Il genitore del bimbo di talento

talenti_bambiniE così è arrivata. Una piccola civetta ha infilato una letterina nella buca della porta del numero 7. La letterina era indirizzata personalmente a Boy-one. Abbiamo aspettato che tornasse da scuola così ha potuto aprirla e leggerla da solo. Si è girato di spalle e ha letto saltando i paragrafi dei preliminari, andando dritto al punto. “Yes! I made it!”, ha esclamato con gli occhi che brillavano.

Facciamo un passo indietro, di un anno circa.

Un pomeriggio di febbraio dell’anno scorso, Boy-one torna a casa con la notizia che la sua insegnante di musica vuole cominciare un corso di clarinetto a scuola, da svolgersi nell’intervallo del pranzo, una volta a settimana. E lui annuncia che lo vuole fare. Il Mister e io siamo dubbiosi, in fondo la musica la stanno già imparando per gioco, il Mister sono un paio d’anni che così, per divertimento, gli ha insegnato le basi, seguendo un metodo per bimbi che, scientifico come sempre, si è cercato e procurato, e sanno fare dei pezzi sul pianoforte che abbiamo in casa. Per scelta non ci siamo mai messi nella situazione di portare i figli a destra e a manca per le classiche attività extrascolastiche, la nostra filosofia finora è sempre stata se ci si può arrivare senza stress, preferibilmente a piedi e di sabato, bene, sennò niente, ogni ora insieme conta, e la sera dopo la scuola si gioca tutti insieme o si legge, o si guarda qualcosa di selezionato in TV. Certo i boys hanno partecipato con entusiasmo ad attività offerte dalla scuola (tante, per fortuna) durante od oltre l’orario scolastico, e questo caso rientrerebbe nella categoria, ma poi bisogna praticarla la musica, e insomma, aggiungere anche questo, le giornate sono piene, eccetera eccetera, per dire che titubiamo parecchio. Boy-one è determinato invece, non ci sta, io e il Mister cerchiamo di mandarlo di là perché vogliamo parlarne un po’ fra noi, ma lui presidia la cucina e dice “ora voi due vi sedete qui a tavola e parliamo” (giuro, ha detto proprio così) e insomma per farla breve lo iscriviamo al corso e ci procuriamo un clarinetto di seconda mano.

L’insegnante, già alla quarta lezione, è folgorata. E anche noi, in realtà, ci rendiamo conto ben presto che qualcosa di speciale sta succedendo, anche se per carattere e natura (e anche per sano cinismo scientifico) è sempre stato difficile per noi lasciarci andare a questo tipo di affermazioni. Quindi, osserviamo, cercando di restare obiettivi, e attenerci a quel che dicono i fatti. Fatti che comunque sembrano gridare chiaro e forte, più che parlare.

Ma torniamo alla civetta.

Sotto consiglio dell’insegnante di musica, un paio di mesi fa la famiglia al completo decide di far visita ad Hogwarts. Questo ci è sembrato, entrando, il Royal Northern College of Music, di Manchester. Lì fuori c’è il mondo “normale”, qui dentro c’è un universo parallelo, fatto di ragazzi e bambini con una luce diversa negli occhi. Sì perché di sabato, quando le lezioni universitarie della settimana sono in pausa, il “Northern”, come viene affettuosamente chiamato da tutti qui, apre le porte ai bambini. Decine di bambini, dagli 8 anni in su, provenienti dai bordi della Scozia, fino giù nelle Midlands, selezionati personalmente dalla direttrice-Dumbledore, che conosce tutti uno per uno, dal più piccolo al più grande, si mettono in macchina la mattina del sabato, e macinano in alcuni casi anche 300km di guida per essere consegnati per un giorno nelle sapienti mani dei grandi maghi e streghe di Hogwarts e imparare incantesimi mirabolanti.

Il giorno della visita abbiamo potuto ammirare qualcuno di questi incantesimi: novenni che ci hanno emozionato con un assolo di violino, tredicenni che improvvisavano del jazz, quindicenni col piglio di orchestrali consumati che facevano ascoltare i loro arrangiamenti di pezzi famosi. Tutti con la stessa luce negli occhi. Abbiamo guardato negli occhi Boy-one, per capire se ci fosse anche in lui la stessa luce, ma solo la direttrice-Dumbledore, che vuole ascoltarli personalmente uno per uno, solo lei possiede il cappello magico, il Sorting Hat. Boy-one ha quindi prenotato un’audizione, si è recato ad Hogwarts, armato del suo fido clarinetto, e dei pezzi di piano che nel frattempo aveva imparato in questi anni, sereno, sempre lui, sempre il solito Boy-one, mai stressato, ma determinato, ed è entrato, da solo, nello studio della direttrice, per indossare il cappello magico. Ne è uscito dopo venti minuti, ed è cominciata l’attesa, perché ce ne sono tanti di bimbi, e tante audizioni. Tre settimane di audizioni, tutti i giorni della settimana.

E poi, finalmente, l’altro giorno, la civetta è arrivata. E a settembre prossimo, Boy-one andrà ad Hogwarts.

The end.

Perché sto raccontando questa storia, e soprattutto che c’entra col tema del mese?

Perché tutta la vicenda mi ha insegnato una o due cosette sulla genitorialità che vorrei provare a condividere con voi.

1. Può capitare anche a te! Ho sempre pensato che queste storie non mi appartenessero. Cioè, dai, andiamo, sono io, no? Ma ti pare che io… che noi… che lui… Nel giorno della visita al Northern, la direttrice ha tenuto un discorso di benvenuto, dove ha parlato un po’ dei bimbi, di quello che fanno, di quello che viene chiesto loro, di come devono imparare a gestire la cosa in autonomia (nessun imboccamento col cucchiaino, qui, anche i piccoli devono prendersi le proprie responsabilità), seguito dalle performances di alcuni alunni. Io ho ascoltato lei, ho applaudito loro, e il primo pensiero che si è affacciato nella mia testa è stato: “vabe’, sono anni luce avanti”. Cioè io avrei pensato questo se al posto di boy one ci fossi stata io. Non è alla mia portata, queste son cose che accadono nei film. Poi ho guardato boy one, seduto al mio fianco, che osservava quei bimbi, non con uno sguardo intimidito o di inferiorità, ma come uno che crede che, si, ora loro sono bravissimi, ma se mi ci metto, ce la posso fare anche io. E allora tu, genitore, ci devi un po’ credere. Non nel senso di sognare ad occhi aperti, o di spingere avanti i tuoi figli perché vuoi che diventino qualcuno e tutte queste scemate che noi grandi sappiamo concepire così bene nelle nostre menti piccole e insulse, no, ci devi credere con gli occhi di un bambino di 9 anni, che guarda e vede e ci crede che sì, si può fare. La magia sta tutta lì. A volte noi grandi ci facciamo frenare dal nostro stesso scetticismo, e non è giusto che lo ereditino i nostri figli. O ci facciamo trasportare dalle nostre stesse ambizioni, e anche questo non è giusto. Io ho imparato a sedermi in disparte e osservare, se la magia c’è, si paleserà prima o poi, e non bisogna interromperne il flusso.

2. Il talento non viene gratis. Insieme a quello di cui al punto uno, questo è anche un bel pezzo di mito da sfatare. Chiaramente boy-one ha talento. Ma questo non significa che lui non debba lavorare sodo per tirarlo fuori, che si sieda al piano, o imbocchi il suo clarino, e le sinfonie escano fuori senza sforzo alcuno. Certo pare ovvio, ma val la pena ricordarlo, perché a volte ho l’impressione che si pensi che se ci vuole sforzo per far qualcosa, allora non ne vale la pena, quello dotato, quello “portato” è quello che ci riesce al primo colpo, e lascia tutti a bocca spalancata, wow. Beh, no, questo, di nuovo, succede solo in televisione. Ci vuole sforzo, il che significa anche che boy-one non è questo bambino un po’ fra le nuvole che aaahhhh la musica è tutta la mia vita, non mi posso staccare dal mio clarinetto o ne soffro fisicamente. No. Affatto. Boy-one è un bambino che gioca, che legge, che litiga col fratello, che va alle feste, che gioca a pallone, che va a nuotare, che fa a palle di neve. E che, anche, suona. Spesso, perché ha l’estro – ora che anche suo fratello suona, non sono rari i momenti in cui si piazzano agli strumenti, così, per gioco, per tirare su gli accordi di una canzone degli One Direction (si, lo so, no comment) per esempio. Ma spesso, perché gli ricordiamo che deve suonare, e lo deve fare tipo dovere quotidiano, un po’ come i compiti scolastici. È su questo punto che tipicamente ci si scontra. Perché capita alle volte che non voglia suonare, non voglia fare queste noiosissime scale ogni giorno.  A volte si urla, a volte si piange. Proprio come succede per la questione compiti scolastici. E, non a volte, ma tutte le volte, significa che noi dobbiamo sederci con lui, per un bel po’ di tempo ogni sera, per fare le cose insieme, insomma, si lavora, lui e noi, parecchio, il mister ad onor del vero più di me, visto che lui conosce la musica e può seguirlo meglio. Anzi, seguirLI ora, che sono in due. Il tempo da investire è davvero tanto.

3. La solitudine fa compagnia. E mi aggancio alla fine del punto precedente, perché potrei ora elencare una per una le perplessità che possono stare passando per la mente di chi legge in questo momento, primo perché le ho sentite rivolte verso di me, e secondo perché sono le stesse perplessità che avrei io se fossi dall’esterno e osservassi la mia famiglia. Se deve essere un sacrificio per lui, che senso ha? Se non si diverte, che senso ha? I compiti sono diversi, quelli sono per la scuola dell’obbligo, ma questo? Non sarebbe meglio si godesse l’infanzia? C’è tanto tempo per lavorare, fatelo giocare ora. Questi poveri bimbi sbattuti a destra e a manca, ma l’ozio allora, le qualità insostituibili del sano ozio dei bambini? Siete sicuri che non stia cavalcando un vostro sogno, non stia realizzando un’aspirazione vostra? Siete, insomma, genitori arrivisti? Ci sono tante risposte che potrei dare, perché queste domande sono le mie domande, tutte, una per una. Potrei darvi tantissime altre argomentazioni, ma la verità è che una delle cose che più ci ha convinti sul Northern-Hogwarts è stato parlare con gli altri genitori. Che uno appunto si immaginava tutti arrivisti, una serie di Mamme e Padri Tigre con le zanne sguainate e l’obiettivo finale della Filarmonica di Londra bene fissato davanti a loro, o questo o niente. E invece no, il sabato, mentre i maghetti e le streghette sono immersi nelle loro lezioni, i genitori si ritrovano tutti nell’atrio/ristorante, tipicamente tirano fuori un libro o il laptop, e aspettano. E aspettando, chiacchierano, e capisci che le perplessità sono sempre le stesse, che i problemi sono tutti uguali, che tutti, anche il violinista eccezionale che avevi appena ascoltato, la mattina non vogliono fare le scale, ma che comunque tutti (e, annotiamo nel nostro cuore con sollievo, anche boy-one fra tutti) ogni volta che vengono presi in disparte, e fra una coccola e l’altra gli si chiede come va, sei stanco, vuoi mollare, guarda che non c’è niente di male, non preoccuparti, rispondono sempre con un moto inconfondibile dell’anima che NO! MAI! Non togliermi la musica, a questa cosa non ci rinuncio. E allora ha senso tutto, anche il tuo spronarlo sulle scale. Ed è bello sapere che tu genitore non sei solo, anche se soltanto dentro Hogwarts. Ma esiste un altro aspetto di questa “solitudine”: chiaramente tutti questi bimbi hanno una passione che non riescono a condividere con la maggioranza dei loro amici. Non solo musica, può capitare per varie passioni, uno sport, un hobby, l’informatica, la matematica, la scrittura, qualsiasi cosa. E capita che dopo aver finito di parlare di cartoni, One Direction e calcio, si possa voler condividere anche l’ebbrezza di un’acciaccatura sulla sonatina di Beethoven. Ma ovviamente, viene complicato, in quarta elementare. Viceversa, Hogwarts è un posto dove si può, dove ci sono altri bimbi come te che lo capiscono, e annuiscono convintamente. Io penso che sia importante per boy-one che questo posto esista, e che lui ne possa fare esperienza: penso sia importante che i ragazzi con un talento sappiano che non sono “strani”, almeno tanto quanto per i loro genitori è importante sapere che non sono soli.

4. C’è differenza fra supportare e spingere. Lo spettro del “ma staremo facendo bene?” non credo ci lascerà mai. Ma come spesso accade nella genitorialità 2.0, quando l’anima diventa troppo pesante, google is your friend. Nella ricerca di consigli su come gestire i bambini di talento senza essere invadenti o stressanti, questa distinzione, fra supporto e spinta, fra coltivare e forzare, ci ha convinti. Posso coltivare un talento, facendo in modo che il bambino ne possa sviluppare tutte le potenzialità, e questo non è spingere, non è forzare. Diventa forzare se cerco di bloccare qualsiasi altro input, se questo diventa il fulcro intorno al quale tutta la vita del bimbo deve necessariamente girare (“non giocare a pallone che ti puoi spezzare le dita e poi come suoni? Non ti raffreddare, sennò come canti? Non puoi andare alla festa perché non hai finito di studiare il tuo pezzo oggi!” eccetera). Ma, posto che lo sviluppo del bimbo e le esperienze che gli vengono fornite rimangono in sintonia con la sua età, allora evitare di supportare il talento è altrettanto deleterio. Di più! Non supportare il talento sarebbe, per me, da irresponsabili. Accontentarsi di dire che si, i miei bimbi sono geniali, e non fare nulla per stimolare, usare, sviluppare questo genio, sarebbe, per me, non fare il mio dovere di genitore fino in fondo, come se decidessi che visto che il mio unenne ha tanto tempo per camminare in vita sua poverino, meglio tenerlo nel passeggino ora, così si riposa. Anche perché il nostro concetto di riposo, e di stanchezza, è molto molto influenzato dalla nostra esperienza di adulti, fermare un cervellino di 9 anni in pieno moto non è farlo riposare, è farlo frustrare. Ed è importante instillare in un bimbo di 9 anni il concetto che le cose, se si fanno, si fanno “bene”, che l’impegno non è tantissimo (a lui chiediamo di far pratica con lo strumento per 20 minuti al giorno, non è tantissimo, tutto il resto della giornata lo può gestire a piacimento, visto che non hanno compiti quotidiani qui in UK) ma è un impegno, e va mantenuto con responsabilità.

5. Ma se il talento non ci sta? Come dicevo prima, ora anche boy two è entrato nel vortice, oltre al piano che sta studiando con il padre, a scuola hanno cominciato quest’anno anche un corso di violoncello, e lui ci si è voluto iscrivere. Su boy two diciamo che avremmo scommesso di meno, nel senso che se il primo è quello artistico, quello che canta da quando è nato, quello che si tuffa nei libri e se li macina per ore al giorno, boy two è quello scientifico, quello delle ripetizioni, quello anche un po’ timido, figuriamoci se si esibisce in pubblico. Manco a dirlo, una chiacchierata con l’insegnante di violoncello ci rivela che il piccoletto sta navigando a gonfie vele, a sette anni è entrato nella piccola orchestra che hanno a scuola, il più piccolo del gruppo. Era anche lui talentuoso, e non ce ne eravamo accorti prima? Non abbiamo avuto con lui l’effetto wow che avevamo avuto con il grande. Oppure semplicemente sono stati due bimbi stimolati su qualcosa che li ha coinvolti, “regalare” la musica a questi bimbi è stato davvero un dono che hanno saputo cogliere, e che il mister ha saputo trasmettere. La musica terrà loro compagnia per sempre, anche il mister quando è triste, o bloccato su un teorema, si prende la chitarra e suona. L’altro giorno boy one, cantando il ritornello di “Thank you for the music” degli Abba (un pezzo che ora non riesco a non sentire senza che mi venga la pelle d’oca, specie se cantata dai boys), si ferma, si gira verso suo padre, e dice “davvero, daddy, thank you for the music!“.  Forse, dunque, anche aspettare che si manifesti il talento, anche quello è un alibi, anche quello non è una buona prassi genitoriale? La musica nel nostro caso, ma per esempio conosco un bimbo che si è messo a scrivere perché il suo papà lo ha ispirato a partecipare, come lui fa ogni anno, al NaNoWriMo la sfida “scrivi un libro in un mese” organizzata ogni Novembre. La musica, la matematica, la letteratura, l’arte, tutto ciò che vi viene in mente, sono forse tutti regali che dobbiamo poterci permettere. Mi accorgo che spesso quando i bimbi sono davvero piccoli ci si accanisce con millemila attività interattive, studiate appositamente per sviluppare e questo e quello, il linguaggio, il camminare, lo svezzare, l’indipendenza, le prime letture… Perché però si smette non appena diventano più grandi? Mica è un compito con una data di scadenza questo.

In uno dei mille momenti di dubbio, il mister postava su facebook uno sfogo del tipo, non staremo tirando su dei bimbi “diversi”, con tutte le convinzioni ecologiche e simili che imponiamo loro? L’insegnante di clarinetto, che nel frattempo è diventata nostra grande amica e confidente, rispondeva che, posto che comunque qualsiasi cosa un genitore faccia sbaglia (eggià!) da quello che vede a scuola entrambi i boys sono molto a loro agio, sanno divertirsi con gli altri bambini e, soprattutto, “they smile a lot!”. Sorridono molto, con gli occhi e con le labbra. E questo, porca miseria, deve valere qualcosa!

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22 thoughts on “Il genitore del bimbo di talento”

  1. grazie ancora per questi ultimi commenti 🙂

    francesca equazioni e si, vedo il tuo punto, la tua linea di pensiero è molto gettonata, ma secondo me il ragionamento ha due importanti distinguo. Il primo, che queste rose fioriscano prima o poi, come dire, spontanee, che i gusti e le passioni non solo si manifestino, ma si manifestino in modo che il genitore possa assecondarli. Nella metafora del cibo che usavo nel commento più sotto, se non ho mai assaggiato una cosa, come faccio a sapere se mi piace? Il nostro compito genitoriale secondo me non è tanto quello di instradare, ma di far assaggiare, in questo senso il padre del tuo compagno è stato bravo a “mettergli in mano” lo strumento, visto che poi si è appassionato alla musica (come dicevo, la musica è una compagnia che non ti lascia ma). E anche, secondo me, di far assaggiare presto, piuttosto che tardi, proprio perché ci sono bimbi che per carattere o natura non hanno l’indole di chiedere con sicurezza – io ero una di queste, io amavo molte cose ma ero troppo timida e insicura per poter dire anche ai miei genitori fatemi provare. Il secondo distinguo, è che il genitore che proponga questi assaggi abbia un secondo fine (che il bimbo diventi bravo, che si appassioni, che magari la cosa diventi la sua carriera). Questo, si, mi pare egoistico da parte del genitore, secondo soltanto all’egoismo di chi (e ce ne sono, eh!) dopo che i bimbi si sono appassionati ad una cosa, poi quando arriva il momento di sceglierla per la vita, cercano di farli tirare indietro a favore di arti e mestieri più sicuri (ne conosco di genitori che hanno persuaso i figli ad iscriversi a medicina, per dire, perché la musica non paga). La gratuità del dono è fondamentale. Così come è fondamentale, però, che non sia una cosa “a metà”, come diceva Lorenza la forzatura a volte sarebbe stata, a posteriori, apprezzata.

    Un grazie a squa e francesca r..

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  2. leggendo questo post più che i miei figli mi è venuto in mente un altro bambino, ora un pò cresciuto,… il loro papà
    mi sono venuti in mente molti dei suoi racconti in cui suo papà gli metteva in mano un violoncello nella speranza che si appassionasse alla musica. a quella musica.
    bè, alla musica si è appassionato eccome, posso garantirlo io, ma a suonare il violoncello non ha mai imparato.
    questo per dire che credo non sia facile per un genitore riuscire a rispettare e ad assecondare i gusti, le passioni e così i talenti dei propri figli.
    e con assecondare intendo sia il non spingere proponendo ciò che piace a noi, sia accettare che loro facciano delle scelte lontane dalle nostre.
    fino ad ora abbiamo cercato di metterli nella condizione di poter scegliere da soli, ma i nostri due bimbi sono ancora piccoli e noi non siamo ancora stati messi davvero alla prova!
    il regalo più grande che possiamo fare ai nostri figli è quello di accompagnarli nelle loro scelte. e se son rose…. fioriranno. con tanto impegno, costanza, perseveranza,… ma prima ancora di tutto questo con il nostro supporto!

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  3. bellissimo post. mi ha commosso, tra le altre cose. e fatto riflettere, perchè come dici tu, dall’esterno è molto facile pensare che siano i genitori a voler per forza coltivare un talento spingendo il figlio a sacrificarsi oltre quello che qualsiasi bambino vorrebbe, magari per soddisfare una loro aspirazione.
    in bocca al lupo per Hogwarts… deve essere stato davvero magico entrare lì!!! 😀

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  4. bellissimo post. Mi sono ritrovata commossa in diversi punti della lettura. Mentre lo leggevo senitvo che non capivo pienamente il punto 2, perchè questa fatica? Ma poi l’hai spiegato benissimo, mi trovo d’acccordo e farò tesoro di queste osservazioni. Grazie

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  5. Complimenti per questo post, bellissimo e commovente!
    Quando mi guardo intorno vedo quasi esclusiamente genitori che corrono come trottole a portare i figli a 1000 attività diverse, per poi vantarsi di quanto siano bravi, ma magari non vedendo l’ansia da prestazione che inculcano loro…
    D’altra parte però ho l’esempio dei miei genitori, che ci hanno sempre incoraggiato per lo studio ma molto meno per gli extra (musica e sport), sostenendo appunto che non era giusto forzarci, con il risultato che a posteriori forse qualche piccola “forzatura” l’avrei apprezzata invece
    Vorrei riuscire a trovare l’equilibrio che avete dimostrato, spronando i bambini a fare e sperimentare senza esagerazioni e a dare loro delle opportunità di crescita da cogliere insieme…

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  6. Vi ringrazio moltissimo per tutti questi commenti, che mi confortano e mi commuovono molto, e voglio cominciare proprio dall’ultimo, di Marina: Marina, ecco, tu hai praticamente riassunto tutto il nostro pensiero, anche noi pensiamo che i nostri bimbi siano normali, ma non perche’ vogliamo giocare a fare quelli che si scherniscono, ma perché pensiamo seriamente che ogni bambino possa essere così, che in tutti i bambini, tutti indistintamente, ci sia questa potenzialità, ma che bisogna (a) poterla innescare, come una miccia e (b) coltivarla con grande determinazione e, soprattutto, disciplina (Anna, take it easy, si, ma take it, come dire!). La disciplina che e’ all’inizio di pertinenza e di responsabilità del genitore, di chi, adulto, deve fare un po’ il poliziotto, o almeno il “time keeper” mantenere il tempo, contare i minuti. Il che vuol dire, come dicevo anche su nel post, che aspettare che si manifesti il talento, aspettare l’epifania, questo evento straordinario che ti fa immediatamente dire Si! Ora lo vedo! non e’ detto sia una buona prassi. Perché a volte il talento non c’e’ se non lo si innesca, appunto come una miccia. E a volte il fermarsi può essere dovuto all’interpretare alcuni segnali in modo equivoco, un lasciarsi (non so come dirlo senza apparire presupponente) convincere da attitudini che noi guardiamo con gli occhi da adulti (non è interessato, non è portato, solo perché non saltella su e giù tutte le volte che si tocca l’argomento), mentre magari sintonizzandoci sulla loro lunghezza d’onda sono altro (quante volte pensiamo che parliamo al muro, che non ci stanno sentendo, e invece dopo 4 secondi son capaci di ripetere tutto parola per parola? Il body language è differente fra adulti e bambini, secondo me).

    E quindi, si, ovviamente come dicono Vittore o Silbietta, non farci prendere dall’ansia di talentizzarli per forza 🙂 è importante, ma anche è importante non pensare che il nostro compito cominci soltanto sotto l’impulso di uno stimolo da parte loro, perché secondo me siamo noi che dobbiamo fornire questo impulso per primi. Sarebbe come dire, oh, non so cosa piace al mio piccoletto, per ora gli propongo solo pasta al parmigiano, poi quando cresce mi dice lui che vuole assaggiare 🙂 invece sarebbe molto meglio proporgli una dieta il più variegata e diversa possibile, tanto per provare, e poi lui ad un certo punto imparerà a preferire le melanzane sulle zucchine. Ma secondo me val la pena lavorarci su, continuare a proporre, Flavia, Elisa, Fabiana, Lori, Lanterna, anche se sembrano non cogliere al momento, anche perché come tutti gli sportivi sanno bene, solo quando si arriva ad un certo livello si comincia davvero a divertirsi: noi possiamo capirlo questo concetto, loro non necessariamente, alla loro giovane età. Un po’ il problema di “mangia che ti fa bene” delle nostre nonne 🙂

    E’ invece secondo me molto importante, come diceva Lorenza, questo concetto della gratuità, di sforzarsi di non pensare in termini di effetti collaterali (che sia il primo, che sia preso dalla scuola X, che partecipi al concorso Y, che gli serva per entrare nel circolo Z) in questo senso, si, è una loro scelta quello che ne vogliono fare di questo regalo, se usarlo nella vita, se usarlo per compagnia, se sfruttarne gli skills per trasferirli ad altre attività (Nina! verissimissimo!). Cosa che va a braccetto con l’autostima: el_gae, dici benissimo, aiutarli a crederci, non ponendo loro obiettivi insormontabili, ma neanche trasmettendo il messaggio (ahimé fin troppo frequente) che ci sono cose al di là della loro portata, perché spesso è solo la nostra pigrizia, o la nostra storia pregressa, che le fa apparire tali.

    Un abbraccio a Marzia e Gio che sento molto vicine.

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