Progetto Snorky – Un villaggio che respira

“La prima volta che abbiamo lasciato Gian da Giordano ed Elisabetta siamo saliti in macchina e ci siamo detti: e adesso? E la prima cosa che abbiamo pensato di fare è stata di andare a fare la spesa. E anche se può sembrare una scelta stupida, vi assicuro che fare il giro degli scaffali senza mai guardare l’orologio, senza l’ansia che il bimbo a casa potrebbe stare poco bene è davvero un regalo grande”. Monia, mamma di Gianluca.

Tutto era nato un paio di anni prima dai seguenti ingredienti:

  • una neuropsichiatra particolarmente insistente ed incisiva nel dire “voi che avete sempre tante idee, servirebbe qualche cosa per queste famiglie “sole” “.
  • una rivista lasciata in bagno letta per caso da una collega dove veniva raccontato un progetto di “sollievo” per famiglie con bambini in situazione di disabilità
  • La consapevolezza che spesso le belle idee vengono anche agli altri e talvolta basta saper copiare dalle persone giuste, dai progetti giusti (l’ho sempre detto io che a scuola il fatto di saper copiare in modo efficace andrebbe premiato).

La realtà raccontava di bambini con disabilità molto impegnative e famiglie che, pur giovani,  erano già stanche, depresse, frustrate.
L’unica risposta, in quel momento erano le comunità alloggio.

Belle le comunità alloggio, ma poco adatte a bambini piccoli, perché tutti gli altri “compagni” sono adulti, spesso over 50. Poco adatte anche ai genitori, che si sentono in colpa nel dover “rinchiudere” il proprio figlio, ancora così giovane, anche se per pochi giorni, in una struttura che, nel proprio animo, riveglia ancora fantasmi di istituzionalizzazione passati

L’attualità diceva anche che non c’erano soldi: “non parlatemi di nuovi servizi strutturati” diceva il Direttore delle Ulss.

Ricapitolando: da un lato un grande bisogno fatto da famiglie con bambini con disabilità in difficoltà e strutture non adatte a rispondere alle loro esigenze, dall’altro non ci sono soldi per creare qualche cosa di nuovo.
Tocca girare un po’ il mondo e vedere cosa c’è in giro. A Milano c’è il progetto Weekend Care della Cooperativa L’Abilità, raccontato in quella rivista di cui si diceva prima. Andiamo a conoscerli. La Provincia Alto Vicentina non è Milano, ma il progetto è bello e si può adattare.

Con un’intuizione di qualcuno salta fuori il proverbio africano che all’epoca non conosceva quasi nessuno: “Ci vuole un intero villaggio per crescere un bambino”.
Andiamo in cerca del villaggio e arrivano 10 famiglie disponibili ad accogliere in casa loro per un sabato o una domenica al mese un bambino con disabilità.
Decidiamo di chiamare il progetto “Snorky”, perché loro erano bravi a respirare, anche se abitavano in fondo all’oceano.

E le famiglie sono eccezionali, nella loro assoluta semplicità: non fanno niente di particolare in quella giornata, la maggior parte di loro ha figli, deve andare ai saggi di danza, al teatro, mangiano una pizza e guardano la tv.
“All’inizio ci facevamo un sacco di problemi: cosa faremo? Dove la portiamo? Poi abbiamo capito che, proprio come è sempre stato per i figli nostri, è inutile fare troppi programmi e bisogna anche viversela come viene viene”. Fiorella, “Mamma accogliente”.

Fino a qui tutto bene, corrisponde alle più rosee previsioni. Ma Snorky va oltre, sveglia “l’intero villaggio” ben più di quanto ci saremmo potuti aspettare;

“Quando viene Nicola è bello perché passano tutti a trovarci, gli zii, i cugini. Diventa una festa per tutti” Marco, “Papà accogliente”

“Sai all’inizio ci sentivamo un po’ in colpa perché Nicola sta così male e non è colpa sua e allora ti chiedi se sia giusto per noi “respirare”. Poi però suo fratello ci chiede giorni prima: “Nick va a fare Snorky?”. E fa il programma della giornata: giro in bici, partita di pallone, cinema. Così ci siamo detti che Snorky è giusto per Matteo, che non può stare sempre coi nonni e gli zii o semplicemente in casa perché suo fratello non può uscire”. Fabio e Alberta, genitori di Nicola.

Snorky continua da sei anni e da quattro si regge esclusivamente su risorse volontarie (la stessa cooperativa ha deciso di sostenerlo anche se non ci sono finanziamenti esterni). Basterebbe davvero poco per riuscire a strutturarlo, un migliaio di euro all’anno e si potrebbe pianificare un lavoro si sensibilizzazione, formazione e mappatura dei bisogni in modo da rispondere a più situazioni possibili.

Nonostante ciò è importante continuare perché, al di là delle persone direttamente coinvolte, crediamo che Snorky, più di tante altre azioni, faccia quel lavoro di sensibilizzazione nei confronti del “Villaggio”.

Per questo ringrazio Silvia e Serena, che mi hanno invitato a raccontarlo, magari qualcuno, per caso, trova il post in giro e gli viene voglia di copiarlo.
Noi abbiamo iniziato così.

Per informazioni, e possibilità di copiare meglio, clickate qui.

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