fossi malata grave o in coma o comunque incurabile, l’eutanasia mi parrebbe una buona soluzione per togliere il mio peso dalle spalle altrui.
@ Lanterna:
Con lo stesso metro, potrei legittimamente valutare che non posso permettermi di accudire i miei genitori non autosufficienti, o un figlio con una grave malattia mentale. Sono carichi pesanti, e sappiamo che le famiglie sono lasciate quasi del tutto sole. A questo punto, come non pensare all’eutanasia? E un invalido grave? E un malato (fisico o mentale) lievemente meno grave? E una persona sola con due genitori non troppo gravi, ma che deve lavorare e non può permettersi aiuti? E un figlio malato di leucemia?
E’ come mettere una sfera in cima a un piano inclinato: non può che rotolare sempre più velocemente.
Una specie di roulette russa, in cui sono solo le valutazioni di ordine pratico a decidere chi vive e chi muore. Non solo: sono le MIE esigenze (dove MIE sta per le ragioni del più forte, del più sano, del più autonomo) a prevalere contro le ragioni dell’ALTRO (che è muto, dipendente, debole). E se domani improvvisamente non potessi più mantenere un figlio già nato, che fino ad oggi ritenevo di potermi permettere? Eliminiamo anche lui? Di più: se fossi io nelle condizioni del più debole?
Mi fa orrore.
E le milioni di persone che nascono nel mondo in una povertà estrema (che probabilmente noi in questo forum non raggiungeremmo neppure dopo il decimo figlio)? La loro vita vale meno? Meglio che non fossero mai nati? Non essere nato in un paese ricco è una sfortuna, una tara?
Io riesco a immaginare vite ricche di relazioni e felici anche in condizioni di estrema povertà, o magari vite complicate e difficili, come quelle che per secoli e millenni l’umanità ha dovuto affrontare.
Non riesco invece ad immaginare che sia meglio eliminare la vita.
@ Gloria:
l’umanità ha sempre dovuto affrontare l’infanticidio, come l’omicidio, il furto, la violenza. Non per questo sono diventate cose buone. La legge che rinuncia al proprio ruolo e registra l’impossibilità di evitare ciò che è un male è una pessima legge, che tendenzialmente tende a diffondere il male stesso.
Inoltre, faccio notare che nei posti dove si pratica il partial birth abortion non è certo vietato abortire nelle prime settimane o mesi di gravidanza…
Penso che spesso, quando si parla di aborto e dintorni, si parta da presupposti talmente diversi da non potersi sovrapporre.
Io parto dall’idea di essere responsabile per la mia salute e per quella dei miei figli, quelli che ci sono e quelli che no. Sono responsabile anche del loro mantenimento e del loro benessere, oltretutto.
Ora, questo mi dà vari motivi per giustificare sia un aborto volontario sia un aborto terapeutico.
Esempio: se non mi posso permettere di avere più di due figli (magari perché dovrei rinunciare al lavoro o perché non ci starei dentro con i soldi), uso un contraccettivo, il più sicuro possibile a parte l’astinenza, per non averne altri. E se questo contraccettivo fallisse? Se ho sbagliato i miei conti, mi terrò il terzo. Ma, se i conti tornano e io rischio di far vivere i miei 3 figli nella miseria, il terzo sarà meglio che torni da dove è venuto, sia pure con dolore.
Altro esempio: se mi dicessero che un figlio che aspetto è sindromico, abortirei? Nella maggior parte dei casi credo che farei meglio, perché solo raramente le sindromi genetiche sono slegate da altri problemi fisici gravi come cardiopatie e malformazioni a organi vitali. Oltretutto, in Italia avere un figlio disabile significa andare incontro a spese molto pesanti, e ricadiamo nel discorso precedente: se per un figlio devo togliere troppe risorse agli altri, comunque non adempio ai miei doveri di madre.
È eticamente corretto tutto questo ragionamento? Non lo so e non mi importa, so solo che è valido per il MIO modo di sentire e che mio marito lo condivide. Altri probabilmente saranno in situazioni diverse per motivi diversi e valuteranno priorità diverse dalle mie.
Caspita Mammadifretta che resoconto! Grazie!
Cara D. salvare o non salvare una vita è un dilemma antico come il mondo. Così come l’infanticidio. Le mie nonne appartenevano a un’epoca in cui i figli che non si potevano sfamare venivano partoriti nei campi e lì lasciati. Ogni società ha bisogno dei suoi limiti altrimenti non avremmo potuto convivere per così tanti millenni. I limiti e le regole sono cambiati. La 194 non è una legge perfetta e come tante altre leggi non può accontentare tutti.
Si cerca di fare del proprio meglio, come sempre.
Difronte a quanto racconti ancora più forte credo nel diritto (o forse a questo punto nel dovere) di interrompere una gravidanza quanto prima se un figlio non lo si vuole.