Uomini fragili uccidono

Il mese scorso ho scritto questo post “Donne uccise“. Prendevo spunto da un fatto di cronaca e di violenza, e dai commenti che ne erano scaturiti sulla stampa.
Lo stesso fatto, ma non solo quello, ha ispirato questo articolo de “La 27esima ora”, il cui titolo recita “Uomini troppo fragili. Questa è una tragedia che li riguarda tutti“.

L’articolo parte da questa considerazione “…le violenze degli uomini sulle donne sono un fenomeno esteso, quasi quotidiano. Diventa difficile credere che siano tutte e solo relazioni sbagliate, rapporti sfortunati, situazioni al di fuori della ‘normalità’” per parlare poi di un’assunzione di responsabilità necessaria, più estesa e più ampia.
Nell’articolo viene intervistata la scrittrice Lea Melandri, che ci propone un’analisi di questi fatti di cronaca nera completamente diversa dal consueto e lontana dagli stereotipi della gelosia, della follia e del gesto insano.

Queste le sue parole: “Vorrei invece vedere più coraggio, vorrei che gli intellettuali di questo Paese, gli stessi uomini di cui leggo gli scritti e dei quali condivido molto spesso le idee, dicessero finalmente: tutto ciò mi riguarda. Vorrei che qualcuno alzasse la voce e dicesse: la questione del rapporto fra uomini e donne è centrale e non più rinviabile

La violenza sulle donne non deve essere più un fatto privato, relegato a quel singolo episodio, tragico e fatale. Non un fatto di cronaca, ma un fatto sociale, da combattere.
Non una questione che riguarda quell’uomo e quella donna, ma qualcosa che ci riguarda tutti, perchè il colpevole è uno, ma è anche la società in cui quel fatto accade.
E allora il titolo dell’articolo non dovrebbe essere “Uomini troppo fragili. Questa è una tragedia che LI riguarda tutti“, ma semplicemente “Questa è una tragedia che riguarda tutti“, nessuno si senta escluso.

La violenza non sta solo nei (troppi) omicidi, raccontati come drammi della gelosia, ma anche in tutte quelle violenze “minori”, che non vengono raccontate in nessun modo. Violenze psicologiche, pressioni, rapporti vissuti con sofferenza. E più i fatti di sangue eclatanti vengono raccontati come episodi singoli, privati, giustificati da sentimenti efferati, più si lasciano senza voce e si soffocano le violenze quotidiane.

La fragilità degli uomini deriverebbe da uno squilibrio, tra la loro dipendenza dalle donne, che trae origine dai rapporti nell’infanzia, e il legittimo desiderio delle donne di svincolarsi da quella dipendenza.
Tra questi uomini fragili ci sono quelli che diventano carnefici per l’incapacità di rapportarsi in modo sano con le donne, le loro donne, le madri dei loro figli.

Se è così, questa è, prima di tutto, una sfida educativa, che investe madri e padri. I padri che sanno accudire crescono e cresceranno figli indipendenti emotivamente e praticamente. E l’indipendenza cancella anche il bisogno di possedere e di controllare.
Di queste troppe morti di donne, siamo tutti responsabili e possiamo reagire educando i figli ad essere uomini anche senza possedere altro che se stessi.

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I padri e la cura familiare

Il rifugio dei papà

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11 thoughts on “Uomini fragili uccidono”

  1. Sono d’accordissimo con Silvia: nell’articolo si menziona il ruolo che dovrebbe avere la scuola ma si tralascia completamente quello che invece secondo me spetta totalmente alla famiglia: un ruolo di esempio attivo e passivo, sia nel mostrare il rispetto fra le diverse figure partecipanti sia di condivisione della cura, per mostrare che la donna non è e non deve essere sempre disponibile e pronta a farsi carico delle esigenze degli altri, più deboli o più forti che siano. Che la donna è invece un individuo come l’uomo, e come lui ha una personalità, delle esigenze e soprattutto il diritto al rispetto da parte di tutti gli altri membri della famiglia.

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  2. http://paroleingioco.wordpress.com/2010/02/28/ho-un-vulcano-nella-pancia/

    Non l’ho ancora letto ma l’idea mi piace molto. Quello che mi domando sempre è sempre se gli uomini che arrivano ad uccidere la loro compagna – e in qualche caso i figli – sono “malati” o no. Sono malati o no?

    Perché siamo d’accordo che il discorso sociale minimizza: quasi sempre si dice e si legge che l’uomo lasciato dalla moglie era troppo debole e non ce l’ha fatta, tranne qualche caso troppo estremo e che solleva le coscienze, tipicamente quando ci va di mezzo anche un figlio oppure quando l’omicida è straniero e ci ricorda che questo è un comportamento barbaro (penso per esempio a Jennifer Zacconi o a Elisabetta Leder).

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  3. Infatti ieri sera sono stata stringata a rischio di esser scortese. Me ne scuso.
    Ma penso che qui su gc ci possa essere il margine di respiro per affrontarlo (ho visto nel post di oggi di supermambanana che va in questa direzione), il mondo di molte donne e’ in affanno per la sensazione di esser ancora in arretrato sui diritti, sul lavoro e per tutte le morti assurde di donne ad opera di uomini, e sono arrabbiate e frustrate. Fino ad esser partigiane di se stesse.
    E ci sta.
    Eppure cambiare i paradigmi della violenza domenstica non puo’ esser solo una cosa per alcuni, la violenza appunto ci pervade come societa’ e fa parte (mi pare) di una cultura che vede gli uomini che si uccidono di piu’ tra di loro e si suicidano in numero maggiore (cosi’ appare nei dati statistici).
    Ecco che come donne, madri, portatrici di una cultura diversa, che ci ha depotenziato nelle azioni piu’ violente, (ne possiamo anche esser felici) possiamo fermarci e cominciare a pensare su cosa passa, cosa si insegna ai bimbi piccoli che non li aiuta a tener a freno quella parte che divienta violenza.
    Possiamo anche discutere con gli uomini che hanno imparato a trattenere quella parte e a trasformarla o indirizzarla in modo “sano”. E ancora insieme possiamo capire la partedi violenza psicologica del famminile e farla diventare esplicita e canalizzarla in modo “sano”.
    ‘ i figli maschi sino meno fragili e piu’ competenti nell’ affrntare sconfitte sentimentali senza diventare assassini o violenti, senza aver bisogno di violare o distruggere il bene amato quando questo non e’ “disponibile” asd esserci nel “tutto e subito” … Perche’ le figlie femmine imparino quella parte di determinazione che occorre nell’azione dell’essere al mondo.
    Quando penso alle mie figlie mi rendo conto quanto lavoro abbiamo da fare io e il mio compagno e che bisogno ho come donna di confrontarmi tanto su questo tema, fuori da ideologismi, sulla concretezza, sulle paure, sulle parole, sui luoghi dove i ns figli imparano a diventare adulti …

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  4. @pontitibetani, sono d’accordo, il mio discorso è stato limitato in tutto. La violenza non è solo degli uomini e le soluzioni non sono solo familiari. Ho solo scelto un aspetto tra tanti, quello di cui si parlava in quell’articolo de La 27esima ora, per svolgerlo con un’estensione sufficientemente breve.
    E’ che sarebbe un discorso davvero molto lungo e tortuoso. Magari un pezzetto alla volta, riusciremo a sbrogliarlo.

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  5. discorso lungo che vorrebbe una buona dose di capacità di critica e autocritica costruttiva, di quella che fa crescere e non distrugge.

    la violenza, ad occhio e croce (stante il lavoro che ho svolto per anni nelle professioni di cura) è esplicita negli uomini e implicita nelle donne, cioè a dire che anche le donne ne fanno parte.

    se non che siamo state “ben”educate (ben?) a tenerla dentro, non esercitarla, a praticarne il controllo, a sottacerla, negarla fino a che ….quando sfoga e sfocia non “uccide” mai veramente il corpo.
    ma non è detto che non riesca comunque a distruggere emozioni, sentimenti, vite altrui … o che non si espliciti nella violenza che i figli imparano da madri e padri “diversamente” violenti.

    ad occhio e croce la strada è imparare a riconoscere le violenze reciproche e purtroppo trasversali, di donne e uomini, di contesti che dovrebbero essere educativi, educando ed educandosi alla convivenza pacifica, ma capace di fare evolvere i conflitti (insomma cose da saggi zen) .. I

    o vedo donne e uomini fragili, diversamente capaci di fare soffrire gli altri. Ma gli uomini sembrano non aver imparato mai troppo a trattare e trattenere la violenza, ma il compito di trovare una risposta mi pare essere non solo familiare ma sociale, culturale, educativo cioè capace di riguardarci tutti, obbligandoci a parlarne e pensare al come fare ….
    scusate se sono stata confusa …

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  6. Silvia, mi sembra un’ottimo spunto, soprattutto per me che di figli maschi ne ho tre. Il tema dell’accudimento di cui parli mi sembra un cardine, se molti uomini fossero stati educati all’accudimento, tante donne, anche senza arrivare alla violenza, avrebbero vissuto parecchio meglio…

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  7. Complimenti per il post. Mi sono emozionata a leggere le ultime frasi. Avendo (anche) un figlio maschio, sento molto la questione della sfida educativa: renderli autonomi emotivamente e praticamente … un bell’obiettivo. Spero di averlo ben chiaro ed evidente sempre.

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