Se la tradizione fa perdere di vista il significato

Se, come me, non amate particolarmente le feste e il parentado in processione, allora davvero, quella sera dovevate andare al cinema.

Perché è noto (certo, all’atto del concepimento non ci avevo pensato) che i gemelli sono quanto di più coreografico possiate detenere per ravvivare una festicciola noiosa, fatta di parenti imbarazzanti, dentiere che ballano e cinture allentate sotto al tavolo, mentre si gioca alla tombola, con la nonna che darebbe l’anima al diavolo pur di aggiudicarsi il “piatto” di un euro.

In occasione del primo Natale delle gemelle, per redimermi da anni di asocialità natalizia, ho pensato di accontentare il bisogno di coreografia gemellare di tutti coloro che me lo chiedevano. Con grande spirito di sacrificio, le ho infilate nel comodissimo e poco ingombrante passeggino gemellare sin dal mattino, per riportarle a casa solo a sera inoltrata, incavolate nere per la sfacchinata e urlanti come solo loro sapevano fare, e hai voglia di cercare di sensibilizzarle circa la costatazione che quella via crucis aveva fatto loro guadagnare centootto pupazzetti, due bambole di stoffa, quarantasei tutine e quattordici sonagli.

I neonati, a fregarli non ce la fai. Un neonato sa perfettamente cos’è che conta nella vita. Tra quello che conta, non ci sono i pupazzetti, le tutine e i sonagli. Tipo, per le mie figlie la cosa che contava di più era il vocalizzo notturno, seguito a ruota dal latte artificiale a intervalli sempre più ravvicinati, finché non ho implorato la pediatra di poter partire non dico con lo svezzamento, ma con le bisteccazze di maiale. Ma questa è un’altra storia.

Dicevo.
Se appena diventata mamma sospettai per qualche mese che dovevo “per amore delle mie primogenite” diventare una persona inquadrata e in qualche modo ligia alla tradizione, smisi subito dopo il primo Natale (apperò, ho avuto la testa a posto per quasi quattro mesi!).
Mi sono accorta che la tradizione natalizia per me era una sacrificio, e lo era anche per le mie figlie, perché il concetto che attraverso quel momento di festa avevo veicolato era stato: “Facciamo quello che si deve fare per Natale, ovvero, riscaldiamo le public relations: in un colpo solo li faremo felici tutti e otterremo una ricompensa”.
Ma si dà il caso, che se quel concetto poteva convincere la me stessa in versione precedente, non convinceva la me stessa mamma: una persona che aveva appena generato due persone; una persona che si trovava per la prima volta di fronte alla natura, all’istinto, al bisogno di sopravvivenza. Ero (sono) diventata più vera, più genuina. Più libera.

Quello che mi fa paura delle tradizioni, è che a un certo punto ci si dimentica perché si sta facendo qualcosa ed è proprio in quel momento che significati più convincenti dei nostri, perché più diffusi o perché spinti da interessi più forti dei nostri (vedi il significato commerciale del Natale), fagocitano il senso che vogliamo dare alle nostre azioni.
Contestare tradizioni e punti fermi non è tuttavia una pratica comoda. Una forse, prima di diventare mamma, dovrebbe aver già compiuto la sua rivoluzione personale e fissato il nuovo ordine, quello giusto per lei. Dovevano mettere questa cosa nelle skills and expertise di cui ti puoi vantare dopo il corso pre parto. Ma non è così. Sarà che io il corso pre parto non l’ho fatto.

E quindi niente, mi trovate ancora nella fase creativa, rispetto alle mie certezze. E così distinguo sempre fini e mezzi, qualunque cosa faccia. E sono arrivata alla conclusione che le tradizioni che avevo in precedenza legittimato, sono semplicemente mezzi che non servono il mio fine.
Che poi è quello di essere felice.

(§) Photo: Creative Commons by Preciosa Ornela

Prova a leggere anche:

Previous

Come organizzare una festa di compleanno a Hogwarts

La poesia a memoria

Next

9 thoughts on “Se la tradizione fa perdere di vista il significato”

  1. A me piace il Natale, ma la famiglia aiuta. Pochi, pragmatici, bambini, fine.

    Insomma, la famiglia di mio marito ha una tradizione fissa, vigilia insieme, Natale dove si vuole. Sembra una minaccia, ma almeno non c’è da organizzarsi tutti gli anni. Per i regali idem, mia suocera ha 3 figli, e ogni figlio ne ha due. Pari e patta. Perché farsi tanti problemi per i regali da fare agli altri? Ognuno li compri ai suoi, e babbo natale porta tutto. Amen.

    Insomma, ci troviamo noi, i bambini giocano e fanno caciara, pochi litigi, in linea di massima per ore ce li dimentichiamo, si mangia, pasta, affettati, un secondo, qualche verdura, frutta, niente di pantagruelico, e se vuoi esagerare fai il bis. Si ciancia.

    ok, io preferivo il Natale classico, vigilia a casa, bimbi a nanna presto, a Natale ti svegli, regali sotto l’albero, e fine… Invece loro vogliono vedere i bimbi che aprono i regali tutti insieme, Babbo Natale ogni anno li lascia qui e là. Ma va bene.

    E po a Natale si dorme finché la sveglia umana di turno non urla, si vola tutti giù dal letto, si apre il secondo pacco (a me l’albero senza pacchetti sotto fa tristezza… almeno uno per loro!), e si sta in pigiama fino a tardi. E poi al pomeriggio visita da mia madre, senza altri parenti, al massimo la bisnonna che è brava e non disturba (a parte qualche bacetto un po’ troppo energico), e se la pancia è piena, si declina la cena perché “le bimbe sono stanche”.

    Insomma, ce la caviamo, per fortuna! 🙂

    Reply
  2. A me non dispiace il Natale ma, da dopo sposato, mi mette un po’ di ansia l’intreccio: “a mezzodì dai miei e sera dai tuoi? O il contrario?” che ogni anno si ripropone.
    Se fai la raccolta firme per l’abolizione, siamo già in due. 😉

    Reply
  3. @barbara: bè, non sono contraria a fare felice qualcuno :). Quando avevo la nonna all’ospizio vedere quanto delle povere vecchiette (e lo dico, purtroppo, senza la minima ironia) erano felici di vedere “le gemelline” (la terza mai. O forse era compresa nelle gemelline)mi faceva felice. Oltre che triste.

    @Gloria: Fallo 🙂

    @Lanterna: eh, ma voi due siete avanti.

    Reply
  4. Hhhhmmm fammi pensare… no, al mio corso preparto non hanno detto nulla al riguardo. Insomma non ti sei persa niente.
    Mah, che dire, se avete letto i miei ultimi sbrocchi saprete cosa ne penso. Però noi siamo nella situazione che effettivamente facciamo felice buona parte della famiglia ascendente partecipando, ma felice nel profondo, e allora ci sta. Il problema è il compromesso, far felice qualcuno senza sballare i piccoli, senza ritrovarsi il cane con la vescica scoppiata a casa la sera e la gatta isterica che ha fatto a fettine il divano o peggio i piumoni. Insomma assumendoci le nostre responsabilità di capifamiglia multispecie e multiesigenze. Perchè poi, detto in parole povere, la figura della stronza insensibile che ha messo la sveglia alle 19 per tornare a casa la devo fare io…

    Reply
  5. MI è piaciuta la scelta del termine “riscaldare” invece che un più ovvio “rinsaldare”.
    In effeti la via crucis col parentado sa di riscaldato se non c’è continuità durante l’anno.
    Avanzi di relazioni. Bello.
    Sinceramente preferirei condividere il natale più con gli amici che con i parenti.

    Reply
  6. Cara, non avresti potuto dirlo meglio.
    Dopo una serie di Natali passati nel rispetto del cerchiobottismo, culminati con un tristissimo Natale al ristorante, io e mio marito abbiamo deciso di celebrare Natale a casa nostra. Chi vuole si aggreghi, ma noi non ci sbattiamo più ad accontentare questo e quello. Gli altri li vediamo prima o dopo, ma la magia del Natale è solo nostra e dei nostri bambini, che vogliamo siano protagonisti, non vittime.

    Reply

Leave a Reply to L’expat a Natale (e felice anno nuovo) | genitoricrescono.com Cancel reply