Dire la morte

C’è stato un giorno di qualche anno fa in cui ho preso tre le braccia il mio bambino di due anni e mezzo e gli ho detto che il nonno era morto.
Il nonno quello adorato, l’unico che ha conosciuto, quello con il quale era inseparabile.
La malattia era stata veloce e ancor più rapida, grazie a Dio, nella sua fase finale. Preparare un bambino così piccolo all’idea che il nonno non ci sarebbe più stato, mi era stato impossibile, non avevo trovato il modo o forse non avevo avuto il coraggio: ora mi trovavo di fronte al fatto che il nonno era andato in ospedale e non sarebbe più tornato e dovevo dirglielo.
Poi c’era un altro problema: il nonno era mio padre. E io, insomma, avevo anche da pensare un po’ a me, che alla fine anche io avevo appena assistito a una fine precipitosa e, per quanto consapevole, un lutto da elaborare lo avevo.

Come spiegare la morte a un bambino? Dicendola. Per quel che è. Con parole accettabili e semplici, perchè in fondo la morte è molto semplice ed è uno dei pochi concetti così assoluti e lineari da essere più comprensibile ad un bambino che a noi adulti.

Nonno stava molto male. Ci sono malattie poco gravi, come l’influenza o la bronchite: si prendono le medicine e si guarisce. Poi ci sono altre malattie, più gravi, per le quali ancora non c’è un modo per guarire.
Ho scelto la via più adatta al nostro sentire, che è comunque quello di persone credenti: nonno è salito in cielo e da lassù ci starà vicino.

Una cosa mi è stata subito chiara: non volevo nascondere il nostro dolore. Volevo che Andrea si sentisse legittimato a soffrire, a essere triste, a piangere.
Vedi, piccolo mio, a noi manca e mancherà. Perchè lui è lassù e magari ci sta anche guardando, ma noi non possiamo più vederlo e questo ci dispiace e a volte non ci fa stare bene. E’ normale che in certi momenti ci mancherà di più e penseremo a lui con malinconia. In quei momenti potremo dircelo e magari ci verrà da piangere insieme, ma è giusto e capita perchè gli vogliamo bene

Sono certa di non aver allontanato da lui la paura della morte: dirgli che esistono malattie che non si possono curare e che per questo si muore, fa paura. Ma come potevo avere la pretesa di allontanare la paura della morte da un bambino? Non è forse nella natura dell’uomo averne?
Chiara in questo post, ci parlava del modo per parlare ai bambini, l’unico che io riconosco come valido: con l’onestà verso se stessi. Io ho paura della morte, ho paura che chi mi è vicino si ammali e muoia e il pensiero della morte mi rende triste o anche angosciata. Non posso non comunicare a mio figlio, anche piccolo, questi concetti, ma posso aiutarlo a gestirli. E questo posso farlo solo con l’onestà di ammettere che la morte esiste e ci facciamo i conti fin da bambini, ma non per questo siamo sopraffatti dal suo pensiero.

Pochi mesi dopo la morte di mio padre, mio marito ha avuto un incidente di moto (be’ si, un bel periodo!). E’ finito in ospedale per una decina di giorni.
Una sera, mio figlio, prima di addormentarsi, mi ha chiesto: “ma papà è vero che torna?“. La paura era logica: il nonno dall’ospedale non era tornato. Una paura legittima, che si può contrastare solo con la sincerità: sì, ti ho detto la verità, tra qualche giorno sarà di nuovo a casa. Ora i dottori vogliono tenerlo ancora lì per controllare spesso come sta guarendo, poi potrà tornare casa.
Certo, il giorno dopo, l’ho portato in ospedale a verificare di persona che il papà, per quanto fasciato e immobilizzato, fosse lì, pronto a rimettersi in piedi appena possibile.
E’ dicendo la verità, che si conquista la fiducia. E avere fiducia aiuta a superare la paura.

Una volta detta la morte, c’è da parlare di nostalgia, malinconia, tristezza… Di quello che viene dopo, della mancanza.
Il nonno che non ha più non è un argomento tabu: è capitato che gli venisse da piangere pensando a lui, anche dopo anni, anche di recente. E’ capitato che pensasse a qualcosa che avrebbe potuto fare con lui (magari il pensiero è venuto più dai racconti che da veri ricordi, dato che era così piccolo) e fosse preso dalla malinconia. E’ capitato che sentendo una canzone abbia associato le parole all’idea della nostalgia. Del resto è capitato tante volte anche a me, perchè non a lui? Solo perchè è piccolo dovrebbe essere spensierato nel senso di non potersi perdere in suo pensiero?
Ha saputo dirmi perchè si sentiva malinconico, perchè gli veniva da piangere e perchè sentiva la mancanza di una persona che per lui, anche se per troppo poco tempo, è stata importante. La morte si vince nel ricordo e nella traccia lasciata nelle persone che ci hanno amato in vita: solo così fa meno paura, a un bambino, a tutti.

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25 thoughts on “Dire la morte”

  1. Grazie per i preziosi consigli. Sono un papà che sta affrontando il problema e sto navigando in continuazione per trovare le risposte giuste. Vdere mia figlia assalita dalla paura della morte mi fa star più male che dover affrontare in prima persona la morte stessa.
    Se posso dare un mio piccolo contributo volevo segnalare a tutti i lettori che ho trovato interessante anche quest’articolo http://educareibambiniallafelicita.it/paure-dei-bambini-pensieri-ed-emozioni-spiacevoli/ . Grazie ancora

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  2. ciao a tutte. in questi giorni il nostro quartiere e la ns parrocchia (e la città tutta) piange la morte di un ragazzino di 12 anni a causa di una portiera aperta all’improvviso, una strada bagnata e sdrucciolevole e di un tram che arrivava veloce. Non si è mai preparati ad una notizia del genere, neppure a quarant’anni suonati. Il lutto e lo strazio sono corali e collettivi. Non c’è persona sulla strada, nei negozi, davanti alla scuola che non ne parli, che non abbia bisogno di condividere il proprio dolore, o che non abbia pianto almeno qualche minuto o qualche ora.
    La comunicazione della notizia ci ha colti di sorpresa e non abbiamo potuto preparare i nostri figli. I più piccoli non hanno capito. Quelli di 8 anni invece hanno capito e alcuni hanno intuito. Pur non comprendendo a fondo la gravità del momento. Cosa fare in momenti come questi? Abbracciarli e basta. Altro non servirebbe. Più di mille parole. Perchè dopo aver visto piangere l’intera comunità, i propri genitori, gli amici dei genitori, la propria catechista, i preti dell’oratorio, forse un bambino ha bisogno solo di essere abbracciato. Poi matureranno sicuramente delle riflessioni e dei pensieri. Con il tempo. Forse qualche giorno.
    Devo dire che andare al catechismo e all’oratorio ha aiutato molto mio figlio e i suoi compagni. Oggi tutti i bambini hanno scritto delle preghiere da consegnare alla mamma di Giacomo e hanno cantato e pregato in cappellina. Il Don dell’oratorio li ha “presi per mano” e un pochino li ha aiutati a capire.
    Sono giorni faticosi e la morte non è mai facile da spiegare.

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  3. Grazie per questo bel post.
    E’ un periodo che cerco aiuto per gestire le domande che il mio piccolo di quasi 5 anni inizia a pormi. Mi chiede dove vanno le persone morte, perché non le possiamo più vedere, perché non possiamo parlare loro… Anche lui ha associato la malattia alla morte, per questo mi ha chiesto se quando sono malata anche io vado in cielo…
    Di certo la visione di un aldilà aiuta molto nel parlare ai bambini della morte, e benché io ancora non abbia deciso se crederci, a lui lo raffiguro perché ne riconosco il potere consolatorio.
    Di certo le domande dei bambini sulla morte e la vita (quante domande anche sui pancioni!) portano al pettine molti nodi irrisolti di noi “adulti”, e forse in questo modo anche a noi tocca di meditare un po’…

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  4. Noi adesso siamo alle prese con il follow-up. Sto scoprendo che a Ennio più che la morte fa paura la cremazione e la donazione di organi, mi ha fatto giurare che nessuno di noi farà una scelta del genere.

    Capisco da dove viene, per un bambino l’ integrità del corpo è un elemento importante, e lui dice anche qualcosa tipo che vuole sapere che lì sottoterra ci sta ancora tutto. Della dissoluzione sa, della vita nell’ aldilà no, ma andiamo spesso al cimitero a trovare e salutare i nonni che ci sono e penso che per lui sia importante la nozione di tomba come luogo fisico e concreto per ricordare le persone che hai amato.

    Per ora lo tranquillizzo aspettando che sia più grande per riparlarne, ma col cavolo che straccio la dichiarazione da donatore che abbiamo fatto tutti e due.

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  5. Che bel post, Silvia! Noi abbiamo perso nonna bis 2 anni fa: Tato la frequentava parecchio anche se non l’ha mai vissuta come gli altri nonni, ovviamente più giovani. anche noi gli abbiamo detto che era andata in cielo, perché era anziana e il suo cuore aveva smesso di battere. Ancora ora lui quando entra in una chiesa vuole accendere una candela per nonna bis. Poi di recente faceva un sacco di domande sulla morte e chiedeva sempre se sarei morta prima io o prima papà. Ho capito che aveva paura di questo e da quando l’ho rassicurato sul fatto che noi saremmo morti quando lui non avrebbe più avuto bisogno di noi l’ha tranquillizzato parecchio. Ovviamente mi auguro anch’io che sia così!

    Un abbraccio,

    StranaMamma

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  6. Bellissimo post, mi ha commossa.
    Concordo sulla necessità di essere il più possibile sinceri con i bambini, anche se non è facile. Vi riporto la mia esperienza diretta anche se sono passati ormai molti anni.
    Quando avevo 6-7 anni mia zia si ammalò di tumore e morì. Quando chiedevo dove fosse ricevevo solo risposte evasive e imbarazzate e i miei genitori non mi hanno mai detto esplicitamente che era morta, l’ho capito piano piano da sola.
    Ancora oggi sono arrabbiata con loro per questo, ricordo di aver provato un senso di angoscia non ben definito e di aver avuto paura della morte per un certo periodo, però a mia volta non l’ho mai detto ai miei perché loro non me ne avevano parlato.
    Sicuramente sarebbe stato meglio se avessimo affrontato il problema insieme.

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  7. mi rendo conto che un pezzo del mio commento e’ stato mangiato: stavo parlando dei girasoli non per un improvviso attacco poetico, ma perche’ un libro per piccolini (eta’ target intorno ai 3 anni) che ci e’ capitato di ascoltare insieme in uno di quei gruppi mamme-bimbi delle biblioteche. Parlava di un bimbo che stava coltivando un girasole, lo adorava e lo guardava ogni giorno, lo innaffiava, fino a quando ad un certo punto lo ha visto diventare sempre piu’ smorto, non si capacitava, continuava ad accudirlo, innaffiarlo, lo vegliava, ma non c’era verso, il girasole diventava sempre piu’ deperito. Finche’ un giorno, mentre ci sedeva sotto piangendo, sente come una pioggerellina, alza gli occhi e vede tutti i semini venir giu’ col vento. Li raccoglie e li porta in casa, chiedendo che cosa fossero, e cosi’ capisce che la morte del girasole era una cosa che deve succedere, non si puo’ evitare, e’ triste ma se non succedesse non si potrebbero avere i semini nuovi, in attesa della prossima primavera, per colori e gioie nuove. Insomma, le varie metafore ce le vedete da soli 🙂

    Comunque boy-one nei quattro anni dal primo episodio ogni tanto ci ritorna sul discorso, che non cerco mai di evitare (non dico mai, non ci pensare ora, non ne parliamo etc, voglio che non lo senta come un taboo, cosa che spesso capita quando parla con i nonni in italia). Credo abbia accettato l’idea di massima, certo ancora ci sono momenti in cui si sente triste, e spaventato, per il fatto che possa capitare a me o al papa’. Credo anche che sia difficile per loro ancora immaginare un momento in cui non saranno cosi’ legati a noi come lo sono adesso. Spesso dice (dicono, anche il piccolo) che vogliono vivere con noi, anche da adulti 🙂 Sere fa, nelle usuali chiacchierate a bordo letto, con boy-one abbiamo provato ad immaginare quando lui sara’ un papa’, e stara’ seduto come me ora a gambe incrociate a terra, vicino al letto del suo bimbo (o bimba, abbiamo provato a pensare ad un nome) e anche lui avra’ la sua mamma, cioe’ io, lontana, come me ora, ma sara’ felice di stare con i suoi bambini, come lo sono io ora, e anche quando, come succedera’ a me, la sua mamma non ci sara’ piu’ non si sentira’ cosi’ solo perche’ avra’ la sua famiglia con se’. Non so se il salto di prospettiva abbia funzionato del tutto, a volte era scettico, o gli veniva da ridere, ma almeno cercando di concentrarsi sui particolari della storia, aggiungendo dettagli, la paura senza nome ha dato il posto a sentimenti concreti (saro’ triste perche’? perche’ i miei bimbi non potranno giocare con la loro nonna, ad esempio, eccetera) che si potevano meglio gestire.

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