Prevenire il suicidio negli adolescenti

Perché alcuni adolescenti decidono di suicidarsi, e cosa possiamo fare per prevenirlo? E’ pericoloso parlare di suicidio ai giovani? Esiste il rischio di suggerire il suicidio come via d’uscita dai problemi? Abbiamo deciso di intervistare il Dott. Vladimir Carli, ricercatore al Centro per la Prevenzione del suicidio e la promozione della salute mentale presso il Karolinska Institute, Svezia.

Foto XoMEoX utilizzata con licenza Flickr CC

Cosa è il rischio di emulazione?

Il rischio di emulazione è noto sin dal 1770 quando in seguito alla diffusione del romanzo I dolori del giovane Werther si osservò un possibile incremento dei casi di suicidio tra i giovani in tutta Europa, apparentemente causato dall’imitazione del suicidio del protagonista del libro. Diversi studi hanno verificato che il modo in cui i media riportano i casi di suicidio può condizionare negativamente persone vulnerabili, spingendole a compiere il gesto finale: è quello che viene chiamato l’effetto Werther. L’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (OMS) ha sviluppato delle linee guida internazionali per i media (responsible media reporting guidelines) che definiscono le modalità corrette per riportare casi di suicidio e prevenire l’effetto di emulazione. Le regole sono piuttosto semplici ma spesso non prese in considerazione, soprattutto in Italia: l’atto non deve esser riportato dai media in modo sensazionalistico o romanzato, non deve essere riportato nelle prime pagine, non deve contenere dettagli sul metodo utilizzato per il tentativo di suicidio o per il suicidio completo, le foto non devono ritrarre il corpo o il luogo in cui è avvenuto l’atto, e non deve esser reso noto il contenuto di un eventuale messaggio lasciato ai posteri. Inoltre il gesto suicidario dovrebbe essere presentato come un fallimento e non come un successo. In ogni caso, poiché è molto probabile che la notizia sarà letta con particolare interesse da persone con ideazione suicidaria o comunque vulnerabili, devono sempre essere riportate informazioni su come cercare ed ottenere aiuto in caso di necessità, riferimenti per contattare i centri di salute mentale, gruppi di autoaiuto, helplines specializzate nel fornire aiuto a chi ha ideazione suicidaria o altri problemi di salute mentale. In questo senso, gli adolescenti sono maggiormente a rischio in quanto maggiormente suscettibili al condizionamento dei media. Viceversa diversi studi hanno mostrato che i media, nel caso si attengano alle linee guida, non solo possono evitare l’effetto di emulazione, ma possono salvare la vita di persone a rischio che si decidono finalmente a cercare aiuto dopo essere venuti in contatto con la notizia.

Un esempio per tutti e’ il caso del suicidio del cantante Kurt Cobain, che non ha portato ad un aumento del numero di suicidi, e questo probabilmente grazie ai media che hanno riportato le notizie della sua morte in modo più attento, sottolineando ad esempio lo spreco di talento per la sua morte così giovane che ha compensato il rischio di romanzare la morte del noto cantante.

i media, nel caso si attengano alle linee guida, non solo possono evitare l’effetto di emulazione, ma possono salvare la vita di persone a rischio che si decidono finalmente a cercare aiuto dopo essere venuti in contatto con la notizia.

Viceversa, secondo l’Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio (IASP) la serie Netflix diffusa in Italia con il nome Tredici viola le linee guida dell’OMS in numerose delle raccomandazioni per la descrizione di un evento suicidario (leggi la critica della IASP).

Quanto è diffuso il fenomeno del suicidio in adolescenza?

A livello globale il suicidio è la seconda causa di morte nella fascia di età tra 15-25 anni. Nella stragrande maggioranza dei paesi, in questa fascia d’età il suicido è la prima o la seconda causa di morte, in genere dopo gli incidenti.
Il comportamento suicidario può essere concettualizzato in tre diverse modalità:

  1. L’ideazione suicidaria: può essere aspecifica come pensare “vorrei essere morto”, “non vale la pena vivere” o assumere connotati di maggiore gravità quando si pensa a compiere gesti per terminare la propria vita e a pianificare come farlo. L’ideazione suicidaria aspecifica è piuttosto frequente negli adolescenti e spesso benigna. Diversi studi hanno mostrato che non c’è correlazione significativa tra fugaci idee suicidarie in adolescenza e morte per suicidio.
  2. Il tentativo di suicidio: un gesto autolesivo con chiaro intento di terminare la propria vita che non ha successo perché il mezzo scelto non è sufficientemente letale o perché si viene salvati da qualcuno o qualcosa;
  3. Il suicidio completo, ovvero la morte per suicidio, che è un evento relativamente raro. In Italia la prevalenza del suicidio è di circa 5 casi per centomila per anno. Nei paesi con i più alti tassi di suicidio si raggiungono tassi intorno ai 50 casi per centomila per anno. La media EU è di circa 12 casi per centomila per anno.

A livello globale muoiono ogni anno per suicidio 800,000 persone. Questo numero è in diminuzione rispetto al milione di morti che si contavano dieci anni fa, probabilmente grazie agli sforzi di prevenzione che vengono effettuati in tutto il mondo. E’ un numero comunque in assoluto piuttosto alto. Se si considerano tutte le morti procurate dall’uomo, le morti per suicidio rappresentano un numero maggiore della somma di quelle che avvengono per omicidio e in guerra. Alcuni gruppi sono particolarmente a rischio. Un dato suggestivo indica che tra i militari USA avvengono più morti per suicidio che nel corso di operazioni di guerra.
E’ importante notare che alla base di un suicidio c’è sempre un processo che si svolge nell’arco di un tempo, seppur a volte limitato. Si dice spesso che il suicidio è un processo e non un evento, come può essere ad esempio una morte improvvisa perché’ si inciampa e si cade dalle scale. Il fatto che il suicidio sia sempre un processo è un fattore estremamente importante perché’ getta le basi per la sua prevenzione: è possibile intercettare il processo prima che avvenga il suicidio completo.

Il fatto che il suicidio sia sempre un processo è un fattore estremamente importante perché’ getta le basi per la sua prevenzione: è possibile intercettare il processo prima che avvenga il suicidio completo.

Per quanto riguarda gli adolescenti, il 20-30% nella fascia d’età 14-17 anni ha avuto qualche tipo di ideazione suicidaria nel corso della propria vita. Il 4,2% ha compiuto un tentativo di suicidio nel corso della vita con una percentuale maggiore nelle ragazze (5,1%) rispetto ai ragazzi (3%). Se estrapoliamo questi dati a una classe di 25-30 alunni, possiamo stimare che in una classe di una scuola superiore ci sono in media 5 alunni che hanno avuto qualche tipo di ideazione suicidaria, non necessariamente pericolosa, uno/a che ha tentato il suicidio in precedenza ed un altro/a che ha avuto grave ideazione suicidaria con un preciso piano su come uccidersi.

Quanto si sa delle ragioni che spingono i ragazzi a questo passo estremo?

Quando si vanno a studiare le ragioni per cui gli adolescenti arrivano al suicidio, si ha l’impressione che ai nostri occhi si tratta di motivi per lo più futili. Certamente c’è il mobbing, ma anche un litigio, i genitori che si separano, un’incomprensione o un insuccesso scolastico. Ci sono gruppi con rischio aumentato come persone con problemi di salute mentale, disforia di genere o appartenenti ai gruppi LGBTQ+. Chi arriva a compiere gesti suicidari lo fa perché in quel momento non riesce a vedere nessuna soluzione diversa al suo problema. Ci si sente in un vicolo cieco e la disperazione è il fattore che maggiormente porta a vedere il suicidio come l’unica soluzione possibile.

Cosa si può fare per prevenire il suicidio giovanile?

Esistono diversi programmi per la prevenzione del suicidio in adolescenza che vengono per lo più implementati nelle scuole. I metodi più studiati sono quelli “selettivi” basati sull’identificazione dei soggetti a rischio da parte di professionisti o di persone formate per identificarli e aiutarli, o quelli “universali” che vengono attuati sull’intera popolazione scolastica a prescindere dallo stato di salute iniziale.

Chi arriva a compiere gesti suicidari lo fa perché in quel momento non riesce a vedere nessuna soluzione diversa al suo problema

I programmi universali sono quelli che hanno mostrato maggiore efficacia e sono raccomandati dall’OMS.
Noi abbiamo ideato un approccio innovativo (chiamato YAM, Youth Aware of Mental Health) basato su 5 ore di sessioni interattive che vengono effettuate in classe nell’arco di tre settimane. Nel corso del programma gli adolescenti, attraverso discussioni e role-play, imparano cosa è la salute mentale, lo stress, la crisi, come aiutare un amico in difficoltà, come riconoscere sintomi di depressione ed ideazione suicidaria e vengono fornite loro indicazioni su come ricevere aiuto in caso di bisogno. Oltre alle sessioni interattive ai ragazzi viene dato un opuscolo di circa 30 pagine che descrive questi contenuti e 6 poster con gli stessi argomenti vengono affissi sulle pareti della classe per tutta la durata del programma.
YAM è stato testato nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea chiamato SEYLE (Saving and Empowering Young Lives in Europe) con un trial randomizzato controllato (RCT) che ha coinvolto oltre 11000 studenti in 168 scuole in 10 paesi dell’EU. Lo studio in questione ha mostrato che nel gruppo di studenti che avevano partecipato al programma YAM il numero di studenti che hanno compiuto tentativi di suicidio dopo un anno si è ridotto di oltre il 50% ed il numero dei casi di depressione moderata o severa di circa il 30%.

Qual è il segreto del successo di questo programma di prevenzione?

L’ideazione del suicidio o all’atto del suicidio arriva quando ci si sente in un vicolo cieco, senza vie di uscita. Nel nostro programma aiutiamo i ragazzi a pensare che esistono prospettive diverse e modi diversi di affrontare i problemi, e soprattutto che esistono sempre più possibilità di scelta. Nei role-play ad esempio vengono messe in scena delle situazioni in cui potrebbero trovarsi, e per rendere il processo più efficace i contenuti vengono portati dagli adolescenti stessi, chiedendogli di proporre delle situazioni che ritengono importanti. Gli viene poi chiesto di riflettere su quali scelte si possono fare e sulle conseguenze di queste scelte. I role-play sono condotti da personale certificato appositamente formato che non pretende di conoscere risposte giuste o sbagliate ma si limita a facilitare la discussione in classe in modo che emergano diverse prospettive. Altri temi che vengono messi in scena riguardano situazioni di stress e crisi (liti in famiglia, divorzio dei genitori, problemi scolastici, bullismo, interruzione di relazioni, gravidanze indesiderate in età adolescenziale), depressione (come riconoscere i segni e sintomi della depressione, come distinguere tra tristezza e depressione, cosa fare in caso si riconoscano i segni in se stessi o in un amico), come aiutare un amico in difficoltà, chi contattare in caso di bisogno.

nel gruppo di studenti che avevano partecipato al programma YAM il numero di studenti che hanno compiuto tentativi di suicidio dopo un anno si è ridotto di oltre il 50% ed il numero dei casi di depressione moderata o severa di circa il 30%.

Attualmente sappiamo che il programma YAM è in grado di prevenire i tentativi di suicidio e la depressione ma non sappiamo ancora esattamente come questo avvenga. Ipotizziamo che agisca aumentando la consapevolezza sulla salute mentale, stimolando i comportamenti di ricerca di aiuto, rinforzando le coping strategies, migliorando l’empatia e il clima nelle classi. In questi mesi è in corso uno studio che coinvolge tutte le scuole della regione di Stoccolma che ha lo scopo di replicare i risultati dello studio europeo e di identificare questi meccanismi intermedi.

Cosa può fare un genitore?

La cosa più importante da tenere a mente è che parlare di suicidio non aumenta il rischio di suicidio. Insomma parlandone non si rischia di suggerire il suicidio come via d’uscita. Ovviamente e’ necessario parlarne in maniera adeguata ed esistono corsi di formazione per imparare a farlo. Al contrario parlare di suicidio può aiutare una persona che ci sta pensando facendola sentire meno sola. Esistono diversi programmi di formazione per persone che non hanno background specifico nel campo della salute mentale e sono basati su semplici algoritmi comportamentali che in genere prevedono tre passaggi:

1) se sospetti che una persona stia pensando al suicidio, chiediglielo apertamente, con domande esplicite e aperte che non contengano già una risposta. Per esempio chiedere “ti è capitato di pensare al suicidio?” è molto diverso dal chiedere: “non starai mica pensando al suicidio, vero?”.

2) se la persona ti risponde di sì, non lasciarla sola e cerca di rimuovere il più possibile dalla sua portata eventuali mezzi suicidari (armi, medicine, oggetti taglienti ecc.)

3) accompagna la persona da un professionista della salute mentale per ricevere aiuto specialistico.

Queste strategie non riguardano solo i genitori ma possono essere insegnate a chiunque si trovi in contatto con persone potenzialmente a rischio di suicidio. Nei paesi dove la prevenzione del suicidio viene effettuata con cognizione di causa tutti quelli che si trovano in posizione privilegiata per poter osservare persone a rischio suicidario (i cosiddetti “gatekeepers”) vengono periodicamente indirizzate a questo genere di formazione (gatekeeper training). I gatekeeper sono per esempio gli insegnanti nelle scuole, gli allenatori di squadre sportive, le forze dell’ordine, il personale sanitario, il clero.
Se stai pensando al suicidio o conosci qualcuno che sta pensando al suicidio e hai bisogno di aiuto, puoi rivolgerti al tuo medico di fiducia che saprà indirizzarti oppure contatta direttamente il numero verde: 800 86 00 22 (da telefono fisso), o il numero 06 77208977 (da cellulare). Maggiori informazioni puoi trovarle qui: Samaritans.

Fonti:
School-based suicide prevention programmes: the SEYLE cluster-randomised, controlled trial
A newly identified group of adolescents at “invisible” risk for psychopathology and suicidal behaviour: findings from the SEYLE study

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