Serena: “Però questo mese un post sul racconto di un parto ci vuole. Scrivilo tu”
Silvia: “IO??? Ma sono passati più di 7 anni, non mi ricordo quasi nulla e poi è stato un parto banalissimo!”
Serena: “Io un parto l’ho già raccontato qui, quindi ora tocca a te. E poi è questo il punto: dimostra che il parto non si dimentica, anche se non è successo niente di particolare. Ogni parto è uguale a tanti, ma assolutamente unico. E poi, come tutte, lo avrai raccontato alle amiche con figli, a tutte quelle che dopo hanno avuto figli, a sconosciute neomamme ai giardinetti, a tutti i parenti, insomma, potrai raccontarlo un’altra volta, no?”.
Silvia: “Tu dici?… Allora provo…”
Il mio è stato un buon parto.
Ora, ripensandoci a più di sette anni di distanza, mi ricordo tanti particolari e ben poco della visione d’insieme. Sarà che la partecipazione emotiva è tanta, anche quando ti senti ben razionale e piuttosto tranquilla, come mi sentivo io e così quello che resta sono solo le immagini più dense e palpabili.
Mi ricordo frasi, immagini sparse, momenti, più che una vicenda nel suo insieme.
Eravamo alla 41a settimana e tre quarti… insomma, un giorno dopo e lo avremmo dovuto sfrattare con un’ingiunzione. Quello che mi sono domandata spesso è: ma perchè uno che per 9 mesi non ha dato un calcio decente, si è fatto vivo a malapena con qualche sfarfallio, praticamente non si è mosso e si è chiuso a riccio ad ogni ecografia, è rimasto lì dentro finchè non siamo andati a tirarlo fuori con le buone o con le cattive…. poi, una volta uscito, non si è più fermato per i successivi 7 anni?
Finora una risposta non l’ho trovata e, col tempo, sto decisamente dimenticano anche la domanda. Ma tant’è, quasi alla fine della 42a settimana era decisamente ora di uscire.
Tarda mattinata, monitoraggio… Basta: c’è un posto in reparto (wow! Agognato posto nel reparto strafigo!) e comunque dovremmo convincerlo a uscire. “Signora si faccia portare la valigia, andiamo a partorire”.
Primo metodo per convincere un neonato a uscire allo scoperto: rompergli le acque. Come si fa? Con i ferri da calza!!! Sì, esatto, è così: arriva un’ostetrica, apre una bustina sterile e tira fuori, come fosse un grande grissino nel pacchettino monoporzione, una specie di ferro da calza in legno e lo usa proprio per bucare e far uscire le acque…
Quando al corso pre parto vi dicono che, in caso di rottura delle acque, potete anche non correre in ospedale, perchè comunque c’è tutto il tempo di andarci con calma, sappiate che è assolutamente vero! Anche così, nessun cenno di movimento verso l’uscita: per lui era solo bassa marea… Intanto si è fatta sera tardi…
E così non resta che l’ossitocina. Brutta parola… L’ossitocina provoca le contrazioni. Ecco, no, non proprio. L’ossitocina provoca un’unica contrazione ininterrotta, senza pause per riprendere fiato. Una contrazione artificiale, che quindi non ha il ritmo di quelle naturali: non è gradata e non è cadenzata. Quindi insomma, fa un male cane. Ecco, quel momento me lo ricordo proprio con poca simpatia.
Sento fuori dalla porta: “Dottore’, je chiedo se vòle l’epidurale qui alla signora?” (gli ostetrici sono molto professionali, ma questo era proprio di Roma!). Sì, sì, sì, epidurale por favor!
“No” Oddio come no… “No, che glielo chiedi a fare, certo che la vuole, sta scritto qui che è d’accordo e con quella botta di ossitocina che le abbiamo dato l’epidurale la vuole di sicuro, te lo dico io!”. Santa donna, ginecologa e sicuramente madre, anche il fiato mi hai fatto risparmiare: hai ragione, certo che la voglio! Dai, chiamate l’anestesista.
L’anestesista si materializza nella sua deliziosa felpina di pile blu da turno di notte in pieno inverno: rapida e sicura, con una manina delicata, infila l’aghetto come nulla fosse e voilà… Dopo un po’ tutto diventa magicamente sopportabile! Il dolore resta, le contrazioni restano, le sensazioni restano. Ma tutto si abbassa di un tono, tutto perde il tono disperante: c’è, ma si sopporta. E allora, a quel punto, è proprio il caso di mettercela tutta! Ragazzi, facciamo presto, che qui c’è qualcuno che deve nascere: mettiamoci lucidamente a spingere con convinzione!
Il bello di questo ospedale è che non ha né sala travaglio, né sala parto, ma stanzette personali destinate ad accogliere le partorienti e i papà, dal travaglio alle due ore successive al parto. Insomma, fin dal corso pre parto, mi si decantavano i benefici della privacy e dell’intimità…
Il mio però, si dimostra da subito un parto affollatissimo. L’ospedale è anche sede della facoltà di ostetricia e quindi a me tocca, fin dal momento della rottura delle acque: un’ostetrica titolare, una tirocinante del terzo anno e una tirocinante del secondo anno (e siamo alle prime 3 persone). Ognuna dà ordini all’altra in scala gerarchica: l’ostetrica impartisce istruzioni alla tirocinante, la quale, per sentirsi importante, devolve una parte dei suoi compiti alla tirocinante più giovane… Ok, fate pure, del resto sono un parto semplice, se non imparate su di me… da qualcosa dovrete pur cominciare… Nel momento clou si fa viva la ginecologa (quella di cui avevo solo sentito la voce angelica che dava l’ok all’epidurale), ma dato che giù in pronto soccorso pare che non ci sia gran movimento, un’altra ginecologa di turno chiama al telefono e chiede di poter salire, se c’è un parto in corso, perché ha con sé una specializzanda alle prime armi che vorrebbe tanto assistere. Così salgono su entrambe. Ora ci sono 6 persone…
Insomma, ci sono sei giovani donne che fanno conversazione, commentando amabilmente il mio parto. Ragazze, volete un tè, pasticcini o meglio dei pop corn?
Fortunatamente, questo mi vale una discreta serie di complimenti: ma che brava, come spinge bene! (Grazie ragazze, non vedo l’ora che vi togliate dai piedi, per quello cerco di spicciarmi!) Ma del resto, largo ai giovani, fate pure, visto che tutto va bene, ho deciso di darvi fiducia (e sono sempre di buonumore per l’epidurale – ma cosa ci mettete dentro oltre all’analgesico??)!
Ad un certo punto, dopo solo tre ore scarse di travaglio, francamente molto gestibile, sgattaiola fuori questa personcina: piuttosto carino e per niente sgualcito, neanche troppo rosso… Insomma, sembra che lui non abbia fatto nessuna fatica. Eccolo lì, sporco come poi scoprirò riuscirà a sporcarsi anche in futuro, sdraiato finalmente su di me, bello come il sole, con gli occhi aperti puntati dritti nei miei occhi e le rughe sulla fronte in un’espressione che gli è rimasta ancora oggi: ecco, questa è un’immagine folgorante, un esserino che ti guarda e sembra dire “oibò, cos’è successo?”. Niente piccolo mio, sei nato… ora comincia il bello.
A quel punto il papà (molto più provato di me, ammettiamolo) lo accompagna alla sua prima visita medica (che è un po’ la prima gara, infatti danno il punteggio APGAR, quindi è cosa da papà!) e al bagnetto, come da protocollo dell’ospedale: facciamolo sentire partecipe, mentre io mi risistemo le budella!
Per la giovane medico specializzanda pare io sia la sua prima placenta dal vivo (che emozione!) e così la mia ginecologa titolare, ad un certo punto le fa: “Come te la cavi con i punti?”. Questa domanda non mi piace… secondo voi glielo sta chiedendo così, a titolo di curiosità? NO, continua così: “Dai, fammi vedere” e le cede il posto!!!!! Ve l’ho detto, sono un parto tranquillo e comunque devo ammettere che in quel momento ho fiducia in tutto il mondo. Infatti mi chiedono se per me è un problema e mi scopro a rispondere: “Ma no, faccia, faccia pure…” La mia parte razionale sta protestando: “No dico, ma sei pazza???”. Però c’è da dire che mi è stata praticata un’episiotomia che si ricuce con DUE soli punti! Ma da dove dovevano farla cominciare questa poverina, se non da me??? Fortunatamente sento dire: “Ah però, hai un’ottima mano…” Ecco, grazie di averlo detto dottoressa!”
In effetti devo ammettere che non ho alcun ricordo di fastidio di punti nei giorni successivi: un talento quella ragazza!
Ora, tornati i due uomini di casa, ci toccano due ore di assoluta intimità e solitudine nella nostra stanzetta. Stavolta spariscono tutti: siamo nel cuore di Roma, ormai è l’alba e la finestra dà sul Tevere e sui ponti. Non mi viene in mente un posto più bello dove nascere. Io mi riposo un po’ sul letto, Andrea dorme beato nella culletta e il papà lo guarda incantato. (Goditelo: non dormirà così dal 5° giorno al terzo anno di vita! Ma per ora non possiamo saperlo e tutto è perfetto).
Già trascorse le due ore? Dobbiamo tornare nella stanza? Bene, andiamo piccoletto. Mi alzo, guardo stupita un tizio che mi viene incontro con una sedia a rotelle: e per chi è questa? No, grazie, io ho solo partorito, sto benissimo. Spingo la culletta in camera e ce ne andiamo insieme là fuori a fronteggiare l’assalto dei nonni…
Ecco, alla fine è stato un racconto lunghissimo. Qualcuno è arrivato alla fine? Allora adesso continuate voi.
Qui di seguito, nei commenti raccontateci il vostro parto: mettiamo insieme una raccolta di immagini e racconti di parti. Naturali, cesarei d’urgenza, cesarei programmati, epidurali, mancate epidurali, esperienze positive e negative. Una carrellata di veri parti per ricordarci il momento iniziale, quello in cui si dà il via.
Che bello, mi hai strappato una risata: io ho cantato tutto il tempo!
Sono Maura, una ragazza di 28 anni, ora proverò anch’io a raccontarvi la nascita della mia bimba Claudia.
La data prevista per la nascita di Claudia era il 3 ottobre, ma i primi sintomi del parto imminente mi sono comparsi già nel pomeriggio del 30 settembre. Verso le 18 ero a casa con il mio ragazzo Alessandro ed ho iniziato a sentire le prime doglie, dolori lievi se paragonati a quelli che verranno poi, così ho telefonato a mia sorella Lucia per avvisarla, lei avrebbe dovuto poi avvertire mia madre.
Io e il mio ragazzo abbiamo atteso che i dolori diventassero più intensi e ravvicinati e attorno alle 22 chi siamo recati all’ospedale con tutto il necessario per il ricovero. Arrivati in reparto mi fanno subito una visita ginecologica, ma essendo questo il mio primo parto la dilatazione procede lentamente. Le doglie diventano sempre più forti, più ravvicinate, il dolore è molto intenso, forse il più forte che mi sia mai capitato di provare, ma mi trattengo, non voglio urlare, né emettere suoni strani, tento in ogni modo di resistere, è una cosa che mi sono promessa di fare (sono piuttosto timida, e mi imbarazza urlare dal dolore o fare smorfie e suoni per lo sforzo davanti a estranei, ai medici e all’ostetrica). Le visite dell’ostetrica si susseguivano ad intervalli regolari per tutta la notte, ma la dilatazione era lenta, lentissima, io soffrivo in silenzio con il mio ragazzo vicino a me che mi dava coraggio.
Verso le 11 del mattino l’ostetrica mi ha consigliato di fare un bagno caldo per rilassare la muscolatura e velocizzare la dilatazione. Dopo il bagno le cose hanno iniziato a procedere più velocemente, alle 13 sono dilatata 4 cm, la fase più lunga è finita (ci sono volute 19 ore per dilatarmi 4 cm). Dal quel momento in poi le contrazioni sono state molto ravvicinate e forti, ho sofferto molto, ma non ho rinunciato alla mia promessa di non urlare, non ho fatto l’epidurale, perché volevo che il mio parto fosse il più possibile naturale. Così tra dolori, contrazioni, speranze e fatica è passato tutto il pomeriggio. Finché attorno alle 22 sento la voglia e il desiderio di spingere, lo dico ad Alessandro, lui fa chiamare l’ostetrica Roberta, che mi seguirà fino alla nascita di Claudia; lei all’inizio non crede che sia già dilatata completamente, ma dopo avermi visitata mi conferma che sono a 10 cm. Ci sono volute 25 ore.
So che per la maggior parte delle mamme non è così, ma per me la fase espulsiva, quella delle spinte, è stata la peggiore. All’inizio cercavo di spingere accovacciata, aggrappandomi ai bordi del letto; lo stimolo a spingere era forte ed io lo assecondavo ma non con l’impegno necessario. Cioè, cerco di spiegarmi meglio che posso: spingevo forte, ma non con tutta me stessa poiché cercavo in ogni modo di non fare troppe smorfie da sforzo e di non emettere suoni. Roberta dopo qualche spinta, data la sua esperienza, si è accorta di questo e mi ha detto di spingere più che potevo altrimenti la mia bimba non sarebbe nata. Secondo lei stavo impiegando solo una parte delle mie energie. Mi suggerisce di passare sullo sgabello olandese. Io accetto il suo consiglio.
Dopo le parole di Roberta ce l’ho messa davvero tutta per spingere, ho usato le mie forze come non avevo mai fatto in tutta la vita, ho fatto smorfie per lo sforzo, spingevo 3 volte per ogni contrazione fino a quando non avevo più fiato, spingevo fino a diventare rossa in viso. Ad un certo punto Roberta mi dice che si vede la testa, e che devo fare uno sforzo enorme durante la prossima contrazione per farla uscire. Io provo a spingere più di quanto avevo fatto fino a quel momento, la testa si avvicina all’uscita, ma appena smetto di sforzarmi torna indietro, Roberta mi dice che la bimba ha il cordone ombelicale attorno al collo. Devo mettercela proprio tutta! Io spingo tantissimo e dico più volte “E’ inutile, non ce la faccio”, Roberta mi incoraggia ad alta voce, mi dice che sono brava e se m’impegno ce la farò, mi urla “Spingiiiiii!!”, Alessandro è dietro di me e mi incita parlandomi a bassa voce vicino all’orecchio, mi sussurra: “Spingi, amore, spingi. Spingi per Claudia”.
A quel punto mi sono decisa a fare lo sforzo che mi avrebbe fatto svenire o che avrebbe fatto nascere Claudia: ho spinto con tutta me stessa, con tutto l’amore che ho per la mia bimba Claudia, sono diventata tutta rossa in viso e per lo sforzo emettevo dei suoni a denti stretti, tipo muggito, gggnnnn, per 3 spinte consecutive (non mi era mai successo in tutta la vita!) (alla fine non sono riuscita a mantenere la promessa che mi ero fatta: di non fare smorfie e suoni per lo sforzo, ma di fronte alla gioia per la nascita di Claudia non ha nessuna importanza). La testa finalmente, con un gran bruciore, era uscita. Poi con un’altra spinta forte, anche se non come le 3 precedenti è uscito tutto il corpo. Erano le 22 del 1 ottobre. La mia bimba Claudia pesava 3.850 kg. (La fase espulsiva era durata circa 3 ore. Il parto nel complesso era durato 28 ore).
Alessandro ha tagliato il cordone ombelicale, e mi hanno messo la mia bimba in braccio.
Ed allora ho pianto: ho pianto per la gioia della nascita di Claudia, ho pianto per Claudia che ha spinto insieme a me usando tutte le sue forze, ho pianto per Alessandro che mi ha assistita e incoraggiata tantissimo, ho pianto per la mia paura di non farcela, di non essere abbastanza forte da aiutare la mia bimba a nascere.
Dopo il parto è andato tutto bene; io e Claudia siamo state dimesse dall’ospedale il 4 ottobre!
che dire!!! beate voi che avete tutto sto bel ricordo del parto! mamma mia io ancora oggi a distanza di quasi un anno non riesco a dimenticare l’inutile sopportazione di un travaglio finito in cesareo d’urgenza.. sul post-chirurgico poi… stendiamo un velo… macchè dico velo.. uno SCAFANDRO PIETOSO!!mi pare ancora di sentire quella quarantina di punti che mi laceravano l’addome ad ogni movimento! che tristezza vivere cosi un momento cosi importante per la nostra vita! e direi anchie unico perche non ce ne saranno altri io ho chiuso così e guai a ki mi kiede quando arrivera il fratellino… me lo mengio vivo! hahahah! baci a tutte!
Manuela, ci credo che ti ci sia voluto quasi un anno per parlarne, accidenti che paura, se avessero detto a me la cosa del battito ci rimanevo secca sul posto. Senza contare che tu forse sapevi un po’ troppe cose per rilassarti sul serio. meno male che tutto bene quel che finisce bene (io manco mi ricordo più quante settimane dovrebbe durare una gestazione, fai tu).
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