Un bambino inappetente

Il bambino inappetente è di quelli che mette in crisi qualsiasi mamma o papà che si rispetti. Riflettere sul concetto di mio figlio non mi mangia è la chiave per risolvere il problema.
Ma iniziamo con il definire cosa è l’inappetenza. Io la definisco come quella situazione in cui il bambino mangia meno di quanto ha effettivamente bisogno per poter giocare come tutti i bambini della sua età. Il problema è che la maggior parte dei genitori preoccupati perché il figlio è inappetente, lo sono perché il bambino non mangia quanto loro sono convinti che debba mangiare.
Un neonato non può essere inappettente, per definizione. Prima che si sia instaurato un qualsiasi circolo vizioso con l’offerta di cibo da parte del genitore, infatti, il bambino è perfettamente in grado di gestirsi da solo. I bambini allattati al seno a richiesta difficilmente vengono descritti come inappetenti dalle loro mamme. I bambini allattati con latte artificiale invece subiscono il continuo confronto con quelle che sono le tabelle di riferimento. In alcuni genitori i cui figli regolarmente non finiscono il biberon, può scattare immediatamente la paura che il bambino non stia mangiando a sufficienza.
Se il peso e la lunghezza del piccolo sono “normali” sempre secondo le curve di crescita di riferimento, il genitore tende a tranquillizzarsi. Se il piccolo invece fa parte di quel 5% di bambini al percentile più basso scatta lo stato di ansia da inappetenza, mentre al contrario si tratta di pura statistica.

L’ansia da figlio inappetente però non nasce necessariamente durante il periodo dell’allattamento. A volte, certi meccanismi si instaurano durante lo svezzamento, e anche lì spesso dipendono da odiose tabelle di riferimento che indicano i quantitativi esatti di cui un bambino di 6 mesi dovrebbe aver bisogno, o (peggio!) da inutili confronti con amichetti o cuginetti che spazzolano il piatto con gusto.
A volte invece si supera tranquillamente allattamento e svezzamento, e si arriva con tranquillità ai terrible two, e in quello che è un periodo di transizione molto delicato in cui i bambini vogliono decidere su tutto, e quindi anche sul cibo, può iniziare il problema.

Voglio raccontarvi ora la storia di un piccolo Vikingo, che ha ciucciato come un vitellino il latte della mamma crescendo a vista d’occhio, che ha superato brillantemente lo svezzamento lanciandosi sul cibo a quattro palmenti, ma che intorno ai 2-3 anni ha iniziato ad essere molto più selettivo sui cibi. Non solo, essendosi praticamente tolto tutti gli sfizi che voleva, aveva semplicemente perso interesse per il cibo, e aveva iniziato a trovare estremamente noioso il fatto di dover rimanere seduto a tavola.
A detta di qualcuno il Vikingo era diventato inappetente.
In effetti era innegabile che stesse dimagrendo, il suo corpo tozzo da Vikingo stava diventando più filiforme, e pur seguendo la normale trasformazione da corpo da bebé a corpo da bambino, l’ansia paterna iniziava ad aumentare.
Ora, non voglio addossare tutte le colpe a fatti estemporanei, ma la situazione è degenerata di brutto in occasione di un viaggio in Italia a trovare i nonni, fatto in compagnia del padre.
Complice la gelosia per il fratellino, il Vikingo aveva capito perfettamente che il suo non mangiare aveva l’effetto di attirare l’attenzione spasmodica del padre, figura di riferimento chiave in un periodo in cui la mamma lo aveva già “abbandonato” per stare dietro all’ultimo arrivato. A casa ci comportavamo come sempre. Ci si sedeva a tavola, si lasciava che lui scegliesse dal piatto di portata ciò che preferiva, e si iniziava a mangiare. Quello che era cambiato era che il padre lo invitava con troppa insistenza a mettere più cibo nel piatto. Non solo, se il Vikingo decideva di mangiare solo la pasta ad esempio, il padre entrava letteralmente in crisi, e prima cercava di offrirgli della carne o del pesce, e se lui rifiutava (cosa che avveniva sistematicamente) andava a prendere del formaggio.

In realtà proprio intorno a quell’età quasi tutti i bambini diventano più selettivi con i cibi. Alcuni spiegano questo atteggiamento sul piano della selezione naturale, ossia il bambino che mangia ciò che è noto e che sa riconoscere bene non rischierà di ingerire cibi velenosi: una strategia decisamente vincente. Qualunque sia la ragione di questo cambio di atteggiamento, questo è un passaggio quasi obbligato. Se un bambino nella prima infanzia ha avuto la possibilità di assaggiare cibi di sapori e consistenze diverse tra loro, nel suo divenire più selettivo riuscirà comunque a mantenere un ampio spettro di possibilità, se invece fino a quel punto gli è stato offerto il solito pappone insapore, si arriverà inesorabilmente al piatto di pasta in bianco (e qualche minima variazione) ogni giorno qualsiasi-cosa-purché-mangi.

La situazione del Vikingo è cambiata quando, dopo aver riflettutto a lungo insieme sulla faccenda, abbiamo deciso che la situazione cibo l’avrei gestita io, per cercare di rompere il circolo vizioso in cui ci eravamo andati ad infilare. Al primo pasto in cui il Vikingo si è servito una mini porzione di pasta e sdegnato il resto, il padre sopraffatto dal senso di panico ha cercato conforto nel mio sguardo e mi ha chiesto “What do we do now?” (e si, in famiglia si usa l’inglese quando non vogliamo farci capire dai figli) e io gli ho risposto “Niente. Non facciamo niente“. E così è stato. Il Vikingo ha mangiato quello che aveva nel piatto, e nessuno è andato a prendere il formaggio o il pane, o qualsiasi altro riempitivo.
Una volta che abbiamo iniziato a mostrare indifferenza per quello che mangiava, anche il suo atteggiamento è migliorato, e anche se il tutto non si è risolto in brevissimo, possiamo parlare di un tempo sufficientemente breve.

Un problema è rimasto per noi immutabile, ossia il riuscire a tenerlo a tavola un tempo sufficientemente lungo, ma quello, come sapete, ho deciso di dichiararla una battaglia persa e attendere che con la crescita riesca a raggiungere la maturità necessaria a rimanere a tavola un tempo sufficientemente lungo, non solo a mangiare ma anche a conversare amabilmente.
Una conseguenza diretta di questo problema è che le porzioni che si serve da solo invece sono ancora spesso (ma non sempre) sotto-dimensionate rispetto al suo fabbisogno energetico, e questo è evidente per il fatto che un’ora dopo il pasto dice di avere fame. E qui si è trattato di scegliere le battaglie che vale la pena combattere, o meglio di non voler combattere nessuna battaglia intorno al cibo.

Continuiamo infatti a servire cibo di varia natura senza diminuire lo spettro dei sapori disponibili sulla nostra tavola, ma allo stesso tempo senza obbligare nessuno a mangiare cose di cui non ha voglia. Quando e se mangia poco, gli chiediamo se è veramente sazio o se ha solo voglia di alzarsi. Spesso basta porgli la domanda perché decida di tornare a tavola e finire di mangiare. Altre volte invece decide che è effettivamente sazio. Quando un’ora dopo chiede di mangiare di nuovo allora in linea generale gli presentiamo lo stesso piatto che non ha terminato a tavola, ma con flessibilità, nel senso che se si tratta di un piatto particolare che ha trovato ostico, allora si vede se riusciamo a proporgli un’alternativa sana valida (niente schifezze però!)

Non sarà una soluzione elegante, ma per ora sta funzionando egregiamente, ed è estremamente semplice, tanto che penso si possa riassumere appunto nella frase “non facciamo niente”. Naturalmente se voi conoscete una strategia migliore, condividetela tranquillamente con me nei commenti, non si sa mai, magari potrebbe tornarci utile in futuro.

Prova a leggere anche:

Previous

Autosvezzamento, ovvero seguire l’stinto del bambino

Allievi vs Proffe (dialoghi sulla scuola secondaria di primo grado)

Next

19 thoughts on “Un bambino inappetente”

  1. Questo me l’ero perso. Condivido al 100% (con le dovute variazioni in base al bimbo che ti trovi davanti)

    Reply
  2. Mio figlio, 1 anno compiuto da pochi giorni, non si può certo definire un mangione. Nelle tabelle di crescita, salvo un picco alto a 2-3 mesi di vita perché gradiva molto il latte materno, si attesta sempre sul 5°-10° percentile.
    Il punto più basso l’abbiamo raggiunto durante l’estate. Complici il caldo africano e la mamma nuovamente incinta e molto malandata per le nausee, si è instaurato un circolo vizioso di nervosismi e paranoie che ha portato al risultato esattamente contrario rispetto a quello desiderato: dimagriva a vista d’occhio!
    Una volta uscita dal tunnel delle nausee sono riuscita a riprendere la lucidità. Mi sono ricordata di essere stata io stessa una bambina fortemente inappetente e fortemente sotto peso fino all’adolescenza. Mi sono ricordata che vivevo come una tortura l’insistenza dei miei genitori nel tentare di farmi mangiare qualcosa e le ramanzine che beccavo quando si accorgevano che le merende che mi preparavano per la scuola erano rimaste intonse nello zainetto (perché ero anche poco furba, sarebbe bastato rifilarle a qualche amichetto e mi sarei risparmiata un sacco di sgridate 😉 ) e finalmente ho smesso di stressarmi e di stressare mio figlio.
    Mi sono fatta delle domande sul suo stato di salute. E’ vivace? Sì. E’ attivo? Sì. Ha mai dato segni di stanchezza anomala o apatia? No. E allora sta bene, inutile preoccuparsi. Si vede che quello che mangia gli è sufficiente.
    Tra l’altro col ritorno delle temperature normali ha ripreso a mangiare più volentieri, certo sempre in quantità modeste, ma almeno si può dire che il suo stomaco a fine pasto è sufficientemente pieno.
    La fortuna è che per ora sembra apprezzare tutto, salvo un paio di cose che proprio non gli piacciono e che mi guardo bene dal forzarlo a mangiare. Ogni tanto gliele ripropongo per vedere se il gusto è cambiato, ma se le rifiuta passo ad altro e capisco che ognuno ha i suoi gusti.
    Sono sicura che col tempo farà una maggiore selezione, del resto credo faccia parte di un normale e sano percorso di costruzione della personalità, che passa certamente anche attraverso i gusti e le preferenze alimentari.
    E comunque nel suo essere “inappetente” è democratico: lo è con noi genitori, lo è coi nonni, lo è al nido. E questa cosa io l’ho percepita come un sollievo: non è una questione personale con la mamma (che poi si carica sempre di responsabilità e sensi di colpa), ma evidentemente è proprio il suo modo di essere.

    Dimenticavo.
    Di fronte al conforto della pediatra, che ci ha ovviamente tranquillizzati e rassicurati sul fatto che il bimbo sta benissimo e cresce comunque regolarmente, entrambe le nonne ci hanno suggerito di portarlo a far vedere da un altro pediatra… 🙂 Cosa che ovviamente ci siamo ben guardati dal fare!
    Questo per dire che i nonni, santi subito per l’amore e la disponibilità che hanno verso il nipote, non sempre però sono d’aiuto a noi genitori nell’affrontare la questione dell’appetito!

    Reply

Leave a Reply to Adele Cancel reply