Uscire dall’adolescenza

Tanti anni fa, quando ero una mamma nuova di zecca e leggevo tutti i manuali di puericultura come se da questi dipendesse la sopravvivenza della prole, inciampai nell’intervista di un pedagogo nordeuropeo che rispondeva alle domande dell’intervistatore mentre suo figlio, un bimbo di pochi mesi, gattonava pericolosamente vicino al fuoco del caminetto acceso, al punto che lo stesso giornalista suggerì di allontanarlo da lì. Assolutamente no – rispose il pedagogo – è bene che il bambino conservi un brutto ricordo dell’infanzia, così da sentire l’urgenza di uscirne al più presto.
Spalancai gli occhi per lo sgomento: quelle parole andavano in assoluta controtendenza con qualsiasi altra cosa avessi letto in tema di educazione.
Tre figli e due adolescenze dopo non sono ancora d’accordo con il pedagogo crudele, ma lo capisco meglio.


Ecco, l’adolescenza. Di tutte la fasi della vita di una persona mi sembra la più insidiosa perché potenzialmente infinita. Inizia con i genitori che scrivono nei social cose come “la nostra settenne è entrata nella preadolescenza” e finisce con la signora che si definisce “una ragazza di trentanove anni”.
Eppure, l’adolescenza non esiste in natura: storicamente si fa risalire il suo riconoscimento con la pubblicazione del primo studio sull’argomento avvenuta nel 1904 negli Stati Uniti a opera dello psicologo Stanley Hall, e solo recentemente il termine «adolescenza» è entrato a far parte delle lingue occidentali; dunque non si spiega come questa fase abbia potuto estendersi nella vita delle persone fino a inglobarne ogni impertinenza, paturnia, vezzo, inconcludenza, e a giustificarle.
Mi sono un po’ documentata – principalmente perché ho due figlie nel tunnel e mi voglio illudere che almeno una ne stia uscendo – scoprendo cose che mi hanno depressa. Una su tutte: l’adolescenza è uno stato mentale, dunque potenzialmente infinita: “L’adolescenza non esiste più nel suo ruolo di transizione, si annuncia piuttosto come l’esordio di una lunga durata, (..) una figura mobile che l’allungamento della vita media dilata e contrae” scrive Nicole Janigro su Doppiozero.
La colpa di questo non sarebbe solo dei ragazzi spaventati dall’assunzione di responsabilità o di una società che non permette loro il raggiungimento dell’indipendenza economica ed emotiva, ma nostra – adultoni nostalgici a cui le reti satellitari ripropongono le serie televisive della giovinezza, padri e madri pronti a mimetizzarsi con i propri stessi figli nel guardaroba e negli atteggiamenti.

I sociologici che studiano i danni di questo mimetismo ci ordinano di smetterla, se vogliamo consentire ai ragazzi il fisiologico distacco (a proposito, ho scoperto che riuscire a mantenere le distanze è uno dei pochi vantaggi concessi alle genitorialità tardive) perché finiamo per creare un ambiente piacevole ma vischioso in cui rischiamo di rimanere impantanati tutti, noi e loro. Insomma, i sociologici danno ragione al pedagogo nordeuropeo.

Come uscire dalle sabbie mobili di un’eterna adolescenza, quindi?
Non so cosa dicono gli esperti al riguardo, ma io seguirò il metodo della Silvana, che poi è mia madre: la Silvana, non appena le paturnie delle figlie le sono venute a noia, le ha caricate su un treno ordinando loro di cercarsi un lavoro lontano da lei. Un metodo un po’ cruento, lo ammetto, un po’ da pedagogo nordeuropeo. Però, oh: ha funzionato!

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3 thoughts on “Uscire dall’adolescenza”

  1. Ah, però Silvana!
    Grazie per il consolante riferimento alla maternità tardiva! Ci avevo pensato anche io, tra i pro:
    Essere molto più grande di mia figlia mi permette di poter fare la gggiovane senza generare confusione nella creatura. Anche essere in pensione quando lei sarà tardo- adolescente non è male. Dopotutto il metodo Silvana potremo usarlo noi due genitori. Ci sono tanti bei viaggi che vorremmo fare!!
    Per adesso gongolo pensando che non ha avuto le colichette e neppure i terrible two, magari capace che anche da adolescente sarà meno impestata. Vedremo…

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  2. Ma Silvana quando si è ritrovata una figlia in Polonia, una in Nuova Zelanda l’altra altrove, era contenta di sé stessa o a un certo punto ha cominciato a dare segnali di mancanza e pentimento?

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