Cinque parole chiave per vivere nel benessere le proprie emozioni: accogliere, basi, contenere, diversificarsi, emozioni.
A – Allenarsi ad Accogliere.
Un primo passo per avere un buon rapporto con le proprie emozioni è allenarsi ad accoglierle senza giudicarle.
Come quando vengono ospiti a casa: possiamo aprirgli la porta e ascoltare i nostri stereotipi (sul loro abbigliamento, sul loro ritardo, sul loro modo di salutarci) oppure accoglierli come cari amici che stanno per raccontarci qualcosa di bello e vitale per noi.
La vita che ci offre il nostro quotidiano è spesso intensa nei termini del fare, dell’avere, dell’essere con: abbiamo prolungato le nostre capacità di sapere, di essere informati, di dare ordini e delegare, di comprare e sperimentare. Fermarci ogni tanto ad ascoltare quella sensazione fastidiosa è il principio di un buon rapporto con le proprie emozioni.
Lo stesso vale con i bambini. Quando parte il capriccio, la reazione di rabbia, forse è il momento (so quanto può costare e quanto è difficile trovare le energie per farlo) di inginocchiarsi per guardarlo negli occhi e dare un nome a come si sente.
“Non si può “pensare bene” senza l’apporto conoscitivo delle emozioni, senza far dialogare fra loro la parte inconscia e quella conscia della mente”. (Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili Come si esce dalle cornici di cui siamo parte).
B – Basi.
Per ascoltarsi in maniera non giudicante occorrono due semplici basi.
La prima, un po’ di consapevolezza: che le emozioni e i sentimenti sono spontanei, quindi non ne abbiamo responsabilità. Se non ne siamo responsabili, non ne siamo colpevoli.
Siete arrabbiati? Bene. Non iniziate a sentirvi in colpa per la vostra rabbia. Avete un’ottima occasione per fermarvi, accogliere la vostra rabbia, capire che cosa vi sta dicendo: se c’è paura, difesa, frustrazione, tristezza… che cosa di voi si sente così in pericolo da scatenare una reazione aggressiva (poco importa se vi venga da ululare o da calarvi in un silenzioso e gelido mutismo).
Siete arrabbiati e spaccate una porta? Male. Vuol dire che avete ascoltato così poco la vostra rabbia che è dovuta diventare enorme prima che le deste ascolto. Della porta rotta, siete responsabili.
La seconda, un po’ di curiosità. Un libro che amo dice che “l’anima umana è simile alle nuvole, non c’è verso di tenerla ferma”. (Carmen Martìn Gaite, Nuvolosità variabile).
Le emozioni sono i segnali di queste nuvole che si muovono nel cielo. Può essere spaventoso, ascoltarle, ma rappresentano altri modi di comprendere il mondo attorno a noi e la nostra vita. Volete perderveli?
“Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l’intelligenza: lo conosciamo, nella stessa misura, attraverso il sentimento. Quindi il giudizio dell’intelligenza e, nel migliore dei casi, soltanto metà della verità” (Carl Gustav Jung).
C – Contenere.
Mi sono fermata, ho ascoltato le sfumature che stanno attraversando il mio cuore e ho provato a nominare il loro colore. Dare un nome, alle emozioni, può essere spaventoso: alcune emozioni o sentimenti sono giudicati vergognosi, dalla società, che cerca in questo modo di proteggere se stessa– come insieme – da alcuni comportamenti dannosi per il gruppo. Non è piacevole – ve lo giuro per esperienza – capire che in mezzo alla paura di essere abbandonata (che fa tenerezza) e all’orgoglio della mia unicità (che può essere persino invidiato) trovano magari posto l’invidia, la gelosia, il possesso, il desiderio, l’avidità e l’ira spaccatutto.
Soltanto nominandole, però, le emozioni acquistano dei confini e tornano a essere qualcosa di contenibile, controllabile e soprattutto diverso da me. Io non sono rabbia, invidia, gelosia. Io provo rabbia, invidia, gelosia. Le accetto, capisco perché, decido come comportarmi e vado oltre.
“Sai papà, io volevo che tu mi dessi una sculacciata ieri sera quando continuavo a piangere. Eri tu che dovevi aiutarmi a smettere, io da solo non ci riuscivo!”
Andrea, 5 anni, al papà. In Alda Marcoli, Il bambino nascosto.
D – Diversificarsi dalla Danza.
Perché la consapevolezza di sé e delle proprie emozioni è importante nelle relazioni, tanto più nelle relazioni ad alto contenuto emotivo come quelle con i propri figli? Perché potrebbe accaderci che in alcuni casi, quando esprimiamo un forte coinvolgimento emotivo, per esempio dando molta importanza alla buona riuscita scolastica di un figlio e reagendo in maniera esagerata a qualunque suo insuccesso scolastico, noi si stia proteggendo emozioni e vissuti emotivi legati a nostri avvenimenti del passato. Senza riuscire così ad ascoltare le sue buone (per quanto immature) motivazioni per andare male (in alcuni casi di separazione, per esempio, il cattivo andamento scolastico rappresenta l’unico momento in cui i genitori tornano alleati per il figlio, che trova quindi – inconsciamente – un’ottima motivazione per andare male a scuola).
Capire che cosa proviamo è un ottimo modo per definire la cornice in cui ci muoviamo, uscirne ed entrare nella cornice dell’altro e iniziare a provare un po’ di vera empatia.
“Se uno mi dà intenzionalmente un pugno sta evocando e proponendo uno scenario del tipo: “sii antagonista”. E allora devo sapere che quando reagisco anch’io con un pungo, a un livello – quello dell’azione – mi sto opponendo, a un altro – quello del contesto relazionale – sto collaborando. Mi sono lasciata coinvolgere in quella danza che l’altro col pugno proponeva. D’altra parte, se non reagisco e faccio la vittima, non mi sottraggo a quella danza, sto solo collaborando (forse) a chiuderla più in fretta. Era una danza vincitori-vinti e lui ha vinto. L’unico modo vero per non collaborare è proporre una danza diversa e indurre l’altro a cambiar danza. Non è mai facile, ma è relativamente più facile se sono consapevole che l’altro non può sostenere la danza nella quale è impegnato senza la mia collaborazione”.
(Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte).
E – Emozioni.
Voglio chiudere queste cinque parole con un passo che mi sembra evocativo sull’importanza di acquisire dimestichezza con le emozioni quando siamo responsabili del benessere di un bambino.
“..tutte le esperienze posseggono una loro qualità emotiva, per i bambini come per gli adulti, solo che noi vi prestiamo scarsa attenzione e la nostra sensibilità, a differenza di quella dei bambini di pochi mesi, non è esclusivamente concentrata su di essa. [..] L’intensità e la qualità emotiva del momento possono nascere dall’interno e investire tutto quanto vi circonda, o possono avere origine all’esterno e riverberarsi dentro di voi. In realtà, la distinzione tra esterno e interno è ancora vaga: entrambi sembrano formare un continuum spaziale.
Anche gli adulti hanno spesso la sensazione che il mondo interno e quello esterno si influenzino reciprocamente, mescolandosi. Per esempio, la realtà interna colora quella esterna quando chi ci è vicino fa qualcosa di odioso che si riflette per un attimo sul suo aspetto, facendocelo apparire improvvisamente brutto. Così pure una situazione esterna può generare un moto interiore quando usciamo di casa, in una mattina particolarmente bella e soleggiata, e ci sentiamo subito più allegri e più leggeri. Negli adulti, queste particolari interazioni tra esterno e interno sono di breve durata, nei neonati sono invece una realtà costante.” (Daniel N. Stern, Diario di un bambino).
Quante riflessioni in un solo articolo. Ma si, forse il succo è la consapevolezza. Anche io nei giorni scorsi, nella mia frustrazione di madre ero arrivata alle tue stesse considerazioni. Siamo noi (madri o padri) che ci dobbiamo conoscere, capire e accettare. E magari ci riconosceremo, dopo, più pronti ad accettare i nostri figli per quello che sono e che fanno. Complimenti per il post.
Grazie Raffaella!
Consapevolezza come succo del post mi piace: grazie per averne fatto una sintesi e non esserti persa nelle immagini che ho inseguito nella mia analisi.
Credo in effetti che quella che appare densità nell’articolo sia solo aver descritto passo passo alcuni passaggi che mi servono per fare quelle considerazioni con cui anch’io mi vaccino dalle frustrazioni.
Buon proseguimento, allora e a presto!
Scusate è partito il commento troppo velocemente… e riposto;-)
Chapeau!
Quanta consapevolezza! E mi piace l’idea di ‘accoglierle’ perché ti da il tempo… che non abbiamo mai per sentirle, riconoscerle, gestirle.
Grazie, oggi no ma lo condividerò appena riesco a riemergere dal caos di questa settimana:-(
Monica, grazie.
Per quanto riguarda tempo e consapevolezza, basta leggere quanto scritto da Supermambanana sulla MIndfulness… a volte basta il tempo di scartare un cioccolatino… se si fa solo quello, con consapevolezza. Basta essere consapevoli pochi istanti in una giornata perché tutte le nostre emozioni appaiano più distinte e contenibili.
ti abbraccio, a presto
Chapeu!