Psicologia: sesso, genitori e il terzo incomodo

Questo è un guestpost scritto da Zauberei, specializzanda psicoterapeuta e nostra esperta preferita. Vista anche la sua expertise in tema “topa e psiche”, titolo provvisorio del libro su cui lavora più o meno incessantemente, non poteva mancare la sua voce questo mese. Ecco quindi come ci aiuta a sciogliere i nodi tra psiche, sesso, e genitorialità, e naturalmente parlare delle conseguenze di questi nodi sui nostri figli. Oddio, magari sciogliere i nodi no, ma facciamoci comunque un pensierino su.

Forse mi ricordo male. Ma qualche anno fa girava una pubblicità dove si vedeva una povera biondina sgallettata la quale con aria luttuosa buttava dalla finestra una serie di oggetti imprescindibili – vestitini, fon per i capelli, biglietti per il cinema, mentre il vocione di un maschione stagionato le ricorda che cosa le avevano detto del cambiamento della sua vita con l’arrivo di quello: un pupetto inquadrato dalla telecamera che sorrideva giocondo da un passeggino. La pubblicità aveva una sua modesta efficacia – efficace perché ne ricordo la satanica capacità di additare un bambino di un anno come il demonio, modesta perché non mi è rimasto in testa né il nome del prodotto men che mai di cosa si trattasse. Il messaggio fondamentalmente era però che se alla creatura compravi, quel sonaglietto, quel passeggetto, quel cazzobubbolo egli sarebbe diventato immantinente autonomo e te madre potevi sperare di tornare ad avere ventun anni, uscire a bere il gin lemmon la tequila e il cuba libre e quello a cui la pubblicità alludeva meno apertamente ma più sostanzialmente – darti al sesso compatto reiterato e spensierato. Il bambino stava ‘na favola, e tu potevi fottertene tranquillamente.

La pubblicità metteva il dito in una piaga culturale – che procura microbi e infezioni alle famiglie che si creano all’indomani della nascita di un figlio. In specie il primo. Il timore che l’arrivo di un figlio precluda la possibilità di divertirsi, di fare delle cose che si desiderano, di fare il sesso che si desidera, è molto diffuso e mediaticamente spesso reinterpretato. La fondatezza del timore deriva da un comandamento culturale percepito come necessario e condiviso internamente – se fai un figlio, prima di tutto ti dedichi a lui e ai suoi bisogni e solo dopo, assicuratoti del suo benessere, totale e perfetto, tu genitore puoi tornare a te – se non lo fai, sei sanzionabile. Ma la tua vita con il figlio cambia perché tu, da ora in poi sarai madre col figlio, o padre col figlio. E inoltre, essenzialmente lo sarai da solo. Se studiamo l’iconografia mediatica, serie per la televisione e pubblicità – specie prodotti nati in Italia o tarati sul mercato italiano – constatiamo che la genitorialità rappresentata è sempre di un genitore con il bambino e l’altro assente o che tutt’al più fa un un’altra cosa: la mamma cucina con la bambina infornando involtini con le sottilette kraft, la mamma si fa il bagno con il piccolino, la mamma cambia il bebè – qualche rara volta il padre fa qualcosa tipo portarlo a giocare a calcio: ma la genitorialità è singolare, ed è, aggiungiamo, per lo più della donna.
Questo, dal punto di vista psicologico – è patologizzante. Cristallizza e congela nel tempo la divisione dei ruoli di genere che implica per forza di cose il concepimento e la nascita, rendendo questa divisione eterna e impedendo qualsiasi evoluzione. Il termometro principale della patologia è il tema di questo post – la fine del sesso tra i genitori, ma le conseguenze importanti ricadono sui figli che vedono il proprio percorso di crescita bloccato e distorto dal ruolo che assumono in una coppia rotta.

Perché certo lo sappiamo tutti: in concreto all’inizio è davvero difficile, ed è giusto aggiungerei e naturale che sia difficile. Dal corpo di una donna è arrivato un nuovo essere, e questo è stato complicato e difficoltoso anche per il corpo di lei. Erano uno e ora sono un due appena generato e l’allattamento è la traduzione semantica in un linguaggio biologico della negoziazione sulla separazione. Il bambino di notte si sveglia, ha frequente bisogno del contatto con la madre, mangia direttamente dal corpo di lei: sono ancora molto l’uno dell’altra e non è un caso che il ciclo in lei si sospenda fintanto che il piccolo non è svezzato. L’abisso della differenza di genere secondo me, più ancora che con la gravidanza si apre in quel primo anno di vita dove è difficile davvero che la cultura e le sue organizzazioni riescano a sollevare la donna: perché è il corpo della madre che il naso del bambino ricorda dal primo momento in cui nasce. E inoltre il piccolo è talmente piccolo e in una immaginaria bilancia dei poteri, talmente sprovvisto dinnanzi all’adulto, che davvero o si è con lui totalmente o non lo si è affatto.

Il tre con un neonato è una faccenda complicata. Il due più uno quasi impossibile. E’ ben normale non voler fare sesso dopo un parto, non riuscire a rintracciare il desiderio, oltre che l’energia e il tempo. Qualcuno che prima non c’era ora c’è! Bisogna fargli posto, fargli posto implica molta energia, e nel tempo rimanente – sostanzialmente – si dorme (o si litiga per la difficoltà di riconfigurare i posti e le relazioni).

Però questa cosa deve avere una durata limitata. Gli psicoanalisti di solito – siccome la psicologia dinamica rappresenta l’ala conservatrice della parte progressista di un momento storico – investono il padre della responsabilità di rompere quello che per esempio i kleiniani chiamano “anello simbolico”. Il padre deve cioè uscire dalla sua posizione satellitare rispetto all’anello costituito dalla madre e dal figlio e romperlo per il bene di sé e di tutti. Romperlo perché rivuole fare sesso con la madre, perché vuole avere una relazione con il figlio e deve perciò portarlo fuori dal caldo di una relazione duale. E’ il padre a dover cacciare il figlio dal lettone – detto in soldoni. E’ una visione un po’ estremizzata legata a un contesto storico in cui uomini e donne avevano ruoli di genere molto separati, ma in quella dimensione storica e nelle famiglie in cui l’organizzazione è ancora quella, l’esortazione al padre ha ancora una sua grande validità.

Penso però che, nelle famiglie in cui occupazioni e valori siano distribuiti in maniera diversa, anche nell’asimmetria che implica per forza di cose la neogenitorialità, un colpo di reni se lo debba dare anche la mamma per cercare il padre, anche sessualmente. Per ribadirsi come soggetto relazionale che aveva un’identità propria e separata anche prima che arrivasse il piccolo: con le sue relazioni e le sue priorità.
Gli psicoanalisti intersoggettivisti – come Benjamin e Mitchell – insistono molto su questa necessità della madre che si proponga come soggetto separato. Perciò quando la madre può, con tempi che non possiamo dire obbligatori, ma che variano da famiglia a famiglia, deve anche lei ricercare il suo compagno. Anche facendo quello che è un piccolo sforzo all’inizio.

Forse dovrei citare qualche altro analista famoso. Invece mi viene da citare mia nonna, che quando avevo sei o sette anni, ebbe a dirmi con molta chiarezza: cara mia, un matrimonio prima va a letto e poi va altrove. L’area del sesso, è l’area della comunicazione tra gli adulti, e l’area dove si cementifica una certa parte della comunicazione che è molto importante, per cui, se quella comunicazione non c’è, il rischio è che la comunicazione con i figli e la relazione con loro siano sovrainvestiti, bloccandoli nella crescita.
Nelle situazioni che diventano molto problematiche – poi ci sono molte situazioni invece di problematica più lieve ma almeno qui capiamo di cosa parliamo – il figlio diventa il figlio della madre, il mezzo con cui mantenere una separazione dal padre, con il padre che a sua volta è sempre più marginalizzato dal contesto familiare, e dopo un po’ magari si trova una relazione extra coniugale – in certi casi il figlio, senza volerlo viene come erotizzato-.

Questo fenomeno qui nei paesi più reazionari, come l’Italia, ha ancora oggi una sorta di incentivo culturale nella rappresentazione mediatica di cui sopra, perché non si concepisce l’idea della madre come soggetto che è anche sessuato: essa nel momento in cui diventa madre smette di essere donna, il maschio deve andare altrove e il figlio come conseguenza rimane figlio tutta la vita e con l’acquiescenza di un sistema economico in crisi, tende a rimanere figlio superati i trent’anni. La vecchia narrazione dell’edipo, quel doloroso confronto con l’impenetrabilità di un due costituito dalla coppia genitoriale, il cui trionfo è nel sesso dei genitori e nel loro letto matrimoniale, per cui se vuoi sopravvivere devi crescere, non c’è più, e tu da figlio hai già così tanto posto che… che cresci a fare? Rimani una sorta di piccolo nevrotico eterno.

D’altra parte esistono anche delle ragioni psicologiche che mettono la famiglia, diciamo così, in una posizione di vulnerabilità – perché la neogenitorialità è una sorta di seconda adolescenza, di ricapitolazione dell’infanzia così come era stato quando si avevano 13 o 14 anni. Tornano i sentimenti di sé bambini, affezioni e ricordi che manco si pensava di avere, e tutto questo in un nuovo ruolo esistenziale che è una specie di esame, una specie di trasloco in una nuova dimensione. Se il passato è dei migliori l’esperienza è difficile ma felice. Ma ci sono donne che hanno un’infanzia complicata alle spalle, e una strutturazione psichica che le programma per avere delle delusioni. Queste donne rivitalizzano l’angoscia durante la fase neogenitoriale, ripropongono una serie di timori nel rapporto con il figlio, e nel rapporto con il proprio corpo mutato di aspetto e di significato (proprio come quando comparve il ciclo) e in un certo senso fanno in modo che questi timori siano giustificati perché il figlio agirà conformemente ad essi, e come dire – risolvono rimanendo in uno stadio di trasloco permanente. Come le persone che per anni e anni hanno gli scatoloni in casa e la lampadina appesa senza lampadario, così esse trascurano la loro relazione di coppia, mettendo in mezzo il figlio con una provvisorietà verbale che però non ha mai fine.
Allattano oltre il secondo anno, non riescono a trovare un momento per stare sole con il partner. La differenza di genere diventa l’alibi per giustificare una lontananza che si critica, ma che non si vuole superare. Il padre viene marginalizzato sessualmente e quindi velocemente anche esistenzialmente. La comunicazione sessuale verrà girata al figlio o alla figlia senza naturalmente saperlo, o avere cattive intenzioni. Tutti saranno invariabilmente più infelici.

Quello che voglio dire, è che nel tema di questo mese – il sesso dei genitori – stanno incardinate tante cose che sembrano lontane dal sesso, ma che sono invece principalmente nel sesso. Il problema non è mai la singola scelta – il bambino per esempio addormentato nel lettone, non voler fare sesso in quella certa circostanza, ma quando il sesso si spegne a lungo, una serie di significanze per la coppia si attivano.

Fin qui i riferimenti impliciti sono stati alla psicologia dinamica, di orientamento psicoanalitico, ma validi e molto concreti contributi sono stati offerti dalla psicoterapia di ispirazione sistemico relazionale. Nella prospettiva di questi psicologi, il sistema familiare vede un sistema di relazioni fatto di microsistemi gerarchicamente ordinati. C’è il sistema dei genitori e sotto il sistema dei figli con cui la coppia, come coppia, deve avere delle relazioni, oltre che i genitori come singoli con i singoli figli, ma la famiglia entra sempre in un assetto patologico quando la gerarchia dei rapporti viene stravolta e si creano alleanze forti che surclassano le altre per esempio tra un genitore e uno dei figli.
Molto spesso l’origine di questi cambiamenti sta nel letto nuziale.

Prova a leggere anche:

Previous

#save194: la legge sull’aborto cambierà?

Obiezione di coscienza: dall’aborto alla contraccezione

Next

8 thoughts on “Psicologia: sesso, genitori e il terzo incomodo”

  1. Bellissimo e illuminante per noi comuni mortali non psichici. Mi ci ritrovo totalmente monete, diade ecc., iniziali fatiche , riassetto equilibri ecc da un certo punto di vista sono grata al mio compagno che mi ha sempre tirato par la giacchetta che non e’poco in mezzo a tutta questa confusa metamorfosi

    Reply
  2. Mi riconosco perfettamente in quello che hai scritto… sono stato il terzo incomodo quando è nato il primo bimbo e ho dovuto combattere per riconquistare il mio posto nel lettone. A dieci anni di distanza e con due bimbe in più ancora colgo quella sfumatura triste negli occhi di mia moglie quando mi trovo a sfrattare i tre dal lettone, consapevole del fatto che prima del mattino almeno uno tornerà ad infilarsi tra noi… ma se non altro il tempo di fare l’amore ce lo lasciano.

    Reply
  3. uh talmente tante cose ‘too close to home’ che è meglio che non ci pensi…che dire di quando il sesso non esisteva, neanche prima del bambino/a, ed è stato tollerato solo come mezzo per concepirlo/a? siamo alla patologia pura eh? ciao cara zaub anche qui

    Reply
  4. Bell’articolo, interessante. Immagino che la nascita di un bambino possa rappresentare, sopratutto nei primi tempi, nel primo anno di vita uno sconvolgimento nella vita di coppia e pure la vita sessuale ne risente (e molte testimonianze che ho letto in questo sito e in altri confermano) ma col tempo è possibile e auspicabile “recuperare”.
    Ho sentito che in USA alcune coppie in attesa di un bimbo fanno una “babymoon”, una piccola luna di miele prima della nascita del pupo, la trovo un’idea molto romantica

    Reply
  5. zaub, mi fa quasi impressione leggere un post così tuo, così zauberillo nei concetti, che avevi anche proposto da te, magari in altri modi, e nel ragionamento, che, come dire, mi manca anche il lessico tuo solito.

    Detto ciò, io pure con i miei primi manuali divulgativi da neogenitore avevo appreso del ruolo del padre come portatore di mondo esterno all’ interno della diade madre-figlio.

    Poi avendo avuto a mia volta una madre la cui metafora educativa preferita era quella dell’ uccellino che quando è ora di imparare a volare e non ha il coraggio di saltar fuori dal nido, il dovere di sua madre è quella di dargli una spintona, perché se non vola non sopravvive, immagino che bello il cosleeping, coinvolgente la scoperta del legame esclusivo con il pupo sangue del mio sangue, tutto vero il frullamento fisico e psichico post partum che mi viene da dire: non voglio fare l’ amore, voglio andare tre giorni alle terme. Da sola. Magari anche una settimana.

    Ecco, io spero che ai miei figli non sto dando le turbe sbagliate. Perchè adesso nr. 1 sta in preadolescenza e il sesso gli fa dichiaratamente schifo e io lo punzecchio a volte su questo. Magari sbaglio. Ma lui è fermamente convinto che io e suo padre abbiamo fatto sesso tre volte: una per concepire lui, una per concepire il fratello e una per concepire il gemello del fratello, che viste le premesse, ci ha ripensato subito sull’ opportunità di unirsi a noi. Non so se rettificare o lasciare che la natura faccia il suo corso e star zitta.

    Reply
  6. Mamma mia che post lungo e pregno!! Grazie, bellissimo, anche se personalmente non mi ci riconosco molto.Lla mia esperienza forse è stata molto particolare: soffro di problemi metabolici e la gravidanza è stata una parentesi idilliaca fra me e il mio corpo. Non ero stata così bene da quando avevo 14 anni. Il parto è stato rocambolesco, finito in cesareo quindi senza grossi traumi nelle zone intime. Sorvegliata speciale per dpressione post parto, ho avuto solo una tempesta ormonale che non mi ha dato depressione, ma un’iperattività pazzesca. Ciclo tornato dopo 3 mesi dal parto, nonostante l’allattamento al seno quasi esclusivo, e desiderio quasi immediatamente ai livelli pre-parto. La stanchezza del dopo, i mesi di sonno mai sufficiente, quelli si sono fatti sentire, ma non in modo troppo schiacciante. Insomma tutto consderato mi è andata bene…
    Anche il rapporto fisico con mia figlia non lo percepisco come lo descrivi. Non l’ho mai considerata una mia appendice, neanche quando mi era in pancia, ma sempre come un individuo che dipende da me nelle cose materiali, ma ha una sua personalità e individualità ben definite. Alla fine della gravidanza ripetevo “non vedo l’ora di poterla abbracciare” e molti mi rispondevano che un abbracio più totale di quello che stavo vivendo in quel momento non lo avrei più avuto, e io non capivo cosa intendessero. Adesso in parte capisco, ma continuo a pensare che preferisco abbracciarla “fuori”, con io me stessa e lei lì che partecipa.

    Reply

Leave a Reply to marcello Cancel reply