La maestra trascina Simone tenendolo per l’avambraccio, afferra una sedia che posiziona accanto a me, solleva il bambino lo mette a sedere con malagrazia. “Rimani qui!”, ordina.
Simone ostenta indifferenza ma, quando i compagni di classe gli sfilano davanti per andare a giocare in giardino, scivola di lato e si rannicchia un poco tenendo lo sguardo fisso al pavimento. Un minuto dopo l’aula è vuota e il giardino pieno di urla e risate, mentre Simone e io rimaniamo nella guardiola in silenzio. Il mutismo del bambino non si spezza neanche quando anche le altre classi escono saltellando, lui però si è girato verso il muro, ha appoggiato la fronte allo schienale e piange lacrime silenziose che scendono da occhi aperti e inespressivi.
Non resisto. Esco dalla guardiola e raggiungo la maestra in giardino a chiedere la grazia per Simone. “No!” – è la risposta – “deve imparare a comportarsi, ché è ora. Il prossimo anno va alla primaria.”
“Ma..”
“Ha morsicato Greta” dice ancora, e non è necessario aggiungere altro.
Greta e Simone, dieci anni in due. Più che bambini, due archetipi: lei sottile, introversa, delicata, lui irruento ed estroverso; pelle chiara e occhi castani lei, riccioli scuri e occhi verdi, lui; Greta figlia unica, Simone ultimo di sette fratelli. Narra la leggenda che la madre di Greta dedichi ogni mattina molto tempo a spiegare alle educatrici le tante esigenze della figlia e che il pomeriggio, dopo averla ritirata da scuola, ne controlli ogni centimetro per scoprire eventuali lividi o escoriazioni. Le premure che le maestre dedicano alla bambina sono direttamente proporzionali alla pedanteria della madre e non mi sfugge una particolare attenzione che viene prestata al suo guardaroba affinché non si stropicci.
Torno da Simone, arresa. “Qual è il tuo supereroe preferito?” butto lì, ché qualcosa toccherà pur fare per tirar fuori il ragazzino da questo pozzo di umiliazione. Lui, nemmeno mi ascolta. “Sai qual è il mio? Sei tu, Simone”.
Ancora silenzio. Allora mi arrendo anch’io.
Lascio la guardiola e mi avvicino a una maestra che osserva i bambini rincorrersi e Greta ciondolare accanto a un’altalena senza averne il coraggio di salirci sopra. La maestra mi guarda, sospira, lascia intuire il suo disappunto verso la decisione della collega, solleva il mento verso Simone ancora immobile con la fronte appoggiata allo schienale. “Ha morso la bambina sbagliata”, dice.
Non credo proprio che cambi.
È immaginabile che l’ultimo di sette possa vivere una condizione di sottomissione frustrante, si può anche capire e, se si è in grado, compensare a scuola con la valorizzazione. Ma non di meno va segnalato che riprodurre a scuola comportamenti aggressivi e vessatori non è consentito.
Non fare un gioco in giardino non è una condanna al carcere, è stabilire i limiti.
Ecco. Il bambino che morde, che è “irruento” è addirittura un super eroe!! E come no!?
Io sono la mamma di una Greta qualsiasi che ha la colpa di essere tranquilla, educata, figlia unica e forse persino ben vestita. Di suo magari non sarebbe neppure timidina, se non vivesse in una classe in cui le maestre hanno il massimo disprezzo per queste caratteristiche e la massima indulgenza per i giovanotti morsicatori. Come non definirli dei gran simpaticoni?
Sempre meglio che essere “perbenino” no?
Ma ce ne fossero di maestre come quella!! Che hanno le palle per dire “no” non si morsica e se mordi ti salti la ricreazione. Certo che se poi uno stronzetto si trova pure i tifosi che lo sostengono…..
E tutti a parlare di bulli poi eh….
Vorrei averle io le palle della madre di questa Greta, che riesce a far rispettare la figlia, nonostante le occhiate al cielo delle maeste… altro che pedante!
Ma vergognatevi!!
ma no, mamma di greta…..nessuno ha palrato di super eroe……allora una parte di ragione ce l’hai anche tu, ma dall’articolo io avevo inteso che l’attenzione (anche eccessiva) delle maestre per quella bambina, fosse dovuta al suo status sociale, superiore a quello del “bullo”.
Trovo questa storia a dir poco tremenda. Mi si tratta di una scuola privata o pubblica?