La paternità negata

Mancano meno di 3 mesi alla nascita del secondogenito, e in famiglia ci ritroviamo spesso a discutere per pianificare al meglio il congedo parentale. Si perchè in Svezia abbiamo il lusso di poter dividere il congedo come meglio crediamo: dei 480 giorni a nostra disposizione, 60 sono per la madre, 60 per il padre e il resto a scelta.

Per curiosità sono andata a cercare nella rete un pò di informazioni, per capire quale è la situazione in Italia. Ho scoperto che la legge riconosce ai padri dopo la nascita del bambino il diritto di astenersi dal lavoro al posto della madre, usufruendo del congedo di paternità e della relativa indennità pari all’80% della retribuzione, solo in caso di morte o grave infermità della madre, abbandono del bambino da parte della madre o affidamento esclusivo al padre.
Sono allibita. La legge italiana ritiene che i padri siano meno adatti delle madri a stare a casa con un neonato nei primi 3 mesi? Mi rendo conto che la mamma è l’unica a poter allattare al seno il neonato, ma dovrebbe pur sempre essere una scelta dei genitori chi sta a casa ad accudire il figlio. Nei casi in cui per qualsiasi ragione, la madre non possa o non voglia allattare al seno il bebè, non riesco ad immaginare nessun motivo per cui il padre non possa stare a casa a cambiare pannolini e sterilizzare biberon, nel caso in cui lo desideri. Ovviamente ci si può chiedere quanti padri deciderebbero di usufruire di questa possibilità, e le condizioni culturali in Italia non sono favorevoli (ma se anche ci fosse un solo padre in tutta Italia a volerlo fare, non capisco perchè debba essergli impedito). Il diritto di stare con i figli, è di entrambi i genitori, e se questo non è evidente nemmeno sul piano formale, allora sarà ancora più difficile cambiare la cultura.

E’ di grande attualità sui quotidiani svedesi lo studio effettuato dall’istituto di previdenza (forsakringskassa) secondo il quale i padri che hanno scelto di prendersi cura dei loro figli nel primo anno di vita, tendono a lavorare di meno anche dopo la fine del congedo, evitando di fare straordinari, riunioni fuori orario, e di lavorare il fine settimana. Lo studio potrebbe essere “viziato” dal fatto che probabilmente i padri che decidono di prendersi il congedo, sono anche quelli che vogliono partecipare di più alla vita famigliare e che quindi potenzialmente avrebbero lo stesso atteggiamento in ogni caso.
Sarebbe interessante effettuare uno studio più approfondito, tenendo conto di questi fattori, ma ciò non toglie che lo stesso dibattito permetta alcune considerazioni di carattere generale.

Mettiamoci una mano sulla coscienza. Quante volte ci siamo innervosite perchè il papà non cambiava il pannolino nel modo “corretto”? O forse il vestitino è stato messo un pò storto, o chissà, il bebè non si addormenta perchè lui non lo tiene nel modo giusto. Se in questi casi la mamma interviene togliendo il bebè al papà dicendo “lascia stare, faccio io”, si può essere certi che il papà difficilmente si offrirà volontario la prossima volta. Il nostro atteggiamento non farà che rinforzare il preconcetto che tanto lui è negato, e siccome non è nemmeno suo compito, non c’è bisogno di impegnarsi più di tanto. Si rafforza un atteggiamento culturale che non fa bene a nessuno. La realtà è che se non gli si lascia spazio, il papà non riuscirà ad imparare quei piccoli trucchi o quelle accortezze che noi mamme abbiamo dovuto imparare così bene. Potrebbe persino essere uno shock per noi accettare che forse c’è un altro modo di fare le cose. Papà e bebè potrebbero trovare un modo tutto loro, che però funziona lo stesso! A mio parere, il tempo che il papà passa da solo con il bebè, è un investimento per il futuro. Il papà si troverà ad affrontare quei mille piccoli problemi quotidiani, e dovrà trovare una soluzione, così come avviene da sempre per le mamme.

Si parla molto del fatto che sempre più papà si impegnano anche in Italia nella condivisione dei compiti a casa e con i figli. Penso che siamo ancora molto lontani dalla vera eguaglianza, ma c’è certamente una presa di coscienza maggiore. Eppure io vedo che anche nei casi in cui il padre è maggiormente coinvolto, c’è un atteggiamento di resistenza soprattutto dalla parte della madre. Magari al papà è concesso di portare il passeggino, o di cambiare un pannolino ogni tanto, ma la mamma è sempre quella che decide cosa far indossare al bambino, quanto coprirlo prima di uscire di casa, se portare il suo orsetto o il sonaglino giallo e viola. Insomma il tutto avviene a livelli più o meno evidenti a seconda dei casi, ma mi sembra di vedere quasi una lotta da parte delle mamme per poter mantenere il primato.

Voi che ne pensate? Quale è la vostra esperienza in merito?

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9 thoughts on “La paternità negata”

  1. Grazie Desian e Paterpuer per le vostre preziose testimonianze qui su genitoricrescono. Magari ci vorrà ancora una generazione di padri lasciati un pò in disparte prima di arrivare alla vera eguaglianza. Spero che le mamme e le donne riescano a capire che l’emancipazione femminile passa necessariamente anche attraverso quella maschile. E questo percorso non può che essere intrapreso insieme. Magari anche grazie al dialogo portato avanti a colpi di blog in questo bel mondo di incontro virtuale che ci offre la rete. A presto!

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  2. Questo mi pare un passo avanti: http://www.ilfogliodelconsiglio.it/pub_01_00_01.php?id=432

    La situazione italiana è pazzesca, poco tempo per il congedo della madre, sostanziale impossibilità per il padre, congiunturale difficoltà – date le sempre più comuni condizioni di lavoro – per tutti. Insomma… È davvero tutto da ripensare.

    Io ho invidiato la mia compagna per i mesi del congedo e tuttora le invidio la possibilità di uscire un po’ prima dal lavoro per l’allattemento. Mi rendo conto però che non basta quello che c’è. Prima e dopo la nascita la situazione è tale che non puoi essere solo; per esempio, adesso, senza i nonni non potremmo crescere nostro figlio sia perché i posti nei nidi sono pochissimi sia perché le rette (anche e soprattutto quelle pubbliche) sono irraggiungibili.

    Quanto alla mutazione “antropologica” dei padri, beh, credo che fosse l’ora. Stiamo cambiando, tutti quanti. Avere un figlio è sempre e comunque una scelta, recuperare quella parte di noi che tanto “inquinamento” culturale ci ha sempre negato è bello e salutare. Io ho davvero recuperato sia il senso più profondo del mio percorso di studi (sono laureato in pedagogia ma con un percorso sociologico e massmediologico, sto riscoprendo adesso la parte di studi che mi sono perso…) sia quel pezzo di me che mancava per essere una persona migliore. Io amo da impazzire prendermi cura del mio bambino, se possibile il “caretaking” mi fa sentire ancora più maschio (contrariamente a ciò che si potrebbe pensare), un maschio che smette di contrapporsi al femminile ma che davvero si completa.

    La mia esperienza di padre è quella di una genitorialità totalmente condivisa con la mia compagna (con cui non mancano certo le occasioni di dibattito anche serrato); siamo diventati tre e abbiamo scoperto che si sta meglio che in due.

    In tutto ciò debbo dire grazie alla rete che mi fa sentire meno solo, meno strano.

    Vorrei però vivere in un contesto in cui è fattibile essere genitori, in cui la corsa a ostacoli non sia lo sbarcare il lunario ma sia semplicemente il crescere con i propri figli.

    Comunque – visto che i luoghi comuni sono durissimi da superare – vorrei dire, care mamme, che la maternità vi rende belle, che i segni del parto, i chili in più e tutto il resto non fanno altro che rendervi ancora più sexy. So che in tante si disperano, fanno diete, riprendono subito la palestra per paura di non essere più belle. Vorrei, a tutte voi, dire che se vi guardate con gli occhi del vostro uomo non potrete che vedervi bellissime, ricche di una sensualità mai respirata prima.

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  3. Che ci sia una differenza formale in Italia, non credo sia solo una questione culturale ma è anche una sorta di volontà diffusa e di differenza ormai acquisita in termini sociali: è la donna l’angelo del focolare e della culla.
    Che poi sia altrettanto difficile entrare in una parità di compiti effettiva in casa è altrettanto vero: a me, che sono molto imperfetto, è costata molta fatica rivedermi e acquisire una consapevolezza diversa e più “giusta ed equa”. In definitiva penso che siano molti i passi da fare, quelli pubblici e sociali ma anche e soprattutto quelli personali ed individuali. Trovare poi una sponda come un gruppo o un’associazione o semplicemente gruppi di persone che si relazionano per prendere coscienza della questione, sarebbe fantastico: e allora viva i blog tipo questo!!!
    ciao

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  4. Prometto un post “tecnico” sull’argomento, nel quale cercherò di illustrare nel modo migliore la normativa italiana.
    Vi chiedo una decina di giorni di tempo, però, dato che sono una mamma italiana con molto lavoro arretrato!

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  5. Bentornata Panzallaria!
    Abbiamo in mente una serie di post su questo argomento, quindi continua a seguirci. In ogni caso ti scrivo in privato per pensare all’intervista.
    Grazie e a presto!

    Serena

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  6. guarda: questo tema mi è molto caro e ne ho scritto spesso, anche perché la mia esperienza personale è emblematica.

    non solo il mio compagno per poter assistere al parto ha dovuto prendere ferie ma essendo stato appena assunto è stato con me/noi per 2 giorni 2 per poi tornare al lavoro

    ma anche

    ci siamo informati e nessuno sapeva darci nessuna info. io sono libera prof per cui non ho la maternità e speravamo appunto che potesse lui usufruirne.

    solo dopo 3 mesi dal parto abbiamo scoperto del congedo allattamento e per un anno il mio compagno ha potuto tornare a casa 2 ore prima dal lavoro.

    ma comunque la situazione è allucinante e la discriminazione fortissima.

    ti andrebbe di raccontare l’esperienza svedese su mammablogger? potremmo linkare questo post e tu in mail potresti scrivermi qualche dettaglio e pubblichiamo una specie di intervista.

    se ti interessa l’idea scrivimi a panzallaria73@gmail.com
    ciao
    panz

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