Una storia d’amore a lieto fine

stiamo-tutti-bene“Giulia, è una domanda troppo spoiler se ti chiedo se il pupo è effettivamente arrivato?”
“No! Nostro figlio è qui accanto a me e sta cercando di tirare i baffi al gatto!”
Il figlio di Giulia e della bionda in Italia non sarebbe mai potuto nascere: la loro coppia non è riconosciuta, non ha diritti, neanche quello di sognare un figlio. Secondo un ministro questo bambino che cerca di tirare i baffi al gatto crescerà con gravi problemi psicologici per il fatto di avere due mamme. Giulia regala a suo figlio un blog, Stiamo tutti bene, per raccontargli la storia della sua nascita e per dire al mondo che lui è un bambino che fa i dispetti al gatto, come tutti i bambini.

Perché il blog, che poi non è un blog ma un racconto a puntate?

No, infatti non è un blog. O meglio, ha le sembianze di un blog, ma dietro si cela per l’appunto una storia a puntate. E la storia è quella della nascita di nostro figlio. L’idea iniziale era quella di scrivere una sorta di “diario di bordo” da far leggere al piccolo nano quando non sarebbe stato più così tanto piccolo nano. Il racconto del viaggio che le sue mamme avevano compiuto per poterlo finalmente abbracciare. Sarebbe stato il mio regalo per lui, qualcosa che avrebbe potuto conservare per sempre e, chissà, magari un giorno leggere ai suoi figli. Poi però ho pensato che avrei potuto fargli un regalo ancora più grande. Far arrivare la sua storia a quante più persone possibili, cercando di scardinare pregiudizi e false credenze e di sensibilizzare all’argomento anche chi, magari, fino ad ora non se n’era mai interessato. Da qui è nato il blog, che nei fatti racconta la realtà di una famiglia omogenitoriale in un modo un po’ diverso. Per “un po’ diverso” intendo tramite l’utilizzo da una parte del linguaggio della commedia e dall’altra di una costruzione narrativa che ricorda il romanzo a puntate o la moderna serialità televisiva.

Diciamo che la mia è stata una scommessa: può la storia di due donne che vogliono avere un figlio riuscire a suscitare un interesse trasversale? Ad oggi posso dire di sì. Anzi, devo ammettere che i più assidui lettori del blog sono eterosessuali.

I personaggi che ci hai raccontato nelle prime puntate sembrano usciti da un film (io tifo e adoro la Carlona), giura e spergiura che non li hai inventati

Ahahahah!!! La Carlona si inorgoglirà tutta quando le dirò che è la tua preferita! Alzo la mano destra e dico “lo giuro”: nessuno dei personaggi presenti all’interno della storia è inventato. Ho soltanto cambiato i loro nomi per questioni di privacy. Tutti tranne il mio, che sono Giulia per davvero.

Però…

Però essendo un racconto e non una biografia o un documentario, va da sé che un margine creativo ci sia. Anche perché, diciamocelo, la realtà spesso ha bisogno di un piccolo aiuto per risultare più interessante, giusto?

Voglio farti la stessa domanda che ho fatto a Sfolli, che, per inciso, sta avendo il suo secondo figlio grazie alla Fivet: “se hai un figlio naturalmente, sei legittimato a lamentarti di lui, della vita che è cambiata, delle notti insonni; se ce l’hai dopo lunghe ricerche e canali non “tradizionali” (adozione, fivet, maternità surrogata) questo diritto al lamento non esiste più”. Ti succede la stessa cosa?

Qui davvero dovrebbe risponderti la Carlona. O un altro personaggio che ancora non ha fatto la sua apparizione nel blog, ma la farà a breve: il Conte. Entrambi direbbero che io e la bionda abbiamo perso ogni diritto alla lamentela nel momento stesso in cui abbiamo solo pensato all’idea di avere un figlio. Figuriamoci ora che c’è per davvero…

Le pochissime volte in cui abbiamo accennato vagamente a un’ipotesi di lamentela, tipo, che so, “oggi ci sentiamo un poco stanche”, i due figuri di cui sopra ci hanno sommerso di paragoni con biciclette volute e relative pedalate, rimarcando a gran voce la loro più che convinta scelta di non avere figli. E, in effetti, devo ammettere che tutti censori di lamentele che conosciamo sono accomunati da un unico comune denominatore: sono privi di prole.

I figlio-muniti invece hanno tutt’altra tecnica. Sono estortori di lagnanze professionisti. Davvero, quando è nato il nano ricevevamo continue telefonate e visite di amici e parenti che non facevano altro che cercare di farci lamentare.

“Sono finiti i bei tempi in cui si dormiva la notte, eh?”. E guai a dirgli che in realtà il nanetto si sta comportando più che bene e che noi, in effetti, si dorme a sufficienza. Non è una risposta accettabile. L’unica risposta accettabile è “Quant’ è vero…”, e va bene per qualunque domanda del figlio-munito.

“Certo che un bambino ti cambia la vita, no?”. “Quant’è vero…”. Funziona anche con le provocazioni sadiche: “Perché voi lo sapete, no, che il pianto dei neonati è usato come strumento di tortura nei campi di prigionia?”. Vaglielo a dire che questo di neonato non piange praticamente mai… Non si può. Per cui si accenna un sorriso sofferente, si sospira e si risponde con tono comprensivo “Quant’ è vero…”.

Comunque, io personalmente rivendico il diritto alla lamentela per chiunque. Non importa come sei diventato genitore: una volta che lo sei, perché privarti di un po’ di sana e liberatoria autocommiserazione?

E’ di pochi giorni fa la notizia della coppia di mamme sostanzialmente riconosciute da una sentenza come famiglia (lasciamo perdere che i giornali hanno titolato “coppia di lesbiche adottano un bambino”): è una buona notizia, ti sembra che qualcosa stia cambiando da noi?

É sicuramente una buona notizia anche se, devo dirlo, sentire parlare di adozione mi lascia alquanto perplessa. Se penso alla nostra storia, che poi è la stessa delle due donne della sentenza, la verità è che il piccolo nano non esisterebbe senza la bionda. Al di là della tecnica procreativa, questo bambino è figlio dei sogni, delle emozioni, delle risate e dell’amore di due persone. E quelle due persone siamo noi. Il nostro nano è nato con due genitori, che nel caso specifico sono due donne, e francamente non riesco a capire cosa c’entri l’adozione in tutto questo. Cosa significa “adottare” il proprio figlio? Al massimo si potrebbe parlare di “riconoscimento”.

Tornando alla domanda, la risposta è sì, certamente qualcosa sta cambiando. E tanto è già cambiato, anche se la politica e, spesso e volentieri anche i media, continuano a raccontarci e a raccontarsi tutta un’altra storia. Noi lo vediamo tutti i giorni. Dai vicini di casa, ai negozianti del quartiere, fino ad arrivare al personale ospedaliero quando il piccolo nano è venuto al mondo: non abbiamo ancora mai incontrato reale ostilità, al massimo un po’ di curiosità, ma nulla di più. Il problema dell’Italia è che lo Stato continua a latitare. E così continua a mancare un chiaro intervento legislativo che tuteli questi bambini esattamente come tutti gli altri. Anche perché questi bambini non sono solo parole di cui riempirsi la bocca nei salotti televisivi o nelle diatribe politiche: questi bambini esistono, sono vivi, sono reali, ridono, giocano, si arrabbiano, fanno i capricci, piangono. Come tutti i bambini.

E amano le loro mamme e i loro papà. Come tutti i bambini.

E sanno che i loro genitori li hanno desiderati e voluti con tutto il cuore. Come dovrebbe essere per tutti i bambini.

Quindi, questa sentenza è stata sì un passo importante, ma resta il fatto che se allarghiamo un po’ lo sguardo e vediamo cosa è avvenuto nel frattempo nel resto d’Europa, non possiamo non accorgerci di essere sempre e comunque in ritardo. E, per la cronaca, nel resto d’Europa, riconoscendo le unioni omosessuali e le relative famiglie, non mi pare abbiano vissuto la devastazione sociale tanto paventata nel nostro paese. Anzi, mi sembra stiano tutti parecchio bene.

Qual è secondo la tua esperienza il pregiudizio che morirà per ultimo sulla vostra coppia?

Secondo la mia esperienza, l’ultimo pregiudizio a morire sarà quello secondo cui le donne che vivono insieme hanno il ciclo sincronizzato. Se qualcuno dovesse dirvi questa cosa, non credetegli! Sono dieci anni che io e la bionda conviviamo e l’evento “sincronismo” si è verificato una volta.

A parte gli scherzi, se parliamo di pregiudizi, ti dirò che al momento sono più concentrata su quelli che aleggiano sulla nostra famiglia, più che su me e la bionda in quanto coppia.

Credo che il pregiudizio più difficile da estirpare sia quello che vuole che i figli di coppie omosessuali siano bambini in qualche modo sfortunati, destinati all’infelicità e al disagio. Il fatto è che, se prima di parlare facessimo tutti un piccolo sforzo per capire e conoscere meglio l’argomento della conversazione, si vivrebbe decisamente meglio e si eviterebbero tante sofferenze non solo a tanti adulti, ma anche a tanti bambini. E invece si continua a fare una pericolosa confusione tra la libertà d’espressione e il libero sfogo dei propri pregiudizi.

É giusto e sacrosanto avere le proprie opinioni e poterle esprimere, ma perché si possano definire per l’appunto “opinioni” bisogna informarsi e bisogna conoscere. Altrimenti io potrei tranquillamente disquisire di fisica quantistica. Se non lo faccio, è perché non conosco la materia. Se invece dico che l’orientamento affettivo e sessuale dei genitori non incide in alcun modo sul benessere e la serenità dei figli, è perché so di cosa parlo. Perché ho letto le ricerche internazionali, i testi pubblicati sull’argomento, ho ascoltato gli esperti e, soprattutto, ho conosciuto le Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori omosessuali che annovera tra i suoi soci centinaia di famiglie omogenitoriali. Basta passare qualche ora con queste famiglie e i loro bambini per togliersi ogni dubbio. Ve lo assicuro.

I bambini per crescere bene, sani e felici hanno bisogno di amore, è vero, ma hanno anche bisogno di un mondo soffice e rassicurante da esplorare, da conoscere, sul quale fare le capriole e nel quale, piano piano, diventare adulti. Ma se una parte di quel mondo non fa che urlargli contro che la loro non è una famiglia, che i loro genitori non sono tali, che loro non meritano gli stessi diritti degli altri bambini, va da sé che il loro benessere e la loro serenità vengano continuamente messi a rischio.

Ma, cosa ancor più grave, chi sbandiera la propria ostilità verso le famiglie omogenitoriali sulla base di una presunta volontà di protezione dei bambini, si rende conto che sta dicendo a tutti questi bambini che non sarebbero mai dovuti nascere? Vi viene in mente una cosa più crudele da dire a un bambino?

A me no.

Per questo, quando sento dire che quello del genitore è il lavoro più difficile del mondo, sorrido. Sorrido perché so che per quanto difficile possa essere per gli altri, per me e la bionda e per tanti altri genitori lo sarà comunque di più. Perché, oltre a tutto il resto, in mancanza di tutela e riconoscimento da parte dello Stato abbiamo un compito ulteriore: quello di costruire noi, per i nostri piccoli nani, il mondo più soffice e rassicurante possibile, perché non debbano mai – e sottolineo mai – versare una sola lacrima di bambini per la superficialità e l’ignoranza (nel senso proprio di “ignorare”) altrui.

E se adesso dovessi rispondere di nuovo alla prima domanda – sul perché del blog – ti direi “Esattamente per questo”.

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7 thoughts on “Una storia d’amore a lieto fine”

  1. Ooooh grande Chiara, hai intervistato la mia nuova blog eroina (nel senso anche di dipendenza…)!!!
    Cercavo in effetti in questi giorni la tua intervista ma non la trovavo sul sito (d’oh, baby brain io…). Che bella sorpresa, e che splendida notizia la spoilerata!!!!
    Brave voi. Sono proprio contenta che abbiate scelto di parlare di questo argomento
    (e quant’e’ vero che e’ la cosa piu’ crudele che si possa dire ad un bambino, la stessa cosa vale per l’eterologa fatta da..coppie eterosessuali :-/)

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  2. Ma la sincronia del ciclo c’è stata in concomitanza di qualche vacanza al mare?

    Perché io ho sempre avuto ciclo di 28 giorni tranne quando sono rimasta incinta e prima di andare in vacanza (in posti di mare dove un bagno era un miraggio)

    🙂

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  3. Adesso che me l’ hai ricordato io tanto tempo fa ero incappata nel blog di Giulia e facevo mostruosamente il tifo (e non mi maltrattate troppo la Barbie, non avete idea di quanto siano efficienti le segretarie mediche a nord, la nostra mi fa pure i prelievi per il pap-test, per dire, cioè, sono sono tutta un’ altra categoria di segretarie). Mi fa molto piacere scoprire quindi che il pupo c’ è e tira i baffi al gatto, ma ti posso chiedere un piacerepiacerone grosso grosso? Perché lo chiami PICCOLO NANO? Dovrebbe essere proibito dalla convenzione di Ginevra, diobò, questo si che creerà dei traumi irreparabili al figlio (disse quella che i suoi sul blog li chiamav Gnorpo One e Gnorpo Two).

    E ti vedo, sai che mi stai dicendo: quant’ è vero. 🙂 Un abbraccione.

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    • Cara Mammasterdam, effettivamente, quant’è vero…
      Devo confessarti però che il trauma irreparabile è stato sì creato, ma non dall’appellativo “piccolo nano”. Il fattore di stress è stato invece l’utilizzo ripetuto dell’aggettivo “sdentato” all’interno del blog. Per questo, ad oggi, il nostro adorabile pupetto è completamente privo di denti, malgrado i suoi coetanei ne sfoggino almeno un paio per arcata. E per questo la collanina d’ambra la riceverà per i suoi diciotto anni.
      Per quanto riguarda Barbie, non preoccuparti, noi la adoriamo! E anche lei a suo modo ci adora. Il fatto che dopo aver letto il blog ci abbia tolto il saluto credo sia dovuto soltanto a qualche errore di traduzione 🙂
      E comunque sto già pensando a un blog spin-off con lei protagonista che, grazie alle sue molteplici personalità, interpreta ventidue personaggi.
      Un abbraccione anche a te e baci agli Gnorpi!
      Giulia

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